90% studenti italiani ha lacune in geografia, situazione drammatica: solo 1.500 i docenti. Aumentare le ore e utilizzare nuove tecnologie come il Metaverso. INTERVISTA a Riccardo Morri

La crisi dell’insegnamento della geografia nelle scuole è un argomento su cui in Italia si dibatte da molti anni, e non solo tra chi la geografia la insegna. Le ore dedicate a questa materia, che nei licei è abbinata alla storia, sono pochissime. Pochi anche i docenti di geografia nella scuola italiana: nell’anno scolastico 2021/2022 sono stati poco meno di 1500 a fronte degli oltre 20mila che insegnano italiano o scienze.

“E all’Università il 90 per cento degli studenti si presenta con gravissime lacune nelle conoscenze di base della geografia, quasi del tutto impreparati a leggere e riconoscere i fattori geografici (socio-economici, culturali, ambientali) come chiave di accesso all’apprendimento anche di altre forme di saperi, come la letteratura, la storia, l’antropologia, la storia dell’arte, l’economia, l’architettura, la filosofia”. – Come denuncia il presidente dell’Associazione Nazionale Italiana Insegnanti di Geografia e presidente del Consiglio di Area didattica in Geografia teorica e applicata alla Sapienza di Roma Riccardo Morri che a Orizzonte Scuola ha parlato di analfabetismo geografico, metaverso, immigrazione, turismo ed economia; elementi connessi a doppio filo al sapere geografico globale. Quello che supera i confini naturali di una materia, che è in continua evoluzione.

Dalle Alpi alle Piramidi dal Manzanarre al Reno, recitava Manzoni. Qual è il dato più significativo sullo studio della geografia nella scuola italiana?

Quello che è emerso dal report, che è nelle disponibilità del Ministro Valditara, e che ho avuto la possibilità di consegnare personalmente al Sottosegretario Paola Frassinetti lo scorso 1 marzo, è che nella scuola italiana la geografia non si insegna neanche dove dovrebbe essere insegnata. (Il dato è inserito nel rapporto della Commissione per la conoscenza e lo studio della geografia, istituita un anno fa con il ministro Bianchi e non riconfermata dall’attuale Governo Meloni n.d.r). La situazione nel nostro Paese è drasticamente peggiorata con la legge Gelmini che ha quasi del tutto cancellato la geografia dalle scuole superiori.

I più penalizzati sono gli istituti Tecnici e Professionali: numerose sono le segnalazioni di casi in cui, venendo spesso meno all’applicazione dei criteri di assegnazione previsti dalla normativa vigente, la materia viene insegnata dai docenti non abilitati all’insegnamento della geografia (classe A-21). In 31 istituti Professionali italiani il diritto allo studio della geografia lo scorso anno è stato di fatto negato. E anche al liceo la situazione non è molto incoraggiante: qui la materia è associata alla storia, le ore sono solo tre a settimana e spesso, non essendo prevista la possibilità per i docenti A-21 di insegnare nei licei, si predilige lo studio della prima materia a discapito della seconda: nel corso della passata legislatura, lo staff di ciascuno dei 4 Ministri che si sono succeduti ci ha confermato che la nostra richiesta di reintrodurre almeno un voto separato per la storia e per la geografia (la geostoria non è una materia presente nell’ordinamento scolastico italiano) è tecnicamente possibile. Siamo consapevoli e sosteniamo l’importanza dell’insegnamento della storia, ma questo non può impedirci di denunciare la negazione del valore formativo della geografia.

Per questo siamo molto preoccupati su come il Ministero intende procedere alla riforma degli Istituti Tecnici e Professionali: c’è il rischio concreto che in ossequio alla logica della semplificazione e quindi seguendo il criterio dell’accorpamento delle classi di concorso, si faccia di nuovo tabula rasa dell’insegnamento della geografia. Nonostante le rassicurazioni del Sottosegretario Frassinetti, le bozze finora circolate relative al futuro quadro orario dei cosiddetti “Licei del Made in Italy” non lasciano ben sperare. L’obiettivo formativo di incentivare la promozione della cultura e dei prodotti italiani appare didatticamente impossibile da perseguire se l’insegnamento della geografia è nuovamente concentrato solo nel biennio, in condominio con la storia e non affidato a docenti specialisti. Di fatto non ci sono le condizioni per una corretta conoscenza del territorio, per la comprensione delle interconnessioni tra la scala locale e quella globale, per decifrare le relazioni che orientano flussi di persone, merci e capitali.

Eppure sviluppo sostenibile, riscaldamento globale, investimenti green, fonti di energia rinnovabili sono diventati argomenti usuali nelle tracce dell’Esame di Maturità. Non dovrebbe essere la geografia la materia deputata alla conoscenza e alla salvaguardia del pianeta Terra?

Sono tantissime le tracce d’esame che richiedono una conoscenza, anche direi approfondita, della materia: globalizzazione, flussi migratori, sviluppo sostenibile, cambiamenti climatici, geografia politica, conflitti, disuguaglianze sociali, solo per citarne alcuni. Ma gli studenti non possono improvvisare una prova d’esame se la materia non è stata studiata e approfondita durante l’anno scolastico. Mi lasci dire che nella scuola d’infanzia viene fatto un ottimo lavoro per l’acquisizione di competenze geografiche, bambine e bambini apprendono egregiamente come orientarsi fra spazio e tempo. Ma queste competenze vengono poi raramente valorizzate nella scuola di Primo e Secondo grado, dove ci si sofferma ancora troppo sull’aspetto mnemonico e sulla descrizione di elementi materiali del paesaggio, senza lo sviluppo di competenze specifiche: praticamente si arriva all’Università ignorando quasi del tutto l’esistenza della Convenzione Europea del Paesaggio, con scarsissima confidenza con il linguaggio della geo-graficità, incapaci di orientarsi, abituati a ricorrere alle categorie di spazio e di tempo solo per descrivere la realtà e non per leggerla criticamente, inibendo o ritardando gravemente il processo di acquisizione di autonomia e di consapevolezza.

Un quadro decisamente poco brillante: professore, che cos’è l’analfabetismo geografico e in che misura può limitarci?

È la mancanza di una educazione geografica di base diffusa: quello che chiamiamo comunemente mappamondo è in realtà un globo, possiamo dire mappe o carte geografiche ma assolutamente non cartine. E ancora, in un discorso politico non è indifferente la scelta di utilizzare il termine Stato, Paese o Nazione (quest’ultimo termine ha come matrice il criterio di omogeneità interna, concetto che proprio la geografia ha contributo ad analizzare criticamente e a considerare non più adeguato alla lettura e al governo della complessità della società contemporanea, esattamente come per l’idea di confine).

Vede, privarsi degli strumenti di conoscenza propri della geografia, che ci permettono di interpretare il territorio in cui ciascuno di noi vive, significa rinunciare a conoscenze fondamentali per comprendere le sfide del mondo contemporaneo.

Come la questione dei flussi migratori?

Certamente. La questione migratoria è un problema trasversale che va al di là degli orientamenti politici. Lo studio della geografia aiuta a guardare anche al di fuori di quello che accade nel nostro Paese e consente di analizzare un fenomeno, come quello dei flussi migratori, muovendosi contemporaneamente attraverso le diverse scale geografiche. E poi c’è la questione delle relazioni. La geografia è la scienza delle relazioni, l’incontro, prima che scontro e frizione, è scambio, quindi occasione di ampliamento e arricchimento delle conoscenze. Il 15 novembre 2022 la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi: come confermano le Nazioni Unite, è impossibile dunque parlare di calo demografico, piuttosto a preoccuparci dovrebbe essere il permanere delle profonde differenze di qualità della vita tra le diverse regioni nel mondo: la geografia insegna come le rappresentazioni (a partire dalle carte geografiche) di un fenomeno siano sempre inevitabilmente parziali, figlie di un particolare punto di vista, così come la crescita di popolazione, il prodotto interno lordo o il volume degli scambi commerciali.

Il 14 aprile si è celebrata l’edizione 2023 della Notte Internazionale della Geografia, promossa da Eugeo e supportata dall’Unione Geografica Internazionale, una costellazione di eventi che corrono durante tutta la notte. Come è stata la partecipazione?

La partecipazione è sempre alta, sono almeno 10.000 le persone che solo in Italia animano e prendono parte ai tanti eventi, a conferma del bisogno di conoscenza geografica che la società esprime (la mappa degli eventi: https://www.geonight.net/). Partita in Francia nel 2018, la notte della geografia viene celebrata oggi in tutto il mondo, con l’Italia che dal 2022 ne ha assunto il coordinamento proprio in ragione del grande numero di eventi e dell’alto numero di partecipanti che si registrano ogni anno. Quello che manca, però, è un’attenzione mediatica e istituzionale costante, che trasformi questa serata in un appuntamento fisso come l’Earth day. L’obiettivo è quello, infatti, di uscire dalla necessità di spiegare e di ricordare l’importanza della geografia, stimolando l’affermazione di una cultura geografica diffusa.

Che non si studia più conoscendo solo città e bandiere: dal 12 al 14 ottobre sarete a Napoli, una delle capitali italiane del turismo, con un convegno dedicato ai docenti su geografia e metaverso. Come si lega il mondo virtuale alla geografia, e quanto aiuta lo studio di questa materia per rilanciare le politiche del turismo di una città?

Il metaverso è un luogo, anche se virtuale, e quindi in quanto tale è indispensabile studiarne le logiche attraverso le quali si produce e si organizza conoscenza in questo contesto, come antidoto all’alienazione dalla realtà o alla tentazione di sostituirla attraverso quelli che restano comunque dei surrogati. La geografia è molto attenta all’impiego di nuove tecnologie, molto spesso ne ha precorso l’utilizzo nella ricerca e nella didattica. Il 65° Convegno nazionale dell’AIIG “Geografie del Metaverso. Territori digitali e nuove progettualità educative (www.aiig.it) sarà un’occasione di confronto e di formazione sulle potenzialità didattiche del metaverso, ma anche l’occasione per ribadire come l’interesse dei discenti debba essere catturato attraverso la qualità dei contenuti, il rigore dei metodi e, quindi, con l’impiego degli strumenti più innovativi. Lo studio della nostra materia potrebbe anche a scuola, così come accade all’Università, passare attraverso l’analisi critica dell’impatto del turismo di massa sulle città, ad esempio, individuando le modalità di fruizione più rispettose del territorio, fornendo una preparazione fondamentale in un paese a vocazione turistica come il nostro. Per questo ci auguriamo che la riforma degli Istituti Tecnici e Professionali, così come l’eventuale varo del liceo del Made in Italy, non siano l’ennesima occasione persa per garantire un’offerta di formazione in geografia ampia e di qualità.

Professore, restiamo ancora a Napoli, dove si è spento da poco Mauro Giancaspro, ex direttore della Biblioteca Nazionale, grande bibliomane che nei suoi uffici possedeva una delle collezioni più belle di globi antichi, ha ancora senso oggi studiare la geografia su planisferi e carte in rilievo?

Sicuramente sì. Considerarle superate perché “obsolete” è una forma di snobismo che molto spesso cela la difficoltà di cogliere nei limiti della rappresentazione un potenziale e non un ostacolo. Leggere una carta geografica è come leggere un testo letterario: per poterne capire il significato, goderne della bellezza, comprenderne il messaggio, debbo poterlo decodificare, coglierne le stratificazioni, interpretare.

Una delle nostre battaglie è cercare di far ritornare le carte geografiche in tutte le classi delle scuole italiane, obiettivo attorno al quale negli anni abbiamo attivato sinergie con l’IGM, il Touring Club Italiano e la Società Geografica Italiana. Così come c’è un impegno di una parte delle geografe e dei geografi attivi in Italia, testimoniato anche dalla recente istituzione di Musei della Geografia alle Università di Padova e di Roma Sapienza, a rendere finalmente accessibile, anche a un pubblico di non specialisti, la storia della geografia come sapere scientifico. Oggi, più che in passato, è facile viaggiare, ma è impossibile pensare di esplorare la realtà senza conoscere la geografia.

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