Dondé, l’urbanista che porta in Italia le «Zone 30» nei centri urbani: «Così salvano vite umane. E fanno risparmiare tempo»

Dondé, l’urbanista che porta in Italia le «Zone 30» nei centri urbani: «Così salvano vite umane. E fanno risparmiare tempo»

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di Riccardo Bruno

Milanese, è allievo di Lydia Bonanomi, svizzera, teorica del modello di moderazione della velocità del traffico nei centri cittadini (importato in tutta Europa): «In Italia siamo in ritardo, serve un cambiamento culturale. Bisogna spiegare ai cittadini perché sono necessarie»

«Nelle grandi città europee, Parigi, Berlino o Copenaghen, di fatto c’è già il limite dei 30 all’ora. E in Spagna l’anno scorso il nuovo codice della strada l’ha previsto in tutte le strade urbane, tranne quelle a 4 corsie. In Italia invece siamo indietro. E soprattutto non viene spiegato ai cittadini perché è uno strumento che migliora la vita di tutti». L’architetto Matteo Dondé, esperto in pianificazione della mobilità e riqualificazione degli spazi pubblici, è uno degli allievi di Lydia Bonanomi, l’urbanista svizzera considerata la «teorica della moderazione del traffico nei centri urbani». I suoi saggi sono diventati un punto di riferimento (tra i più noti Ville plus sure e Zona 30, gente contenta), un modello culturale recepito in molti Paesi d’Europa che Dondé sta cercando di diffondere anche nel nostro Paese. «Prima di introdurre una zona 30, l’architetta Bonanomi organizzava ogni giovedì, per tre mesi, quello che chiamava “l’aperitivo della velocità”, in cui spiegava ai cittadini quali erano i vantaggi. Oppure, un sabato al mese, chiudeva una strada e ci faceva giocare i bambini. Così tutti potevano capire quali vantaggi comportava».

In Italia sempre più città prevedono Zone 30.

«È vero, ma manca appunto il dibattito. Mi stupisce per esempio che non la faccia Milano, che avrebbe la forza per affrontare una discussione seria. E invece è un aspetto che ritengo fondamentale. A Monaco, dove peraltro solo il 27% usa l’auto, quindi è già molto avanti, un quarto dei dieci milioni di euro di investimenti annu in questo settore viene destinato ancora alla comunicazione. Da noi invece di questi temi non si parla».

La Zona 30 viene vista dai cittadini come un nuovo obbligo. E così la accetta malvolentieri.

«Ogni cambiamento è difficile e capisco le resistenze. Ma è necessaria una rivoluzione culturale».

Qualcuno fa fatica ad andare «così piano».

«Basta rispondergli con un dato: la velocità media nelle città è tra i 18 e 20 chilometri orari. Si corre tra un semaforo e l’altro, e si poi si resta in fila».

Perché è uno strumento decisivo per la sicurezza?

«Anche se complessivamente i dati degli incidenti sono in calo, quelli urbani sono in aumento. Viaggiare entro i 30 all’ora significa dimezzare i tempi di arresto dell’automobile, aumenta il campo visivo del guidatore. A Bruxelles, dove il limite dei 30 orari è entrato in vigore dal primo gennaio 2021, in un anno i morti e i feriti gravi sono diminuiti del 50%».

Le Zone 30 sono nate proprio per questo.

«Nel 1972 un quartiere di Amsterdam si ribellò, i genitori protestarono al grido di “basta bambini morti in strada”. Fu la scintilla per rivedere il disegno delle strade e affrontare il tema della riduzione della velocità».

Quali sono le esperienze positive in Italia?

«Ce n’è una efficace a Torino Mirafiori, ha fatto tanto anche il Comune di Reggio Emilia. E poi mi piace ricordare Olbia, la prima città italiana interamente Zona 30, una misura decisa da un’amministrazione di centrodestra. Va sfatata la convinzione che la bici è di sinistra e l’auto di destra. Non è una questione di colore politico, ma un tema di civiltà».

L’utilità della Zona 30 non è solo in termini di sicurezza.

«Serve anche a ridurre l’inquinamento e ad abbassare il livello di rumore. Attiene direttamente al miglioramento della salute e della qualità della vita delle persone. E c’è anche un altro aspetto strategico di cui di parla poco: la possibilità di riequilibrare lo spazio pubblico, avere marciapiede più ampi, mettere un filare di alberi, oppure i tavolini dei bar all’eterno».

Favorisce anche la mobilità alternativa.

«Quasi il 50% dei tragitti in città sono inferiori ai 3-5 chilometri. Questo vuol dire che si può benissimo utilizzare la bicicletta. Tra l’altro in questo modo si favorisce chi invece l’auto è costretto a usarla. Sembra un paradosso, ma nelle Zone 30 il traffico si fluidifica. Da una ricerca è emerso che gli automobilisti più felici in Europa sono gli olandesi, dove l’auto si usa di meno».

Lei insiste anche sul linguaggio.

«È profondamente sbagliato parlare di strade killer o di auto impazzita. Così si deresponsabilizza chi guida. Il 95% degli incidenti è causato da errore umano, la colpa è dell’automobilista non dell’auto. Sarebbe più giusto definirla violenza stradale, come per esempio si fa in Francia».

26 ottobre 2022 (modifica il 26 ottobre 2022 | 16:21)

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, 2022-10-26 14:21:00, Milanese, è allievo di Lydia Bonanomi, svizzera, teorica del modello di moderazione della velocità del traffico nei centri cittadini (importato in tutta Europa): «In Italia siamo in ritardo, serve un cambiamento culturale. Bisogna spiegare ai cittadini perché sono necessarie», Riccardo Bruno

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