di Greta Privitera
Morhunov, sindaco della città della strage: «Siamo a 900 chilometri dal fronte, quella del Cremlino è una strategia della paura»
Serhii Morhunov, 54 anni, sindaco di Vinnytsia, Liza la conosceva bene. Quando ha saputo che era tra le vittime della strage del 14 luglio gli è preso un colpo al cuore. «Liza era una bambina dolcissima con la sindrome di Down, aveva solo quattro anni», racconta, «conosco la sua famiglia perché ricevono aiuti dal Comune. So che la sua storia, il suo passeggino rosa, sono arrivati fuori dai nostri confini, ma oltre a lei sono morti altri due bambini. Porterò tutti e tre con me per sempre».
Quando i missili russi hanno colpito il centro città, distruggendo un palazzo e tutto quello che c’era intorno, Liza e sua madre tornavano da un appuntamento con la logopedista, un ragazzo faceva un giro in bicicletta, una donna andava a fare la spesa. «Le 23 persone uccise e le 80 ferite cercavano solo di condurre una vita semi-normale. Abitiamo a 200 chilometri da Kiev e 900 da Severodonetsk, la linea del fronte è molto lontana e Putin lo sa».
Secondo Morhunov questi non sono «errori di Mosca», ma si tratta di pura tattica psicologica: «Quando il Cremlino attacca obiettivi civili in città lontane dai territori occupati, come la nostra, lo fa per dirci: abbiate paura. Vogliono farci capire che possono sparare da ovunque, dal Mar Nero. Possono annientarci quando vogliono. Ci tengono in uno stato di angoscia continuo: la strategia del terrore».
A due giorni dalla strage, Morhunov ripercorre con le parole come è andata. Alle 10.15 era nel suo ufficio quando ha sentito suonare le sirene. Alle 10.37 — dice proprio 37 — ha sentito un rumore molto forte e ha visto sfrecciare dei missili in cielo. Dopo poco sono arrivate le esplosioni. «In sette minuti ero davanti all’edificio bombardato. Le fiamme si mangiavano tutto, non ho mai visto niente di simile. Sono ancora sotto choc. C’era un fumo nero altissimo, denso. Ma quello che mi ha fatto più male è stato vedere i corpi dei miei concittadini sul marciapiede».
Serhii Morhunov è sindaco di Vinnytsia dal 2015. La sua città si trova nell’Ucraina centrale, ha quasi 370 mila abitanti ed è sede del quartier generale dell’Aeronautica. Da quando è iniziata la guerra, è stata attaccata tre volte. «Era marzo, e Putin pensava ancora di poter prendere Kiev», dice. Poi, sono arrivati mesi di quiete. Non serenità, perché la guerra è sempre presente, ma hanno riaperto le attività commerciali, i parchi, le scuole. «Un conflitto costa moltissimo a un Paese e chi può deve lavorare». Vinnytsia ha vinto per sette anni consecutivi il titolo di città più vivibile d’Ucraina. Morhunov ne è molto fiero e spiega che lui, alla strategia del terrore di Putin, ha sempre contrapposto la strategia del sorriso. La chiama «smile city», «perché siamo persone che vogliono star bene, a cui piace ridere e vivere sereni. Ma i russi ci stanno rubando tanto, il 14 luglio ci hanno portato via le nostre strade, i nostri amici, e anche il sorriso».
Dal telefono sentiamo un rumore strano venire da lontano. Non lo riconosciamo subito. Morhunov smette di parlare e, concitato, dice qualcosa in ucraino a una donna accanto a lui. Non ci saluta, mette giù. Poco dopo arriva un messaggio: «Scusate, erano le sirene. Siamo nascosti».
15 luglio 2022 (modifica il 15 luglio 2022 | 23:07)
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, 2022-07-15 22:02:00, Morhunov, sindaco della città della strage: «Siamo a 900 chilometri dal fronte, quella del Cremlino è una strategia della paura», Greta Privitera