di Massimiliano Nerozzi
Politica e magistratura, Torino e la fede granata, l’educazione civile (che non c’è più), il fascismo (che c’è ancora) e i libri sul comodino (Musil e la Bibbia): parla l’ex presidente della Camera lunedì ospite al Circolo dei lettori
Luciano Violante, perché ha scritto un giallo? («Notizie della signora Marthensen», Marsilio)
«Era un modo per raccontare gli intrecci del potere, politico, economico, giudiziario. E volevo parlarne in modo più divertente: in un romanzo puoi scrivere cose che in un testo scientifico non potresti permetterti».
Scrivere con leggerezza non significa essere superficiali.
«La leggerezza di Calvino, ma non sempre ci si riesce»
È un libro scritto da un magistrato o da un politico?
«Da tutti e due. Ho fatto molti mestieri e ognuno lascia le sue tracce».
«Dobbiamo essere aristotelici, non nietzschiani», dice nel romanzo il procuratore, al giovane collega: nella magistratura italiana la passione (politica) ha preso il sopravvenuto sui fatti?
«Non necessariamente è stata, o è, passione politica, piuttosto quella di essere protagonista».
Non è l’unica frecciata a magistrati e informazione: come va adesso?
«È un rapporto che non si è evoluto, parlo ovviamente in generale: resta un intreccio perverso, basato su uno scambio di favori».
Servono nuove norme?
«Macchiavelli diceva che non bastano buone leggi, ma occorrono buoni consumi. Parlo di etica professionale».
Si discute di nuovo di separazione delle carriere.
«Ma no. Piuttosto, come si dice a volte, quelle dei magistrati e quelle dei giornalisti».
Ce n’è anche per la politica: «I partiti di oggi non sono più capaci di decidere, perché hanno perso il know-how»: ovvero?
«Sarebbe un discorso lunghissimo, che provo a riassumere: è un processo di ristrutturazione della politica che inizia dall’assassinio di Aldo Moro, quando si pensava ci fosse un doppio standard, la lotta nella società e il compromesso nella politica. Poi c’è stato il muro di Berlino, Mani pulite e tanti altri avvenimenti, che hanno aperto un’altra pagina: non si parlava più di avversari, ma di nemici».
Perché?
«È venuta meno l’educazione civile, la ricerca del compromesso, il dialogo. E si è arrivati alla paralisi della capacità di decisione, tra decreti legge in continuazione e la ricerca dell’emergenza come ragione per non decidere».
Cosa ne pensa del presidenzialismo?
«Ho l’impressione che chi ne parla non sappia bene di che si tratta: bisognerebbe cambiare anche la corte Costituzionale, il parlamento, la magistratura, un lavoro complicatissimo. E, ripeto, non sono le regole che danno stabilità, ma il costume della politica: sono i parlamentari che cambiano casacca, non la politica a essere instabile»
«A Torino si producono lamiere e gianduiotti, qui si producono politica, relazioni sociali, candidature», dice la moglie (di Roma) al protagonista, torinese.
«Guardi, io e mia moglie amiamo Torino, tant’è che ci siamo venuti a vivere, ma se lei si sposta più a sud, a Roma per esempio, questa è l’idea che hanno».
E se non si faranno più neppure le lamiere?
«Ormai il mondo è policentrico e Torino può diventare un centro dell’alta tecnologia, quella è la vocazione. C’è stata una fase di passaggio, dopo la crisi della Fiat, gestita da Castellani, Chiamparino, Fassino, con fenomenale visione strategica. Spero ce l’abbia Lo Russo: visto che l’ho votato, direi di sì, ma le persone vanno giudicate sul tempo».
È più granata o antijuventino?
«Quando la Juve gioca all’estero faccio il tifo per lei, vince il patriottismo. Ma in Italia tifo anche Salernitana, se gioca contro i bianconeri».
Perché scelse il Toro?
«Faccio sempre il tifo per i più deboli».
Sul comodino ha «L’uomo senza qualità» e la Bibbia: perché?
«Quello di Musil è un grande libro incompiuto, straordinario, la descrizione della fine di un impero, il che mi interessa; e la Bibbia è la Bibbia».
Se non il magistrato cosa avrebbe fatto?
«L’architetto, ma il corso di laurea durava troppo, sei anni. Allora, scelsi i quattro di giurisprudenza».
Hanno dato fuoco al monumento dedicato ai partigiani: che effetto le fa?
«Non parliamo di deficienti e dobbiamo preoccuparci. Sono gesti che dentro hanno un motivo: che l’altro è un nemico, da distruggere».
Bruno Segre, avvocato e partigiano, sostiene che il fascismo non è finito: lei?
«È finito come fenomeno storico. Ma il problema è che ci sono ancora il razzismo, la discriminazione, l’insulto dei deboli e delle donne; che sono parte del nucleo valoriale del fascismo e che ora sono nella società».
Comunque andranno le elezioni, che cosa si augura dopo?
«Un governo stabile».
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16 settembre 2022 (modifica il 16 settembre 2022 | 22:00)
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, 2022-09-16 21:00:00, Politica e magistratura, Torino e la fede granata, l’educazione civile (che non c’è più), il fascismo (che c’è ancora) e i libri sul comodino (Musil e la Bibbia): parla l’ex presidente della Camera lunedì ospite al Circolo dei lettori , Massimiliano Nerozzi