Di Cristiano Corsini
Nel corso degli ultimi mesi sta guadagnando visibilità la scelta di usare riscontri descrittivi nella valutazione in itinere limitando (o, in alcuni casi, annullando) il ricorso ai voti numerici (come 5 o 10) o ai voti non numerici (come insufficiente, ottimo o avanzato). Prima di approfondire alcuni aspetti legati alla scelta di incentrare la valutazione su riscontri descrittivi piuttosto che sui voti è opportuno fare due premesse.
In primo luogo, tale scelta è del tutto in linea con la migliore tradizione pedagogica e da decenni abitualmente ottiene (a differenza della propensione a incentrare la valutazione sul voto) il conforto di una ricerca empirica che con costanza attesta l’incidenza positiva di feedback analitici e descrittivi sugli apprendimenti.
Va in secondo luogo segnalato come si tratti di una valutazione pienamente coerente con la normativa. Da quest’ultimo punto di vista giova ricordare che nessuna legge impone alcun “congruo numero di voti” su cui basare la valutazione periodica (fine trimestre o quadrimestre) e finale (fine anno). Al contrario, viene esplicitata la necessità di un congruo numero di valutazioni al fine di proporre un voto in sede di scrutinio. Non va dimenticato che, più recentemente, diversi interventi hanno chiarito l’importanza del ricorso a una valutazione descrittiva finalizzata a migliorare l’apprendimento. Per esempio, lo “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria” (1998) e il dm 62 del 2017 affermano entrambi il diritto di chi apprende a una valutazione trasparente, finalizzata al miglioramento e basata su processi autovalutativi.
Tenuto conto del fatto che non ci troviamo di fronte a una soluzione di continuità nei confronti di una tradizione pedagogica né a un elemento di novità rispetto alla normativa, appare sorprendente che scelte valutative vengano definite “sperimentazioni”. Il fatto è che tradizionalmente in campo educativo il ricorso al termine “sperimentale” sconta un uso poco accorto, incentrato più sul carattere apparentemente innovativo di determinate modifiche normative, organizzative o didattiche che sul ricorso a disegni sperimentali per il controllo della loro efficacia (un esempio recente è legato alla scelta di dare per scontata la bontà del liceo quadriennale).
Così, classi o sezioni che basano la propria valutazione in itinere su riscontri descrittivi vengono impropriamente definite “sperimentali” per il solo fatto di aver esplicitato una scelta che, pur avendo il conforto di una consolidata ricerca pedagogica ed essendo pienamente coerente con la normativa, appare del tutto disallineata rispetto a quella, più diffusa, di fondare sul voto non solo la valutazione periodica e finale, ma anche quella in itinere. Se una valutazione propriamente educativa viene considerata sperimentale, innovativa o rivoluzionaria non è dunque perché essa metta in discussione norme ed elaborazioni teoriche o perché debba ancora rivelarsi efficace.
Se la valutazione educativa viene percepita come sperimentale, innovativa o rivoluzionaria è unicamente perché essa rappresenta una discontinuità rispetto all’abitudine a usare il voto come principale o unico mezzo valutativo, una prassi che da tempo esercita una nefasta egemonia.
Questo è solo un estratto dell’articolo presente all’interno del
numero 635 della rivista Tuttoscuola.
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Chi è l’autore
Cristiano Corsini
Professore associato di Pedagogia sperimentale all’Università Roma tre. La sua attività di ricerca è finalizzata all’analisi dei paradigmi, degli approcci e delle scelte metodologiche che caratterizzano le prassi valutative di scuole, università, docenti e istituti preposti alla valutazione educativa (Invalsi, Anvur, Oecd, Iea). Le aree d’indagine sono quattro. La prima è relativa all’impiego, da parte di scuole, università e docenti, di strumenti e approcci valutativi finalizzati all’autovalutazione e alla valutazione, con particolare riguardo all’utilizzo della valutazione formativa come strategia didattica e di sviluppo di contesti complessi. La seconda è legata all’analisi dei sistemi di accountability educativa, all’impiego di modelli del valore valore aggiunto e di altri indicatori di efficacia a livello scolastico e universitario. La terza indaga il ruolo degli stereotipi, con particolare riferimento a quelli di genere, nei processi valutativi. La quarta, infine, è relativa allo sviluppo della ricerca-formazione come elemento di sintesi tra didattica e indagine scientifica.
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