di Barbara Visentin
Il rapper napoletano torna con il nuovo disco «Dove volano le aquile»
Tra gli artisti che in Italia stanno traghettando il rap verso l’età adulta, Luchè vive il paradosso di essere uno dei più citati come punto di riferimento dai giovani emergenti, ma al tempo stesso uno dei meno conosciuti in ambito mainstream. Classe 1981, fondatore del seminale duo hip hop napoletano Co’Sang a fine anni 90, Luca Imprudente è tornato a rivendicare il suo posto nella musica con «Dove volano le aquile», nuovo album arrivato dopo oltre tre anni di silenzio.
Un progetto che riflette la sua voglia di fare «qualcosa di più grosso e importante», scaturito da un lavoro su se stesso che, complice anche la pandemia, gli ha dato voglia di confrontarsi e mostrare la sua visione: «Il pubblico ha bisogno di dialogare, di rispecchiarsi anche nel lato personale di noi artisti», sostiene. Dice che in Italia stiamo vivendo «un momento buio culturalmente», in cui «c’è bisogno di mettere a disagio, altrimenti rimane tutto piatto e buonista».
La critica di Luchè punta anche al rap, colpevole, secondo lui, di aver sprecato occasioni importanti: «C’è stato un boom incredibile, il rap è diventato la musica più ascoltata e venduta in Italia, ma non si sono creati radio, giornali, tv, festival o awards del settore. Ci siamo dovuti adattare al mainstream italiano che è vecchissimo, abituato alla solita formuletta pop, mentre il rap nasce come controcultura». Luchè guarda all’estero, «dove il movimento urban ha creato un sacco di roba». Da noi, sostiene «si doveva investire e non svendersi», mentre invece «molti artisti che volevano di più hanno cambiato genere e fanno pop»: «Sanremo era in completo declino, si è svecchiato da quando ci sono andati i rapper. Ma ci sono andati a non fare i rapper».
È mancato il coraggio, prosegue: «Tanti miei colleghi fanno i fighi e poi appena vedono un po’ di successo diventano uguali a quei cantanti che criticavano a inizio carriera». Ma la musica riflette il Paese: «Siamo dei mammoni che non vogliono crescere. Non siamo aperti alle nuove generazioni, non siamo aperti agli immigrati, non siamo aperti alle contaminazioni. Credere che qua tutto sia impossibile ci fa stare indietro rispetto al mondo».
Luchè ha anticipato l’uscita del disco sul web con tre monologhi che riassumono il suo pensiero, letti da Marco D’Amore, Alessandro Siani e Belen Rodriguez: «Con Belen volevo spiazzare. Presi dai pregiudizi non riusciamo a vedere quel che c’è nelle persone. Invece vedo la sua profondità». Nei 16 brani non mancano i featuring, fra cui voci femminili come quella di Elisa nella prima traccia «D1OS», Madame in «Qualcosa di grande» ed Etta, da lui stesso prodotta, in «Liberami da te». Marracash, Ernia, CoCo, Geolier, Gué e Noyz Narcos completano il parterre di ospiti di un lavoro che porterà Luchè in tour estivo e poi nei palazzetti in autunno.
«Sono arrivato a fare i dischi di platino e ad avere il pubblico che ho soltanto con la mia musica, senza mai un po’ di promozione», commenta. Dopo un dissing con Salmo, aggiunge, gli sono arrivati quasi 200mila follower su Instagram: «Significa che 200mila persone mi hanno scoperto grazie a un litigio con un mio collega, è ridicolo. E se in questi anni si fosse parlato di più di me e della mia musica? Mi fa rabbia pensare a dove sarei».
1 aprile 2022 (modifica il 1 aprile 2022 | 19:48)
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