Il continente, finito su tutti i rotocalchi e le emittenti televisive per la questioni legate al Niger e relativa crisi in corso, vive oramai dalla decolonizzazione – esclusivamente formale visto lo sfruttamento e depauperamento delle risorse minerarie, estrattive ed ambientali dell’area – una profondissima crisi umanitaria causata da povertà, mortalità elevata e scarsissima disponibilità di risorse, visto anche il livello itinerante della produzione agroalimentare e di sussistenza per i singoli gruppi familiari.
Le scuole vivono un profondo deturpamento ideologico e strutturale, analogamente all’Italia del tardo ‘800, con la mancanza di strutture adeguate e sicure, di personale qualificato e di sussidi da dedicare alle famiglie che si privano, mandando i figli a scuola, di una fonte certa di sostegno economica e pratica. L’elevata mortalità infantile, la limitata aspettativa di vita (in media attestata a 64 anni), gli scarsi servizi sanitari (1 medico ogni 24.000 abitanti), il calo del PIL pro-capite (1,6 % annuo) e tassi di analfabetismo da capogiro (50% per uomini e 73 % per donne sopra i 35 anni) sono i principali effetti di una scarsa cura di persone e futuro. La scuola è al centro di una ripresa potenziale del continente, ma mancano interesse e risorse.
I dati ILOSTAT: 72 milioni i bambini fantasma per una dispersione e disoccupazione record
Più di 72 milioni di giovani in Africa non studiano, non lavorano o non seguono corsi di formazione, la maggior parte giovani donne. Affrontare l’inattività dei giovani e le disuguaglianze di genere è essenziale se i paesi vogliono raggiungere l’obiettivo di sviluppo sostenibile entro il 2030. L’Africa si trova nella posizione unica di essere un continente relativamente giovane, con una popolazione giovanile in rapida crescita. Questo porta con sé molto potenziale ma anche alcune sfide. Il rapporto ILOSTAT ha interessato nell’ordine: Etiopia, Ghana, Kenya, Nigeria, Ruanda, Senegal e Uganda, chiedendosi quali fasce della popolazione, in termini di età, non si recano a scuola.
Si ipotizza, in media, che oltre 1/3 dei ragazzi e delle ragazze dei paesi elencati non si rechino a scuola e non prendano parte ad alcun corso di formazione professionale. In genere questi sono sotto i 14 anni (56 %), seguiti da adolescenti tra 15 – 18 anni (30 %) ed adulti tra i 19 e i 25 (14 %), già in presunto inserimento lavorativo. Si ricorda che l’economia del Sahel, aree sub-sahariane e stati affiliati è sommersa al 70% ovvero non sottoposta a pressione fiscale, contributi pensionistici e monitoraggio statistico, dato che la popolazione locale si concentra in villaggi organizzati – e vincolati – da elementi identitari di matrice tribale.
Una questione di genere?
In linea con le tendenze globali, le giovani donne dell’Africa sub-sahariana affrontano maggiori ostacoli alla partecipazione al mercato del lavoro e hanno registrato un tasso di appartenenza alla categoria NEET di quasi il 33% nel 2022. In tutti e sette i paesi dell’Africa sub-sahariana coperti dallo studio in oggetto, le giovani donne (di età compresa tra 15 e 29 anni) avevano tassi di esclusione più elevati e tassi di occupazione inferiori rispetto ai giovani del sesso opposto.
Le giovani donne in Etiopia avevano quasi tre volte più probabilità di essere sprovviste di occupazione ed istruzione rispetto ai loro colleghi maschi; in Nigeria, Senegal e Uganda, circa il doppio delle probabilità. Sfortunatamente, questa tendenza non è sorprendente poiché le giovani si fanno carico in modo sproporzionato di compiti domestici come la cura dei bambini, l’assistenza ai malati e agli anziani, la cucina, la raccolta dell’acqua e la raccolta della legna da ardere, limitando loro la partecipazione al mercato del lavoro e/o all’istruzione.
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