l’editoriale Mezzogiorno, 9 settembre 2022 – 08:54 di Paolo Macry Per quanto fiacca, fumosa, distratta dal solleone, per quanto con un esito già scritto, la campagna elettorale ha una sua indubitabile eloquenza. Perché non annuncia soltanto la vittoria della destra. Annuncia l’aggravarsi del nodo scorsoio che storicamente caratterizza il paese. Il suo fatale buco nero. Il suo fallimento politico. Cioè il dualismo. Anche la campagna elettorale sembra spaccata a metà tra Nord e Sud, come la mela di Guglielmo Tell. A Nord il tema sul quale battono prevalentemente le forze politiche riguarda il problema energetico, i modi per soccorrere le imprese dell’aumento vertiginoso della bolletta elettrica, la richiesta all’Europa di un intervento finanziario che eviti il collasso di interi apparati manufatturieri. Su questo insiste la destra, sebbene con divergenze interne non marginali che riguardano la possibilità di mettere mano a un consistente extradeficit (Lega) o invece il richiamo ai vincoli del debito pubblico (Fratelli d’Italia). Ma non meno insistente e sostanzialmente dedicata al Nord appare la richiesta di una riforma fiscale fondata su un qualche modello di flat tax (per quanto anche su questo le opinioni di Meloni, Salvini e Berlusconi appaiano non omogenee). E poi, naturalmente, è dedicato al Nord il grosso tema sistemico dell’autonomia differenziata. Ebbene, se le profezie dei sondaggisti si avvereranno, sarà sostanzialmente questa la ricetta su cui la destra farà il pieno di voti nelle regioni settentrionali: provvedimenti per le imprese, un fisco dedicato ai ceti medi, una maggiore autonomia degli enti regionali. Quanto alla sinistra, appare evidentemente tagliata fuori da simili progetti e anzi ostile ad essi, puntando piuttosto su tematiche ideologiche, «barricate» istituzionali e diritti: la denuncia delle origini illiberali del partito di Giorgia Meloni, il pericolo per la democrazia delle ipotesi di riforma costituzionale a base presidenzialista, la proposta di politiche della cittadinanza (ius scholae) e di politiche per i giovani (bonus alla maggiore età da finanziare con una nuova tassa di successione), eccetera. Quanto al Mezzogiorno, la musica appare decisamente diversa, diversi gli argomenti e le promesse più frequenti, diversi i partiti che sembrano avere a cuore le sorti dell’«altra Italia», diverse (parzialmente) le aspettative elettorali suggerite dai sondaggi. Al Sud, per dirla sommariamente, i temi del confronto elettorale sono il reddito di cittadinanza, i sussidi alle famiglie colpite dall’inflazione, il salario minimo, il rifiuto strenuamente enunciato (ma raramente spiegato) dell’autonomia differenziata, la denuncia altrettanto feroce delle ipotesi di flat tax. Ovvero una prospettiva assistenzialistica (pauperistica, direbbero alcuni analisti come Nicola Rossi) e, per quel che concerne i poteri delle regioni, un’attitudine conservatrice. Altra musica e altri attori politici. Se il programma settentrionale è ispirato tradizionalmente dalla Lega, cui si accoda oggi in buona misura la strategia di Giorgia Meloni, il programma meridionale vede protagonista Giuseppe Conte e ripete i classici cavalli di battaglia del M5s, e ad esso si accoda il Pd, o quanto meno ampi settori dei «democrat», da Orlando a Delrio. Detto con linguaggio obsoleto, insomma, il confronto Nord-Sud corrisponde all’alternativa destra-sinistra. Con in mezzo un Terzo Polo che si ripromette di erodere consensi tanto a destra quanto a sinistra, sebbene sembri più probabile la seconda ipotesi. Attenzione però a ritenere che tutto ciò sia un déjà vu. Certo, non è una novità che, ancora una volta, il paese si spezzi territorialmente a metà tra assistenzialismo e mercato. Me è invece un fatto nuovo che sulle problematiche del dualismo la destra appaia in grado di trovare una sostanziale compattezza, sia pure nel clima della competizione tra Meloni e Salvini per la leadership. E basti riandare al passato. Quando Berlusconi diede origine alla coalizione vincente del 1994, la sua abilità politica consistette nel mettere sotto lo stesso tetto una destra conservatrice meridionale (l’ex Msi di Gianfranco Fini) e una forza politica per più versi innovativa come la Lega di Bossi. Oggi questa doppia anima non esiste più, grazie alla capacità del partito di Meloni di sfidare proprio la Lega nella conquista del Nord. E, dicono i soliti sondaggi, con evidente successo. Oggi, in altre parole, il Nord promette di avere una rappresentanza assai più solida che durante la stagione berlusconiana, avendo scommesso su una destra in forte espansione. Mentre, simmetricamente, appare assai più debole il Sud, che non può più contare su un destra sociale ormai dissolta e l’ha sostituita con il populismo pentastellato. Trascinando con se, sia pure riluttante, una sinistra sempre meno lib-lab e sempre più demagogica. Novità grosse, come si vede. E come si vedrà in modo definitivo quando sarà possibile capire come si sono spalmati sul territorio i voti degli italiani. Ma già adesso è facile prevedere che l’affidarsi a formazioni politicamente fragili e addirittura estemporanee come il M5s non gioverà al Mezzogiorno. Tanto più in una congiuntura nazionale e internazionale che minaccia sviluppi sociali e geopolitici drammatici. Istituzioni statali efficienti, accrescimento della produttività, selezione competitiva della classe dirigente servirebbero come l’aria a questo Sud sempre in affanno, sempre in ritardo. E serviranno a maggior ragione se i vincoli del bilancio pubblico costringeranno a smentire le costose politiche redistributive del grillismo, se ridimensioneranno le aspettative create da un reddito di cittadinanza mal concepito, se anche l’opinione pubblica meridionale dovrà smettere il pernicioso rifiuto delle innovazioni tecnologiche, nucleare compreso. Il Nord, sia pure stremato dal biennio epidemico e dalla crisi ucraina, sembra aver scelto una destra decisa a implementare le funzioni regionali, ad assecondare il mercato, ad affrontare perfino il tabù dell’assistenzialismo (ed è assai significativo che anche gli eredi della destra sociale si siano messi su questa strada). E il Sud di Conte, Emiliano, Boccia, Bettini? Rischia di inseguire obiettivi sempre più irrealistici. 9 settembre 2022 | 08:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-09-09 06:55:00, l’editoriale Mezzogiorno, 9 settembre 2022 – 08:54 di Paolo Macry Per quanto fiacca, fumosa, distratta dal solleone, per quanto con un esito già scritto, la campagna elettorale ha una sua indubitabile eloquenza. Perché non annuncia soltanto la vittoria della destra. Annuncia l’aggravarsi del nodo scorsoio che storicamente caratterizza il paese. Il suo fatale buco nero. Il suo fallimento politico. Cioè il dualismo. Anche la campagna elettorale sembra spaccata a metà tra Nord e Sud, come la mela di Guglielmo Tell. A Nord il tema sul quale battono prevalentemente le forze politiche riguarda il problema energetico, i modi per soccorrere le imprese dell’aumento vertiginoso della bolletta elettrica, la richiesta all’Europa di un intervento finanziario che eviti il collasso di interi apparati manufatturieri. Su questo insiste la destra, sebbene con divergenze interne non marginali che riguardano la possibilità di mettere mano a un consistente extradeficit (Lega) o invece il richiamo ai vincoli del debito pubblico (Fratelli d’Italia). Ma non meno insistente e sostanzialmente dedicata al Nord appare la richiesta di una riforma fiscale fondata su un qualche modello di flat tax (per quanto anche su questo le opinioni di Meloni, Salvini e Berlusconi appaiano non omogenee). E poi, naturalmente, è dedicato al Nord il grosso tema sistemico dell’autonomia differenziata. Ebbene, se le profezie dei sondaggisti si avvereranno, sarà sostanzialmente questa la ricetta su cui la destra farà il pieno di voti nelle regioni settentrionali: provvedimenti per le imprese, un fisco dedicato ai ceti medi, una maggiore autonomia degli enti regionali. Quanto alla sinistra, appare evidentemente tagliata fuori da simili progetti e anzi ostile ad essi, puntando piuttosto su tematiche ideologiche, «barricate» istituzionali e diritti: la denuncia delle origini illiberali del partito di Giorgia Meloni, il pericolo per la democrazia delle ipotesi di riforma costituzionale a base presidenzialista, la proposta di politiche della cittadinanza (ius scholae) e di politiche per i giovani (bonus alla maggiore età da finanziare con una nuova tassa di successione), eccetera. Quanto al Mezzogiorno, la musica appare decisamente diversa, diversi gli argomenti e le promesse più frequenti, diversi i partiti che sembrano avere a cuore le sorti dell’«altra Italia», diverse (parzialmente) le aspettative elettorali suggerite dai sondaggi. Al Sud, per dirla sommariamente, i temi del confronto elettorale sono il reddito di cittadinanza, i sussidi alle famiglie colpite dall’inflazione, il salario minimo, il rifiuto strenuamente enunciato (ma raramente spiegato) dell’autonomia differenziata, la denuncia altrettanto feroce delle ipotesi di flat tax. Ovvero una prospettiva assistenzialistica (pauperistica, direbbero alcuni analisti come Nicola Rossi) e, per quel che concerne i poteri delle regioni, un’attitudine conservatrice. Altra musica e altri attori politici. Se il programma settentrionale è ispirato tradizionalmente dalla Lega, cui si accoda oggi in buona misura la strategia di Giorgia Meloni, il programma meridionale vede protagonista Giuseppe Conte e ripete i classici cavalli di battaglia del M5s, e ad esso si accoda il Pd, o quanto meno ampi settori dei «democrat», da Orlando a Delrio. Detto con linguaggio obsoleto, insomma, il confronto Nord-Sud corrisponde all’alternativa destra-sinistra. Con in mezzo un Terzo Polo che si ripromette di erodere consensi tanto a destra quanto a sinistra, sebbene sembri più probabile la seconda ipotesi. Attenzione però a ritenere che tutto ciò sia un déjà vu. Certo, non è una novità che, ancora una volta, il paese si spezzi territorialmente a metà tra assistenzialismo e mercato. Me è invece un fatto nuovo che sulle problematiche del dualismo la destra appaia in grado di trovare una sostanziale compattezza, sia pure nel clima della competizione tra Meloni e Salvini per la leadership. E basti riandare al passato. Quando Berlusconi diede origine alla coalizione vincente del 1994, la sua abilità politica consistette nel mettere sotto lo stesso tetto una destra conservatrice meridionale (l’ex Msi di Gianfranco Fini) e una forza politica per più versi innovativa come la Lega di Bossi. Oggi questa doppia anima non esiste più, grazie alla capacità del partito di Meloni di sfidare proprio la Lega nella conquista del Nord. E, dicono i soliti sondaggi, con evidente successo. Oggi, in altre parole, il Nord promette di avere una rappresentanza assai più solida che durante la stagione berlusconiana, avendo scommesso su una destra in forte espansione. Mentre, simmetricamente, appare assai più debole il Sud, che non può più contare su un destra sociale ormai dissolta e l’ha sostituita con il populismo pentastellato. Trascinando con se, sia pure riluttante, una sinistra sempre meno lib-lab e sempre più demagogica. Novità grosse, come si vede. E come si vedrà in modo definitivo quando sarà possibile capire come si sono spalmati sul territorio i voti degli italiani. Ma già adesso è facile prevedere che l’affidarsi a formazioni politicamente fragili e addirittura estemporanee come il M5s non gioverà al Mezzogiorno. Tanto più in una congiuntura nazionale e internazionale che minaccia sviluppi sociali e geopolitici drammatici. Istituzioni statali efficienti, accrescimento della produttività, selezione competitiva della classe dirigente servirebbero come l’aria a questo Sud sempre in affanno, sempre in ritardo. E serviranno a maggior ragione se i vincoli del bilancio pubblico costringeranno a smentire le costose politiche redistributive del grillismo, se ridimensioneranno le aspettative create da un reddito di cittadinanza mal concepito, se anche l’opinione pubblica meridionale dovrà smettere il pernicioso rifiuto delle innovazioni tecnologiche, nucleare compreso. Il Nord, sia pure stremato dal biennio epidemico e dalla crisi ucraina, sembra aver scelto una destra decisa a implementare le funzioni regionali, ad assecondare il mercato, ad affrontare perfino il tabù dell’assistenzialismo (ed è assai significativo che anche gli eredi della destra sociale si siano messi su questa strada). E il Sud di Conte, Emiliano, Boccia, Bettini? Rischia di inseguire obiettivi sempre più irrealistici. 9 settembre 2022 | 08:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,