La carne artificiale è il business del XXI secolo. Per ricercatori e imprenditori tech non è solo la risposta più efficace al crescente bisogno di cibo proteico, ma anche uno strumento per abbattere le emissioni di gas serra. A questa nuova frontiera, che raccoglie ogni anno finanziamenti sempre maggiori, si oppone una parte del mondo agri-industriale che teme lo stravolgimento di un mercato da oltre 1.400 miliardi di euro. Inoltre si aggiunge la diffidenza della popolazione meno giovane verso un cibo creato in laboratorio.
Che cos’è la carne artificiale
La carne artificiale detta anche «carne coltivata» si ottiene prelevando cellule staminali da un animale. La tecnica è già utilizzata in medicina rigenerativa: si prelevano cellule da un muscolo vivente per coltivarle in un bioreattore che riproduce le stesse condizioni del corpo animale (temperatura, acidità, ph, etc.) e l’alimentazione avviene con una miscela di nutrienti affinché le cellule si moltiplichino in maniera esponenziale. Il sistema portato su scala industriale sarà in grado di produrre da una sola cellula 10 mila chili di carne. In pratica quelle cellule per diventare hamburger impiegano poche settimane, mentre attraverso la crescita naturale di un bovino occorre un anno e mezzo.
Perché la carne in laboratorio?
I vantaggi sono prima di tutto ambientali. Gli allevamenti sono responsabili del 14,5% dei gas serra, e quelli intensivi sono la causa principale anche della deforestazione. Per un kg di carne bovina servono in media 11.500 litri d’acqua, mentre secondo lo studio scientifico «Environmental Impacts of Cultured Meat Production» per la stessa quantità di carne coltivata bastano tra 367 e 521 litri. La ricerca dimostra anche che il consumo di suolo si riduce del 99%. Poi ci sono ragioni sanitarie: l’allevamento intensivo è fonte di epidemie (mucca pazza, influenza suina, aviaria etc.), e l’uso massiccio di antibiotici a scopo preventivo contribuisce a provocare l’antibiotico-resistenza negli esseri umani. Infine, le ragioni etiche: ogni anno sono allevati 60 miliardi di animali, la maggior parte prima di finire al macello vive in condizioni di tortura per ottenere massima produttività. A tal proposito è il caso di segnalare che dal 2018 in California è in vigore la «Proposition 12», norma che prevede negli allevamenti uno spazio minimo di 2,2 mq per ogni animale (vitelli, maiali e galline): ora sarà una sentenza della Corte Suprema a stabilire se estenderla a tutti gli Stati Uniti.
Come nasce il cibo del futuro
I primi studi risalgono all’inizio del 2001 quando la Nasa avvia degli esperimenti sulla possibilità di produrre cibo fresco nello spazio in previsione dei viaggi su Marte. Il primo hamburger al mondo prodotto in laboratorio è stato realizzato prelevando cellule staminali dal muscolo di una mucca nell’agosto del 2013 da Mark Post, direttore del Dipartimento di fisiologia dell’Università di Maastricht. Per ottenere i 142 grammi di questo primo hamburger ci vollero tra i 250 e i 290 mila euro. In 10 anni i costi sono crollati. A marzo 2022 – scrive Forbes – l’hamburger artificiale ha raggiunto un prezzo di 9,80 dollari «perché la scala della produzione è migliorata notevolmente, ma il prodotto resta ancora più caro di un hamburger in un negozio di alimentari o al ristorante».
Gli investimenti nella carne artificiale
Secondo i dati del «Good Food Institute» oggi 107 società in 25 Paesi si stanno occupando di carne artificiale. In Europa se ne contano 29, in Italia ce n’è una sola: la start up trentina Bruno Cell. Gli investimenti nel settore hanno raggiunto 1,38 miliardi nel 2021, circa il 71% in più rispetto all’anno precedente (410 milioni di dollari). Fra gli investitori che dal 2016 hanno puntato sulla carne coltivata ci sono i tycoon del mondo tecnologico come Bill Gates, Richard Branson, Sergey Brin, Peter Thiel e Li Ka Shing, personaggi dello spettacolo come Leonardo DiCaprio, ma soprattutto giganti alimentari e dell’industria della carne come JBS, Tyson Foods, Kellogg’s e Cargill. JBS, la più grande azienda di lavorazione della carne al mondo, recentemente ha annunciato 100 milioni di investimenti nella start up spagnola «BioTech Foods» e la costruzione di uno stabilimento per la ricerca e produzione di carne in provetta in Brasile. Da parte sua invece «Future Meat Technologies», azienda biotecnologica israeliana all’avanguardia nella produzione di pollo coltivato, a dicembre 2021 ha raccolto 347 milioni di dollari di finanziamenti da parte di varie società guidate dall’americana ADM Ventures e dal gigante della carne Tyson Foods. In generale i principali investimenti sono in Nord America (701 milioni di dollari), segue il Medio Oriente (475 milioni di dollari) e l’ Europa (121 milioni di dollari).
Dove si vende la carne artificiale
Al momento il primo e unico Paese ad aver dato il via libera alla vendita è Singapore: dal 2021, «Good Meat», sussidiaria della start up Eat Just, vende crocchette nel lussuoso ristorante «1880» di Singapore a 23 euro a piatto. In Israele il ristorante «The Kitchen» permette di consumare pollo coltivato, ma i clienti devono firmare una liberatoria, assumendosi tutti i rischi. Una precauzione ragionevole poiché non esistono ancora studi sugli effetti nel lungo periodo (quelli li scopriremo solo vivendo). Negli Usa è atteso a breve l’ok della Food and Drug Administration (FDA), mentre in Europa il prodotto che cade sotto la disciplina dei «novel foods» dovrà superare prima il parere tecnico dell’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) e poi quello della Commissione.
L’altra faccia della medaglia
Le resistenze non sono poche. A partire da Coldiretti: «Gli allevamenti – spiega Felice Adinolfi, direttore del Centro Studi Divulga – sono vitalità economica di interi territori, garantiscono la biodiversità, mantengono in equilibrio il consumo di suolo, evitando l’inselvatichimento di intere aree». C’è poi un tema che riguarda l’occupazione: solo in Europa l’intera filiera della carne (dai veterinari alla grande distribuzione) occupa 7 milioni di persone (in Italia lavorano nel settore zootecnico 270 mila imprenditori agricoli con allevamenti e 250 mila dipendenti) che i laboratori non rimpiazzeranno. Quanto all’ambiente ci sono due considerazioni da fare: a) la scomparsa degli allevamenti intensivi ridurrebbe moltissimo le emissioni di CO2; b) la quantità di energia per produrre carne coltivata è maggiore rispetto a quella necessaria al processo industriale della produzione di qualsiasi carne naturale (quello che va dal macello al supermercato). Lo dimostra lo studio scientifico «Anticipatory Life Cycle of in Vitro Biomass Cultivation for Cultured Meat Production in United States». Infine, questa nuova frontiera «aggira» un grande problema sanitario: tutti gli studi scientifici concordano sul fatto che la carne rossa fa male, dunque più che sostituirla con quella artificiale, bisogna mangiarne il meno possibile.
Per il bene dell’ambiente e della salute, sostiene Jilles Luneau nel libro «Carne artificiale? No, grazie», occorre ridurre drasticamente gli allevamenti intensivi, puntando su quelli estensivi e biologici. Alla fine, però, ad orientare l’industria saranno i consumatori, perché sono loro a decidere cosa mettere nel piatto.
19 ottobre 2022 | 07:09
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, 2022-10-19 08:12:00,
La carne artificiale è il business del XXI secolo. Per ricercatori e imprenditori tech non è solo la risposta più efficace al crescente bisogno di cibo proteico, ma anche uno strumento per abbattere le emissioni di gas serra. A questa nuova frontiera, che raccoglie ogni anno finanziamenti sempre maggiori, si oppone una parte del mondo agri-industriale che teme lo stravolgimento di un mercato da oltre 1.400 miliardi di euro. Inoltre si aggiunge la diffidenza della popolazione meno giovane verso un cibo creato in laboratorio.
Che cos’è la carne artificiale
La carne artificiale detta anche «carne coltivata» si ottiene prelevando cellule staminali da un animale. La tecnica è già utilizzata in medicina rigenerativa: si prelevano cellule da un muscolo vivente per coltivarle in un bioreattore che riproduce le stesse condizioni del corpo animale (temperatura, acidità, ph, etc.) e l’alimentazione avviene con una miscela di nutrienti affinché le cellule si moltiplichino in maniera esponenziale. Il sistema portato su scala industriale sarà in grado di produrre da una sola cellula 10 mila chili di carne. In pratica quelle cellule per diventare hamburger impiegano poche settimane, mentre attraverso la crescita naturale di un bovino occorre un anno e mezzo.
Perché la carne in laboratorio?
I vantaggi sono prima di tutto ambientali. Gli allevamenti sono responsabili del 14,5% dei gas serra, e quelli intensivi sono la causa principale anche della deforestazione. Per un kg di carne bovina servono in media 11.500 litri d’acqua, mentre secondo lo studio scientifico «Environmental Impacts of Cultured Meat Production» per la stessa quantità di carne coltivata bastano tra 367 e 521 litri. La ricerca dimostra anche che il consumo di suolo si riduce del 99%. Poi ci sono ragioni sanitarie: l’allevamento intensivo è fonte di epidemie (mucca pazza, influenza suina, aviaria etc.), e l’uso massiccio di antibiotici a scopo preventivo contribuisce a provocare l’antibiotico-resistenza negli esseri umani. Infine, le ragioni etiche: ogni anno sono allevati 60 miliardi di animali, la maggior parte prima di finire al macello vive in condizioni di tortura per ottenere massima produttività. A tal proposito è il caso di segnalare che dal 2018 in California è in vigore la «Proposition 12», norma che prevede negli allevamenti uno spazio minimo di 2,2 mq per ogni animale (vitelli, maiali e galline): ora sarà una sentenza della Corte Suprema a stabilire se estenderla a tutti gli Stati Uniti.
Come nasce il cibo del futuro
I primi studi risalgono all’inizio del 2001 quando la Nasa avvia degli esperimenti sulla possibilità di produrre cibo fresco nello spazio in previsione dei viaggi su Marte. Il primo hamburger al mondo prodotto in laboratorio è stato realizzato prelevando cellule staminali dal muscolo di una mucca nell’agosto del 2013 da Mark Post, direttore del Dipartimento di fisiologia dell’Università di Maastricht. Per ottenere i 142 grammi di questo primo hamburger ci vollero tra i 250 e i 290 mila euro. In 10 anni i costi sono crollati. A marzo 2022 – scrive Forbes – l’hamburger artificiale ha raggiunto un prezzo di 9,80 dollari «perché la scala della produzione è migliorata notevolmente, ma il prodotto resta ancora più caro di un hamburger in un negozio di alimentari o al ristorante».
Gli investimenti nella carne artificiale
Secondo i dati del «Good Food Institute» oggi 107 società in 25 Paesi si stanno occupando di carne artificiale. In Europa se ne contano 29, in Italia ce n’è una sola: la start up trentina Bruno Cell. Gli investimenti nel settore hanno raggiunto 1,38 miliardi nel 2021, circa il 71% in più rispetto all’anno precedente (410 milioni di dollari). Fra gli investitori che dal 2016 hanno puntato sulla carne coltivata ci sono i tycoon del mondo tecnologico come Bill Gates, Richard Branson, Sergey Brin, Peter Thiel e Li Ka Shing, personaggi dello spettacolo come Leonardo DiCaprio, ma soprattutto giganti alimentari e dell’industria della carne come JBS, Tyson Foods, Kellogg’s e Cargill. JBS, la più grande azienda di lavorazione della carne al mondo, recentemente ha annunciato 100 milioni di investimenti nella start up spagnola «BioTech Foods» e la costruzione di uno stabilimento per la ricerca e produzione di carne in provetta in Brasile. Da parte sua invece «Future Meat Technologies», azienda biotecnologica israeliana all’avanguardia nella produzione di pollo coltivato, a dicembre 2021 ha raccolto 347 milioni di dollari di finanziamenti da parte di varie società guidate dall’americana ADM Ventures e dal gigante della carne Tyson Foods. In generale i principali investimenti sono in Nord America (701 milioni di dollari), segue il Medio Oriente (475 milioni di dollari) e l’ Europa (121 milioni di dollari).
Dove si vende la carne artificiale
Al momento il primo e unico Paese ad aver dato il via libera alla vendita è Singapore: dal 2021, «Good Meat», sussidiaria della start up Eat Just, vende crocchette nel lussuoso ristorante «1880» di Singapore a 23 euro a piatto. In Israele il ristorante «The Kitchen» permette di consumare pollo coltivato, ma i clienti devono firmare una liberatoria, assumendosi tutti i rischi. Una precauzione ragionevole poiché non esistono ancora studi sugli effetti nel lungo periodo (quelli li scopriremo solo vivendo). Negli Usa è atteso a breve l’ok della Food and Drug Administration (FDA), mentre in Europa il prodotto che cade sotto la disciplina dei «novel foods» dovrà superare prima il parere tecnico dell’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) e poi quello della Commissione.
L’altra faccia della medaglia
Le resistenze non sono poche. A partire da Coldiretti: «Gli allevamenti – spiega Felice Adinolfi, direttore del Centro Studi Divulga – sono vitalità economica di interi territori, garantiscono la biodiversità, mantengono in equilibrio il consumo di suolo, evitando l’inselvatichimento di intere aree». C’è poi un tema che riguarda l’occupazione: solo in Europa l’intera filiera della carne (dai veterinari alla grande distribuzione) occupa 7 milioni di persone (in Italia lavorano nel settore zootecnico 270 mila imprenditori agricoli con allevamenti e 250 mila dipendenti) che i laboratori non rimpiazzeranno. Quanto all’ambiente ci sono due considerazioni da fare: a) la scomparsa degli allevamenti intensivi ridurrebbe moltissimo le emissioni di CO2; b) la quantità di energia per produrre carne coltivata è maggiore rispetto a quella necessaria al processo industriale della produzione di qualsiasi carne naturale (quello che va dal macello al supermercato). Lo dimostra lo studio scientifico «Anticipatory Life Cycle of in Vitro Biomass Cultivation for Cultured Meat Production in United States». Infine, questa nuova frontiera «aggira» un grande problema sanitario: tutti gli studi scientifici concordano sul fatto che la carne rossa fa male, dunque più che sostituirla con quella artificiale, bisogna mangiarne il meno possibile.
Per il bene dell’ambiente e della salute, sostiene Jilles Luneau nel libro «Carne artificiale? No, grazie», occorre ridurre drasticamente gli allevamenti intensivi, puntando su quelli estensivi e biologici. Alla fine, però, ad orientare l’industria saranno i consumatori, perché sono loro a decidere cosa mettere nel piatto.
19 ottobre 2022 | 07:09
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