La pagella del MereghettiIl cinema, lo spazio dei sogniOlivia Colman volto da Oscar (voto 6/7)

di Paolo Meregheti

In Empire of Light il regista premio Oscar Sam Mendes utilizza una vecchia sala cinematografica in disuso come tela su cui dare forma al proprio amore per il cinema

Un omaggio al cinema. O meglio: un omaggio alla memoria del cinema, quando le scatole delle pellicole si ammucchiavano davanti alla porta del proiezionista e le maschere ti accoglievano col sorriso per annullarti il biglietto. il cinema con cui cresciuto Sam Mendes (Oscar per American Beauty, due Bond tra cui l’imperdibile Skyfall e poi 1917 , nomination per la regia oltre che in altre nove categorie), il cinema che ha segnato la sua adolescenza e la sua immaginazione e che durante la pandemia diventato un tema cos forte e ossessivo da diventare un film, Empire of Light (ipse dixit).

Un cinema che assomigliava a un castello, che si innalza sul lungomare di una citt del Kent ( Margate) ma che inizia a mostrare i segni dell’usura e soprattutto l’arrivo di nuovi tempi: una volta aveva quattro schermi, adesso ne sono rimasti accesi solo due mentre la neo-premier Thatcher (siamo nel 1981) sembra fare di tutto per peggiorare le tensioni sociali. Cos alla castellana Hilary (Olivia Colman, ingiustamente dimenticata alle nomination per gli Oscar) non resta che usare le sale in disuso per trovare un po’ di pace e ritagliarsi uno spazio per sognare.

A dir la verit, Hilary non proprio la castellana del cinema Empire, solo una specie di segretaria che coordina anche il personale e che deve accettare una relazione che oggi diremmo tossica con il signore del luogo, il proprietario Donald Ellis (Colin Firth), totalmente insensibile alle fragilit di una donna che uscita segnata da una depressione. E che cerca di trovare proprio nel rapporto con gli altri dipendenti la forza per tirare avanti, fino a quando verr assunto il giovane Stephen (Michael Ward), ragazzo di colore che sogna l’universit e che accende in Hilary la speranza di una relazione non subita ma voluta.

Sam Mendes, che ha firmato da solo la sceneggiatura, usa l’Empire come la tela su cui muove i propri personaggi e insieme dare forma al proprio amore per il cinema. A volte il bastione che difende dall’aggressivit del mondo esterno (i manifestanti razzisti che invadono le strade da tenere lontani o lo spettatore insultante da allontanare), altre volte un labirinto dentro cui nascondersi (come fanno Hilary e Stephen quando scoprono la reciproca attrazione), altre volte solo il fondale dove ognuno dei dipendenti recita la propria piccola parte, sotto lo sguardo comprensivo e malinconico del vecchio proiezionista (Toby Jones), a cui la vita sembra aver insegnato soprattutto rassegnazione e pazienza

Ogni tanto noi spettatori sbirciamo in sala e rubiamo qualche spezzone di film per ricordare in che tempi si viveva, a volte con una funzione antifrastica (Nessuno ci pu fermare dove Sidney Poitier dirige Gene Wilder e Richard Prior in una farsa che si prende gioco degli stereotipi razzisti proprio mentre in Gran Bretagna il razzismo torna d’attualit e Stephen ne paga le conseguenze), a volte per ribadire l’incombenza del tramonto (Oltre il giardino, ultimo film di Peter Sellers, perfetto complemento alla decadenza anche fisica dell’Empire), altre volte per incorniciare il fallimentare sogno di una possibile rinascita, come nella serata di gala per la prima di Momenti di gloria, che segner anche lo svelamento della miseria umana di Donald Ellis.

Su tutto, per, incombe come una nebbia che non vuole mai sollevarsi e che neppure la luce di cui sono fatti i film riesce a rischiarare perch finisce per far splendere la polvere dell’Empire ma anche la stanchezza del vivere che pian piano attanaglia Hilary e che la fa scivolare verso un atto di ribellione autopunitivo. Finendo per spegnere, o comunque per affievolire di molto, quella luce che, a sentire il titolo, dovrebbe ancora far brillare il cinema. E quello che all’inizio sembrava un inno alla forza dei film e della loro tradizione si rivela una specie di disincantato, epicedio per un mondo definitivamente tramontato. Finendo per svelare le fragilit di un regista che sembra pi a suo agio con le grandi macchine produttive hollywoodiane che non con le ombre di un passato malinconico.

28 febbraio 2023 (modifica il 28 febbraio 2023 | 21:54)

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Pietro Guerra

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