Viktor Orban, il signor No e i suoi mille ricatti all’Europa

Viktor Orban, il signor No e i suoi mille ricatti all’Europa

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di Paolo Valentino, corrispondente da Berlino

“L’uomo solo al comando” di Budapest blocca le sanzioni sul petrolio russo. In patria governa grazie ai poteri speciali, ma senza i fondi europei rischia grosso

BERLINO – Mai fidarsi di Viktor Orban. Il premier ungherese offre in queste ore l’ennesima prova della sua totale inattendibilità: dopo aver dato il via libera all’embargo europeo sulle importazioni di petrolio russo (al prezzo di vantaggiose eccezioni per il suo Paese che potrà continuare ad acquistarlo), ha disfatto nella notte la tela faticosamente tessuta il giorno prima insieme ai partner dell’Ue e posto un nuovo veto sull’intesa ancora fresca d’inchiostro. L’accordo politico tra i 27 prevede lo stop all’importazione di petrolio dalla Russia via nave, escludendo temporaneamente quello trasportato attraverso l’oleodotto Druzhba, che serve soprattutto Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e anche la Germania. Berlino si è impegnata a smettere comunque le proprie importazioni di petrolio russo entro fine anno. Per Budapest, al fine di evitare un’alterazione della concorrenza, era previsto che a partire da otto mesi dopo l’inizio delle sanzioni, non potesse più rivendere agli altri Paesi Ue petrolio proveniente dalla Russia, greggio o raffinato.

Ma nonostante il regalo ricevuto, ora Orban alza di nuovo il prezzo: non solo chiede un periodo più lungo nel quale continuare la rivendita, ma pretende anche che il nome del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, sia escluso dalla lista di persone del sesto pacchetto di sanzioni, che ne bloccherebbero il patrimonio e la possibilità di viaggiare. Ben oltre il tema specifico, la nuova impennata di Viktor Orban pone in termini ancora più urgenti il problema di un leader politico e di un Paese sempre più imprevedibili e incompatibili con lo spirito e la lettera del patto comunitario. Al potere dal 2010, Orban ha trasformato l’Ungheria in una democrazia illiberale, dove il suo partito, il Fidesz, occupa di fatto lo Stato, libero da vincoli e controlli. Gli uomini di Orban non controllano solo i ministeri e la burocrazia, ma i tribunali, i teatri, le università, gli ospedali, i giornali. Mentre una rete di imprenditori amici fa la parte del leone negli appalti pubblici, fin qui generosamente finanziati dai fondi europei.

Ufficialmente non c’è censura in Ungheria, ma poiché non esiste più alcun giornale che non sia di proprietà degli amici del premier, chi critica il Fidesz e la verità ufficiale, semplicemente perde il posto di lavoro. Ad aprile Orban ha vinto le elezioni per la terza volta consecutiva, ottenendo una maggioranza di due terzi in Parlamento. Poco da stupirsi, visto che dei suoi avversari non si è vista traccia, o quasi, in televisione e sui giornali. Sicuramente libera, non è stata una elezione equa, come hanno notato gli osservatori internazionale indipendenti che l’hanno vista da vicino. Eppure, ad appena due mesi dal voto, Orban si è fatto promulgare i poteri speciali, che detiene dallo scoppio della pandemia.

I deputati, ormai del tutto ai suoi piedi, glieli hanno concessi senza fiatare. Orban continuerà dunque a governare per decreto, come ormai fa da quasi tre anni: è un uomo solo al comando. La misura tradisce però nervosismo e insicurezza. Orban è in difficoltà. La Commissione europea continua a trattenere i fondi del Next Generation EU destinati all’Ungheria, dove il premier e il suo governo fanno scempio dello Stato di diritto. Ma di quel denaro Orban ha urgente bisogno: ha fatto troppi regali elettorali a debito durante la campagna (ecco un’altra ragione della vittoria) e ora le casse pubbliche sono vuote. Ma l’uomo nero di Budapest non mostra alcuna intenzione di fare le riforme, a cominciare dalla giustizia, che gli chiede Bruxelles. Al contrario. Di recente, come ha raccontato il giornale HVG, il ministro della Difesa si è comprato, con un credito statale, la quota di un’azienda che fabbrica aerei ed è tra i fornitori del ministero. Insomma, è diventato «committente di sé stesso».

L’altro problema di Orban è il suo crescente isolamento. La guerra in Ucraina ha fatto saltare l’entente cordiale con la Polonia, capofila dello schieramento anti-Putin, mentre Orban non solo evita di criticare il Cremlino e cerca di mantenere buoni rapporti con la Russia, da cui acquista il 60% del suo petrolio e l’85% del suo gas, ma durante la campagna elettorale ha anche definito Zelensky uno dei suoi grandi nemici. Il suo atteggiamento di freno sulle sanzioni gli ha alienato molte simpatie nel Centro ed Est Europa: «Se continua così – dice un diplomatico europeo – finirà che anche la Polonia approverà la procedura dell’articolo 7», riferendosi all’azione disciplinare dell’Ue contro l’Ungheria per violazione dei diritti fondamentali, finora bloccata dal rifiuto di Varsavia. Fino a quando a Viktor Orban sarà permesso di abusare della pazienza dell’Unione europea?

2 giugno 2022 (modifica il 2 giugno 2022 | 13:34)

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