di ALDO CAZZULLO
Esce giovedì 17 marzo da La nave di Teseo il saggio di Marco Follini «Via Savoia»: ritratto dello statista nel suo studio
«Non vogliamo il potere perché esso ci fa paura» aveva scritto da ragazzo Aldo Moro, durante la guerra. «E di lì in poi — aggiunge Marco Follini — il volto misterioso e demoniaco del potere lo aveva sempre reso un po’ inquieto».
Un presagio di morte pare attraversare tutta la lunga vita politica di Moro. Già dieci anni prima del rapimento (di cui cadeva mercoledì 16 marzo l’anniversario), alla vigilia delle elezioni del 1968, padre Pio aveva visto «sangue, tanto sangue» nel suo futuro: una profezia, pronunciata nella celletta del frate, che aveva sconvolto Moro, al punto da indurlo a non parlarne mai con nessuno.
Ma al centro del libro, che La nave di Teseo pubblica giovedì 17 marzo, c’è fin dal titolo — Via Savoia — il Moro della libertà e della quotidianità, raccontato all’interno del suo studio nel quartiere Salario: «Lontano da casa, lontano dal partito, lontano dal governo, semmai un poco più vicino all’università, dove gli piaceva insegnare e qualche volta indugiare». Nello studio di via Savoia il giovanissimo Follini veniva ammesso regolarmente; ma l’autore nel libro non c’è. A dire il vero, nessun personaggio è mai citato per nome, neppure Moro: ma tutti sono perfettamente riconoscibili. Compreso Eugenio Scalfari, che gli attribuì la formula delle «convergenze parallele»: un’espressione da lui mai pronunciata.
Moro era uno dei bersagli della contestazione giovanile; e fu assassinato dai terroristi rossi. Eppure aveva molti nemici a destra, in quella destra conservatrice che lo vedeva come succube e complice dei comunisti. In realtà, ricorda Follini, Moro intendeva «allargare le basi della democrazia. Voleva sbloccare un sistema imperniato sull’eternità democristiana. Da qui l’apertura prima ai socialisti e poi al Pci. Non per compiacerli e non per sottomettersi. Ma per riconoscere che anche quei mondi, quei ceti, quelle storie — tanto diverse dalla sua — avevano il diritto di entrare a pieno titolo nella vita dello Stato italiano. Di questo visse, e di questo morì — come è noto. Forse è meno noto, e meno ovvio, quel sentimento di fragilità che lo accompagnò lungo tutti quegli anni. Quasi come l’annuncio minaccioso di quello che gli sarebbe potuto accadere».
Moro viene raccontato come l’antitesi dei politici di oggi, ossessionati dalla comunicazione e dalla velocità. Lui al contrario guardava con sospetto alle chiacchiere e alla fretta. Diffidava delle esibizioni di forza e dei cambiamenti repentini. Se oggi i leader si propongono di rinfocolare le truppe e inasprire lo scontro, Moro al contrario aveva semmai il problema di moderare gli istinti reazionari che emergevano dal suo mondo, e di ricondurli nell’alveo della moderazione e della mediazione.
Agli anni della segreteria Dc e di Palazzo Chigi segue la caduta, quando l’asse della Democrazia cristiana oscilla di nuovo verso destra. Ma nel 1974 Moro torna capo del governo, e quando viene rapito dalle Br è il candidato naturale alla presidenza della Repubblica. E invece tutto finisce nel contrappasso della prigionia, quando viene fotografato in maniche di camicia, lui che indossava giacca e cravatta pure in spiaggia come testimonia una storica foto, e si ritrova a non essere preso sul serio dagli amici del suo stesso partito, della sua stessa corrente. Come se le parole scritte dal «carcere del popolo» non gli appartenessero, e come se il tentativo di aprire un dialogo fosse segno di codardia o sintomo della sindrome di Stoccolma.
Conclude Follini: «In quei giorni, in quelle ore, la sua fine dovette sembrargli la fine del suo mondo. O forse invece era il segno che quel mondo non era mai davvero cominciato». E non solo perché gli avevano negato l’auto blindata, a Piazza del Gesù non gli avevano dato neanche una stanza, e l’arcivescovo di Genova Siri alla notizia del suo rapimento aveva commentato: «Ha avuto quel che si meritava».
Il volume
Esce giovedì 17 marzo Via Savoia (La nave di Teseo, pp. 224, euro 16) di Marco Follini; prefazione di Marco Damilano. Il titolo è riferito all’indirizzo dello studio romano di Aldo Moro (Maglie, Lecce, 23 settembre 1916 – Roma, 9 maggio 1978). Mercoledì 16 marzo ricorreva l’anniversario del rapimento di Moro (16 marzo 1978) e dell’eccidio della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi). Follini, deputato dal 1996 al 2006, senatore dal 2006 al ’13, è stato vicepresidente del Consiglio. È autore di saggi
16 marzo 2022 (modifica il 16 marzo 2022 | 19:52)
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, 2022-03-16 21:00:00, Esce giovedì 17 marzo da La nave di Teseo il saggio di Marco Follini «Via Savoia»: ritratto dello statista nel suo studio, ALDO CAZZULLO
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