Adnan Syed, scarcerato dopo 23 anni il protagonista del podcast «Serial»: crollano le prove sull’omicidio dell’ex fidanzata

di Simone Sabattini

Svolta clamorosa per uno dei casi che ha più appassionato gli Stati Uniti negli ultimi anni: il podcast «Serial» lo ha ricostruito con telefonate dal carcere e contribuito a riaprire il caso

Dopo 23 anni Adnan Syed è fuori dal carcere. Con ogni probabilità non ha ucciso lui l’ex fidanzata Hae Min Lee , strangolata e semi-seppellita in un parco di Baltimora, in Maryland, nel 1999, quando entrambi i ragazzi frequentavano la Woodlawn High School: avevano all’epoca 17 e 18 anni. È una svolta clamorosa per uno dei casi che ha più appassionato l’America negli ultimi anni, almeno otto, da quando cioè nel 2014 il pluripremiato podcast «Serial» recuperò la storia di quell’omicidio attraverso la ricostruzione capillare di un vero e proprio labirinto investigativo e giudiziario; e diede voce a Syed con una serie di incredibili telefonate dal carcere tra il ragazzo (a quel punto ormai trentenne) e l’autrice dell’inchiesta audio, Sarah Koenig. «Serial» divenne così il capostipite di un genere e di un mezzo che oggi ha enorme successo in tutto il mondo.

Syed — che si è sempre dichiarato innocente ma non ha mai avuto un alibi chiaro che lo discolpasse — fu definitivamente condannato nel 2000 dopo la testimonianza di un amico che disse di averlo aiutato a seppellire il corpo di Lee. Il suo movente sarebbe stata la gelosia per la nuova vita sentimentale della ragazza. L’avvocata di Adnan fu radiata un anno dopo per le macroscopiche carenze nella sua difesa e il caso venne riaperto nel 2018, ma i giudici del Maryland confermarono poi la condanna e la Corte Suprema degli Stati Uniti non volle ascoltare il caso.

Ora sono stati gli stessi procuratori di Baltimora a mollare la presa, ammettendo che prove ambigue, nuove evidenze e un generale riesame del caso hanno fatto emergere dubbi giganteschi, oltre a due possibili autori alternativi dell’omicidio, che però non sono stati nominati. Di più e di peggio: l’accusa non mise a disposizione della difesa l’esistenza di elementi a discolpa del ragazzo, un obbligo a cui in America i procuratori sono tenuti. «Non c’è la certezza che non sia stato Syed», hanno spiegato gli inquirenti . Ma gli indizi si fermano ben prima della soglia del «ragionevole dubbio» che governa la giustizia americana. Insomma: «Non crediamo più nell’integrità della condanna». Il giudice non poteva che mettere l’oggi 41enne Syed in libertà vigilata. Ora ci sono 30 giorni di tempo per decidere se istruire un nuovo processo o abbandonare il caso.

Sarah Koenig ieri era fuori dal tribunale e ha già annunciato una nuova puntata speciale di «Serial», a 7 anni e 9 mesi di distanza dall’ultima. In questo lasso di tempo — mentre a Syed la vita presentava ogni giorno le quattro mura della stessa cella e una routine carceraria potenzialmente senza fine — per Koenig, «Serial» e i podcast in generale è cambiato tutto. Le inchieste audio su casi dimenticati del passato hanno cominciato a spuntare come funghi in ogni parte del mondo (Pablo Trincia, l’autore di «Veleno», che ha lanciato i podcast anche in Italia ed è diventata anche una serie video di Amazon Prime, ha più volte dichiarato di essere stato mosso dalla volontà di realizzare un prodotto come «Serial») e nel luglio 2022 il New York Times ha comprato la Serial Productions per 25 milioni di dollari.

Da allora si sono moltiplicate anche le svolte a vecchi casi giudiziari innescate proprio da podcast. Una delle più clamorose è stata quella di «In The Dark», che portò a scagionare l’afroamericano Curtis Flowers dall’accusa di omicidio di 4 persone in Mississippi, dopo 24 anni passati nel braccio della morte: un devastante e vergognoso esempio di razzismo giudiziario che raccontammo qui. Naturalmente «Serial» ha gemmato anche un documentario in 4 parti della «Hbo», andato in onda nel 2019.

C’entra il razzismo anche nel caso di Adnan Syed, che è musulmano di origini pachistane? Koenig non ne è mai stata troppo convinta. Ma negli anni si è creato un ampio dibattito. Fatto sta che, se l’incubo per Syed e i suoi cari si avvia forse alla conclusione («Non posso credere ai miei occhi», ha detto il ragazzo attraverso la sua nuova avvocata), la famiglia di Hae Min Lee (che invece era nata in Corea del Sud ed emigrata negli Usa a 12 anni) si è detta «tradita» dalla svolta e resta convinta della colpevolezza di Syed: «Questo per noi non è un podcast — ha gridato il fratello — ma un dolore che non finisce mai e ci uccide ogni giorno». Forse, benché sia passato quasi un quarto di secolo, i colpi di scena sono solo all’inizio.

20 settembre 2022 (modifica il 20 settembre 2022 | 19:00)

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, 2022-09-21 19:52:00, Svolta clamorosa per uno dei casi che ha più appassionato gli Stati Uniti negli ultimi anni: il podcast «Serial» lo ha ricostruito con telefonate dal carcere e contribuito a riaprire il caso , Simone Sabattini

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