“Non vorrei che la signora fosse deceduta e, come si vede in televisione, la tiene nel freezer per f*****si la pensione”: questo il “timore” espresso in una lettera anonima giunta alla Polizia locale di San Fratello (Messina) dal compaesano di un professore di 57 anni che – dopo otto anni – è stato assolto con formula piena dalla giudice monocratica del Tribunale di Patti.
Il contenuto della lettera
L’uomo – assistito dall’avvocato Massimiliano Fabio – era imputato dei reati di maltrattamenti in famiglia e abbandono d’incapace, in questo caso l’anziana madre, e il pm ne aveva chiesto la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione.
Stando all‘esposto anonimo indirizzato al comandante della polizia locale di San Fratello nel 2015, l’anziana signora (morta a 82 anni il 4 aprile dello stesso anno) non si vedeva più in giro da anni, non si vedeva nessuno che le portasse del cibo e non si vedevano panni stesi fuori dall’abitazione dove abitava con il figlio presunto “carceriere”. Tanto era bastato all’anonimo compaesano per scrivere a mano la lettera-esposto al comandante dei vigili urbani per puntare il dito contro il figlio e ipotizzare l’ennesima truffa ai danni dell’Inps.
“In realtà – ha spiegato il difensore, Massimiliano Fabio – come è stato accertato nel corso dell’istruttoria dibattimentale, il figlio non aveva mai smesso di occuparsi della madre affetta da una grave artrite deformante, una circostanza confermata da tutte le persone che si sono succedute sul banco dei testimoni (il responsabile della casa di cura, personale sanitario, la vicina di casa, l’ex badante), le quali hanno confermato che “l’imputato è sempre stato un figlio premuroso”, a partire dal medico di famiglia che ha riferito di aver trovato la donna sempre in condizioni dignitose”.
“Il fatto non sussiste”
Ma in seguito all’esposto, i vigili urbani erano intervenuti imponendo al professore di ricoverare la madre, sempre lucida e molto legata al figlio, in una casa di riposo di San Fratello. Tra febbraio e marzo del 2015 era quindi arrivata nella struttura accompagnata dai vigili urbani in condizioni igieniche e fisiche degradate con gli arti irrigiditi, piaghe e impossibilitata a deambulare autonomamente.
Dalla sentenza del Giudice si legge che “l’anziana era affetta da una grave forma di artrosi deformante che l’aveva resa del tutto invalida. Dalle prove testimoniali assunte è anche emerso che il figlio viveva insieme con lei e se ne prendeva cura, provvedendo a farla visitare a domicilio dal medico, a somministrarle i farmaci e a farle le medicazioni, provvedendo a fare la spesa, ad aiutarla a nutrirsi, atteso che la donna – in ragione delle sue infermità fisiche – era sostanzialmente allettata”.
Il procedimento, incardinato nel novembre del 2016 ha subìto una serie di rinvii, dovuti a dichiarazioni d’incompetenza del primo giudice, inutilizzabilità di verbali, udienze slittate per il Covid e, dopo altri tre cambi di giudicante, è giunto finalmente alla conclusione con la sentenza d’assoluzione secondo la formula “perché il fatto non sussiste”, adesso depositata dalla giudice monocratico Marialuisa Gullino del Tribunale di Patti.
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