Xi, un prigioniero del nazionalismo  con l’ossessione della riunificazione

Xi, un prigioniero del nazionalismo  con l’ossessione della riunificazione

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di Guido Santevecchi

Il presidente cinese si appella alla volontà del popolo, ma è stato lui stesso a scatenarla

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PECHINO – Non ama i dibattiti politici in pubblico la democrazia «con caratteristiche cinesi». Il Politburo del Partito-Stato discute in segreto con i compagni del Comitato centrale e poi annuncia le decisioni. Funziona così il «patto sociale» non dichiarato, in base al quale negli ultimi quarant’anni il Partito ha garantito alle masse un tenore di vita sempre più elevato e in cambio ha governato incontrastato.

Sulla questione taiwanese non è ancora stata presa una decisione finale. Certo, Xi Jinping e compagni sono ossessionati da un sogno, quando affermano che l’isola fa parte della Repubblica popolare cinese. Ma Taipei può vantare di non essere stata mai, nemmeno per un giorno, sotto il controllo dello Stato comunista fondato da Mao Zedong nel 1949: la parola «riunificazione» suona dunque dubbia.

I cinesi comuni di questi tempi guardano con preoccupazione ai loro redditi intrappolati nel rallentamento economico e fanno i conti con le continue restrizioni sanitarie per il coronavirus. Eppure, quando ha parlato con Joe Biden l’ultima volta il 28 luglio, mentre la speaker della Camera Nancy Pelosi si preparava a partire per Taipei, il presidente cinese ha dichiarato che «la ferma volontà di un miliardo e quattrocento milioni di cinesi» ha un peso schiacciante nella questione della sovranità su Taiwan. E ha promesso: «Chi gioca col fuoco muore tra le fiamme».

Invece, la signora Pelosi ha avuto le sue 12 ore di gloria a Taipei e il giorno dopo ad aprire il fuoco sono stati i cinesi in grandi manovre che simulano un blocco navale o un’invasione. La reazione sovradimensionata sembra essere stata imposta proprio dalle parole dette da Xi a Biden e rilanciate dalla stampa di Pechino, da quel riferimento al peso della «volontà del popolo cinese». Molti segnali indicano come il fattore nazionalismo cavalcato da Xi lo abbia costretto a infilarsi nello Stretto taiwanese e a correre il rischio di un conflitto con gli Stati Uniti .

Prima del viaggio di Pelosi, sul web mandarino si erano inseguite dichiarazioni folli: bisogna dirottare l’aereo, bisogna sparare colpi di avvertimento e se non inverte la rotta colpire, aveva scritto Hu Xijin, ex direttore del Global Times nazionalcomunista e portavoce della fazione più dura intorno al Partito. La stampa statale aveva dato risalto a un convegno dell’Istituto cinese di studi su Taiwan nel quale era stato affermato «Non dite che non vi avevamo avvertito»: l’espressione era stata usata nel 1962 prima della guerra con l’India e poi nel 1979 prima di quella con il Vietnam. Titoli anche per la previsione che «l’Esercito popolare di liberazione non starà a guardare l’aereo americano nei nostri cieli nazionali».

Il rullo di tamburi alla fine deve aver creato imbarazzo a Zhongnanhai, la cittadella del potere comunista accanto alla Città proibita. Il web è stato ripulito dalle grida di battaglia più furibonde. Ma quando il jet Usa è atterrato incontrastato a Taipei, c’è stato uno scoppio di delusione sui social cinesi. «La strega Pelosi varca la nostra linea rossa e noi non ci siamo mossi», si è letto sul web mandarino. E ancora, su Weibo è comparso il post: «La tigre di carta siamo noi».

«La gente è contrariata, questo è un brutto colpo per il prestigio di Xi», dice Deng Yuwen, ex direttore di una rivista del Partito trasferitosi all’Università di Nottingham dopo aver scritto tesi sgradite al governo. Apparentemente Xi ha subito il contraccolpo del fattore nazionalismo che aveva usato per ammonire Biden e presumibilmente distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica e dei compagni del Politburo dalle difficoltà interne: crescita ferma e stillicidio di lockdown sanitari in centinaia di città.

Significativo che il ministero degli Esteri abbia schierato la sua portavoce più esperta, la viceministra Hua Chunying, che nel briefing della mattina dopo lo sbarco della signora Pelosi ha ammesso: «La scorsa notte non abbiamo preso sonno» e poi ha lanciato un appello al «patriottismo razionale», chiedendo alla gente di avere pazienza e fiducia nella capacità del governo di gestire la questione della sovranità nazionale. Poi è scattata l’operazione militare intorno a Taiwan, «di forza senza precedenti», cavalcata dalla propaganda cinese per risollevare il morale di quel miliardo e quattrocento milioni di cittadini ai quali Xi ha ricordato che Taiwan è cinese. Il genio del nazionalismo, una volta accarezzato, non ritorna da solo nella bottiglia.

6 agosto 2022 (modifica il 6 agosto 2022 | 22:54)

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, 2022-08-06 20:54:00, Il presidente cinese si appella alla volontà del popolo, ma è stato lui stesso a scatenarla, Guido Santevecchi

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