In questi giorni si parla moltissimo di violenza sulle donne e del ruolo della scuola nell’impartire l’educazione alle relazioni. Lo stesso ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha annunciato un progetto che coinvolgerà le scuole secondarie.
La scrittrice Susanna Tamaro crede che per contrastare la mascolinità tossica occorrerebbe partire dalla scuola primaria. Ecco quali sono le sue proposte rivolte direttamente al ministro, secondo quanto ha scritto in un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera.
Il ragionamento di Susanna Tamaro
“Il modello dominante del maschio offerto dal mondo audiovisivo è prevalentemente quello negativo, dove l’aggressività, il sopruso e la violenza sono la norma, a cui si aggiunge una diffusa fruizione della pornografia. Nonostante gli allarmi dei pedagogisti, degli psichiatri e delle persone consapevoli, in questi trent’anni nessuno nel mondo dominato dal neoliberismo ha avuto l’autorità di dire basta”.
“Riempiti dunque di un immaginario tossico e impossibilitati a vivere la dimensione fisica che la loro natura richiederebbe, i maschi non possono che esplodere o accartocciarsi su loro stessi. Bisognerebbe dunque tentare di restituire loro una sana mascolinità, facendogli riconquistare la naturale dimensione della motricità. Ci siamo resi conto che la maggior parte dei bambini ha paura di tutto? Eroi sulla tastiera, ma fifoni fuori dalla loro camera”.
“Così io avrei due piccole proposte per il ministro dell’Istruzione Valditara. La prima è quella di inserire nel POF delle scuole primarie, l’insegnamento di un’arte marziale — judo, karate o kung fu — rivolto naturalmente sia ai maschi che alle femmine. Nell’immaginario di molti, di troppi, le arti marziali vengono considerati come una fucina di fascisti, di esaltati e di violenti, ma la realtà è esattamente opposta. Posso parlarne con competenza perché frequento il mondo marziale da quarant’anni. Se ho cominciato a praticare, negli anni Ottanta del secolo scorso, non è stato per sfogare qualche innata ferocia ma per tentare, su suggerimento di uno psichiatra, di risolvere un disagio mentale importante che ancora non mi era stato diagnosticato”.
“Arrivata alla mia età posso dire con certezza che il karate mi ha salvato la vita. Le arti marziali infatti sono altamente terapeutiche per i bambini con disturbi dello spettro autistico e del comportamento; lo sono perché spingono a riappropriarsi della propria identità corporea e affrontare i propri limiti, trovando il coraggio per superarli. Nelle arti marziali si devono superare esami progressivi di abilità fisica e mentale, si imparano livelli sempre più complessi di concentrazione e non ci si può ribellare od opporre alla figura del maestro”.
“La seconda piccola proposta è quella di istituire nelle scuole primarie il canto corale. Il canto appartiene alla nostra natura. Prima che le nostre orecchie venissero colonizzate dalle cuffie, cantavano tutti: cantavano le persone compiendo lavori manuali e si cantava fino allo sfinimento durante le gite scolastiche. L’energia liberatoria del canto equilibra il corpo, rende più sicuri i timidi e smorza il protagonismo dei più aggressivi. Con tutti i diplomati del Conservatorio in situazione di sotto occupazione, non dovrebbe essere difficile trovare le persone adatte. Vorrei concludere citando Rabbi Goldberg, il fondatore di Kids Kicking Cancer, associazione che da vent’anni lavora negli ospedali di tutto il mondo insegnando le arti marziali ai bambini oncologici. Il binomio arte marziale-malattia può sembrare piuttosto improbabile ma forse si dimentica che risvegliare la forza interiore, in qualsiasi situazione, è l’arma vincente per gestire le difficoltà. Non è di questa forza interiore che tutti noi abbiamo bisogno?”, ha concluso la scrittrice.
Docenti animatori?
“Su un tema come questo la scuola da sola non ce la può fare. Cosa è l’efficacia dell’intervento? Saranno misurati gli episodi di violenza?”, si è chiesto il nostro vicedirettore Reginaldo Palermo, ospite della nostra diretta “Educare alle relazioni: adesso tocca alle scuole; come progettare e cosa devono fare i docenti”: “Ho il timore che ciò sarà difficile. Non sappiamo da cosa dipendono, è difficile come misurare l’efficacia educativa della famiglia”, ha aggiunto.
“Il docente farà da animatore/moderatore. Sembra quasi che ci facciamo spingere dall’emotività del momento e chiamiamo in causa la scuola per dare risposte. Si tratta sicuramente di interventi di ampio raggio che coinvolgono la scuola e non solo. Questi obiettivi sono comunque già quelli che perseguono i docenti”, questo il pensiero di Salvatore Inglima (Cisl Scuola), altro ospite della diretta.
“Alla fine del percorso ‘Educare alle relazioni’ ci sarà un monitoraggio per verificare l’efficacia dell’azione. A mio avviso è molto difficile farlo. Qual è l’obiettivo presupposto dal Ministero? L’alta percentuale di adesioni o la valenza formativa che curerà l’Indire? Bisogna capire come sarà effettuato questo monitoraggio”, ha aggiunto, commentando il piano di Valditara.
Il corso
Su questi argomenti il corso Educare alle competenze sociali a scuola, a cura di Riccarda Viglino, in programma dall’11 gennaio.
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