Aguirre furore di Dio compie 50 anni: le utopie di Herzog, le bizze di Kinski per un rapporto ineguagliabile regista-attore

di Filippo Mazzarella

La prima delle collaborazioni tra i due gi segnata da una relazione amore-odio unica

Appena trentenne, ma gi al quinto lungometraggio, Werner Herzog consegna alla storia il 29 dicembre 1972 uno dei massimi capolavori di sempre del cinema europeo: “Aguirre, furore di Dio/Aguirre, der Zorn Gottes”. Il film, che resta pochissimo nelle sale patrie per debuttare poi alla tv tedesca a distanza molto ravvicinata dalla sua “prima” (da noi uscir solo nel 1975), non solo inaugura la sua folle, tormentata, ribollente collaborazione con l’enigmatico e demoniaco Klaus Kinski, ma gi un esempio definito dell’intera poetica herzoghiana: ovvero “la sua idea di Arte grandiosa e tragica insieme, ossessionata dall’incontro con una natura indifferente e spaventosa, trasformata nel teatro della Storia in un set che costringe la troupe a vivere le medesime difficolt dei personaggi” (P. Mereghetti). Dove anche quella sorta di transfert psicoanalitico fra l’autore e i suoi (anti)eroi alla ricerca di un traguardo irraggiungibile, di un’utopia insostenibile, di una forma perversa di felicit impossibile (il cui fallimento immanente malgrado la brama di “vittoria” che ne informa l’agire), gi esperito e leggibile.

“Aguirre, furore di Dio” si svolge nel dicembre del 1560, quando, attraversando la foresta amazzonica alla ricerca della leggendaria citt di El Dorado , la spedizione di conquistadores guidata da Gonzalo Pizarro si ritrova bloccata dalla natura ostile. Il prosieguo dell’impresa viene cos affidato a una squadra (formata da qualche decina di spagnoli e altrettanti schiavi) guidata da Don Pedro de Ursua (Ruy Guerra), di cui fanno parte anche il nobile Don Fernando de Guzman (Peter Berling), il frate diarista Gaspar de Carvajal (Del Negro) e il guerriero Lope de Aguirre (Klaus Kinski) con la giovane figlia Flores (Cecilia Rivera). Quest’ultimo, quando la compagine viene drasticamente ridotta dagli assalti brutali degli indios, sobilla i rimanenti sodali dopo che de Ursua ha scelto di fare marcia indietro via terra, deciso a portare a compimento il viaggio a ogni costo. Ma gli “invisibili” indigeni attaccheranno di nuovo, decimando ulteriormente il gruppo fino a quando il sempre pi ossessionato Aguirre non finir col ritrovarsi pressoch solo tra i morti e in totale balia di un delirio d’onnipotenza e creazione di un “nuovo mondo” abitato da una razza eletta discendente dalla sua unione incestuosa con Flores.

Consapevolmente inattendibile sul piano puramente storico (tutti i personaggi sono realmente esistiti; ma se il vero Aguirre mor nel 1561, Gonzalo Pizarro -fratello del pi noto Francesco- e de Carvajal erano gi deceduti all’epoca dei fatti narrati, mentre l’esploratore peruviano de Guzman non era ancora nemmeno nato), “Aguirre, furore di Dio” un’avventura mistica oniroide e (anche) una parabola sulle pulsioni primarie, inani e distruttive dell’essere umano calata in un contesto naturalistico ma alieno a ogni possibile speculazione sulla preminenza della natura come principio autosufficiente. In Herzog, e qui in particolare, la tensione infatti sempre rivolta alla capacit (o al tentativo) dell’uomo di dominare gli elementi ancor prima che s stesso; e al furore, paritetico a quello elementale, con cui cerca disperatamente (e quasi sempre invano) di perseguire un obiettivo. Magistralmente fotografato da Thomas Mauch nel formato “quadrato” 1,37:1 secondo la lezione fordiana per cui paradossalmente uno spazio cos circoscritto pu ospitare spazi sconfinati ma rarefatti fino a diventare luoghi dell’anima, “Aguirre, furore di Dio” marchi a fuoco lo Junger Deutscher Film dei Settanta e la sua lavorazione fu un inferno di contrasti tra l’utopismo gi elefantiaco di Herzog e le bizze furibonde di Kinski, calato nel suo conquistador chimerico al punto da disintegrare il confine tra messa in scena e vita.

Il set divenne un perenne campo di battaglia confrontazionale: Kinski fer comparse, si alien l’empatia della troupe e arriv addirittura a far proferire al regista una minaccia di omicidio/suicidio. Tutto ci ancor oggi “impressionato” (e impressionante) sullo schermo (su qualsiasi schermo), trasparente, inquietante. Esattamente come le musiche composte per l’occasione da Florian Fricke ed eseguite dal suo gruppo “krautrock” Popol Vuh, con l’indimenticabile tema di Aguirre interamente giocato sulla ripetizione misterica di due coppie di note in grado di restituire in forma minimale tutta l’inquietudine sprigionata dalle immagini. La collaborazione fra Kinski e Herzog prosegu con altri quattro titoli a vario titolo leggendari: “Nosferatu – Il principe della notte” (1978), il dimenticato e bellissimo “Woyzeck” (1979), “Fitzcarraldo” (1982, gia celebrato su queste colonne) e il terminale “Cobra Verde” (1987). E venne poi struggentemente rievocata nel documentario del 1999 “Kinski, il mio nemico pi caro / Mein liebster Feind”), la cui immagine finale (che lasciamo volentieri riscoprire ai lettori pi volenterosi) racchiude non solo il senso del rapporto tra i due ma, forse, anche il segreto della natura furibonda e al contempo lieve di tutto il cinema di Werner Herzog.

29 dicembre 2022 (modifica il 29 dicembre 2022 | 21:08)

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