La tournée asiatica di Joe Biden è cominciata con una delle sue gaffe ormai abituali. Partecipando al vertice dell’Asean (associazione dei paesi del Sud-Est asiatico) a Phnom Penh, in Cambogia, nel ringraziare il padrone di casa Biden lo ha chiamato «il premier della Colombia».
La stampa accreditata alla Casa Bianca addolcisce l’impatto di questi scivoloni osservando che il presidente americano era reduce da due notti in aereo (Usa-Egitto, Egitto-Cambogia) e il jet-lag ottunde anche menti più giovani.
Osservare Biden da vicino però non è mai rassicurante, ho ancora un taccuino pieno di appunti che presi osservando da vicino, nel giugno 2021 a Ginevra, l’ultimo vertice in cui Biden incontrò di persona Vladimir Putin. Non fu un bello spettacolo: il leader russo per vigore fisico e mentale sembrava il figlio dell’altro. Sì, però: quanti errori ha fatto Putin, da allora…
Scivoloni e gaffe a parte, invece, bisogna arrendersi all’evidenza: il gerontocrate americano sta vincendo varie scommesse.
Biden in questo viaggio asiatico (che domani ha il suo culmine nel G20 di Bali e nel bilaterale con Xi Jinping) è politicamente più forte di quanto ci si aspettasse fino a una settimana fa.
Ha appena incassato il risultato elettorale del Nevada che assicura al suo partito la maggioranza al Senato.
I repubblicani, ammesso che agguantino di stretta misura la Camera, avranno un potere limitato per condizionare l’esecutivo.
La positiva sorpresa elettorale rafforza Biden anche rispetto al proprio partito. È doveroso ricordarlo: i media, gli analisti e gli opinionisti – me compreso! – erano stati influenzati fino alla vigilia dell’8 novembre da un vento di panico che soffiava nel quartier generale democratico.
Nelle ultime settimane della campagna i notabili del partito di Biden si erano convinti che era in arrivo una valanga repubblicana. L’unico che non ci credeva, e continuava a dirlo nei comizi, era proprio lui: il gerontocrate.
Biden si diceva convinto, per esempio, che gli americani erano meno angosciati dall’inflazione e più fiduciosi sullo stato dell’economia alla luce del buon andamento dell’occupazione e dei salari. Era convinto che fossero spaventati per le minacce al diritto di abortire; e dall’estremismo di tanti candidati repubblicani.
Ha avuto ragione lui, ne esce a testa alta, come un presidente che ha sconfitto la regola storica sulle débacle elettorali di mid-term.
Va ricordato che insieme con il suo acume politico Biden ha sfoderato un altrettanto notevole cinismo. In campagna elettorale andava dicendo che la democrazia americana era in pericolo, mentre allo stesso tempo il suo partito finanziava (apertamente, alla luce del sole) fior di candidati trumpiani perché eliminassero i rivali moderati nelle primarie del partito repubblicano. I «fascisti», insomma, sono stati aiutati in tutti i modi dalla sinistra, in modo da poter usare lo spauracchio del «fascismo». Machiavellico, abbastanza nauseabondo, però in politica si vince anche così: à la guerre comme à la guerre.
Un altro espediente che ha funzionato è stato il voto di scambio. La misura assistenziale e iniqua con cui Biden ha cancellato i debiti studenteschi è stata un trasferimento di risorse dalla classe operaia che non può mandare i figli all’università, al ceto medio le cui rette dei college sono state oggetto di un maxi-condono assistenzialista. 200 miliardi spesi bene dal punto di vista elettorale, vista l’alta affluenza alle urne di giovani studenti.
Biden non ha fatto una campagna elettorale di specchiata moralità però ha evitato una sconfitta che sembrava certa (a tutti fuorché a lui).
Ora gli stessi che lo definirono prematuramente un’anatra zoppa, lo invitano a farsi da parte rinunciando a ricandidarsi nel 2024. Biden deciderà a gennaio, ma di certo non attribuisce una gran credibilità ai suoi avversari interni.
La politica estera rimane una passione di questo presidente, e in queste ore può occuparsene a tempo pieno. Il vertice Asean è un test interessante che dà la misura delle forze e debolezze dell’America.
Tra le forze: tutto ciò che sta succedendo in Ucraina viene osservato nel resto del mondo come un test sulla capacità dell’America di tenere uniti i propri alleati e di indebolire i propri nemici. Per adesso Biden se la sta cavando piuttosto bene, anche perché rispetto a Trump lui ha riesumato una grande risorsa degli Stati Uniti, l’investimento nelle alleanze.
Tra le forze strutturali, di lungo termine, c’è quello che nel mio nuovo libro («Il lungo inverno») definisco «il triangolo d’oro degli imperi»: moneta universale, autosufficienza energetica, superiorità tecnologica (incluse le tecnologie belliche). Né la Cina né la Russia né l’Unione europea finora possono competere con l’America nel possesso di questa triade magica.
Le debolezze non mancano. Ne cito almeno due.
L’America continua a praticare una politica estera che include – a giorni alterni – la dimensione dei diritti umani. Nell’Asean questo crea tensioni con regimi come la Cambogia e Myanmar, verso i quali invece la Cina non opera «interferenze» di quel genere. Inoltre l’America dedica attenzione al Sud-Est asiatico ma la Cina la sorpassa come volume di interscambio commerciale e investimenti. E attenzione, del Sud-Est asiatico non fanno parte solo paesi in via di sviluppo ma anche medie potenze economiche come Singapore, Indonesia, Malaysia, Vietnam. Il vertice Asean consegna a Biden questo messaggio: il Sud-Est asiatico si rifiuta di prendere posizione nella nuova guerra fredda tra America e Cina, anzi cercherà di coltivare buone relazioni con entrambe le superpotenze. È un pezzo di quel «movimento dei non allineati» che abbiamo già visto rinascere in occasione delle sanzioni contro la Russia.
Il mondo che verrà, sotto questo aspetto assomiglia a quello della prima guerra fredda, che vide nascere l’espressione Terzo mondo con un connotato geopolitico: «terzo» perché non voleva stare né con l’Ovest né con l’Est, e possibilmente lucrare la posizione intermedia.
Intanto i leader dell’Asean avranno riso sotto i baffi nell’ascoltare il saluto di Biden al premier della Cambogia. Ma solo sotto i baffi: in un mondo confuciano vige il rispetto per gli anziani. Il fondatore della Cina comunista Mao Zedong fu venerato e temuto fino alla sua morte, nonostante la salute fisica e mentale lo avesse abbandonato già da tempo.
Se Xi Jinping finirà il suo terzo mandato e magari ne pretenderà un quarto, governerà anche a lui fino alla soglia degli ottanta. Non è dalla giovinezza del singolo leader che gli asiatici misurano la solidità degli imperi.
13 novembre 2022, 17:34 – modifica il 13 novembre 2022 | 17:34
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, 2022-11-13 17:51:00, Biden ha incassato un risultato sorprendente — per tutti, ma non per lui — nelle elezioni di MIdterm, e si presenta rafforzato sullo scenario internazionale. Al G20 di Bali metterà alla prova punti di forza e debolezze dell’America,