Alessia Pifferi, la mamma della bimba morta a 18 mesi: «Stava male, le ho dato le gocce. Al mio compagno ho detto che l’accudiva mia sorella»

di Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio

Parla Alessia Pifferi, 36 anni, madre della bambina di 18 mesi lasciata sola in casa a Milano per sei giorni. La donna è accusata di omicidio volontario. Anche in altre occasioni ha lasciato la piccola sola per interi weekend e ai vicini diceva che era con la babysitter

Diana è rimasta chiusa in casa per quasi una settimana. Accanto a lei, nel lettino, un biberon. I poliziotti lo trovano vuoto, ma ha ancora i segni lasciati dal latte. Il pannolino è sul lettone, l’ha strappato e lanciato oltre le sbarre della culla. Un altro è sul davanzale, pieno di vermi.

Diana è morta di stenti e disidratata nella casa dove sua mamma, Alessia Pifferi, 36 anni, l’ha lasciata alle 18.55 di giovedì 14 luglio. A quell’ora, dopo «averle dato alcune gocce di tachipirina», le stesse che dice di averle somministrato il giorno prima («La vedevo molto agitata e sbavava, pensavo fosse per i dentini»), la mamma chiude il trolley e parte alla volta di Leffe (Bergamo) per andare dal nuovo compagno. Gli investigatori in casa non troveranno alcun flacone di antipiretico, ma solo una boccetta di «En», benzodiazepine, vuota per tre quarti, su un mobile della cucina: «Me l’aveva data una persona che ho conosciuto». Forse, questo il sospetto degli inquirenti, la mamma dava alla piccola Diana dosi di ansiolitico per tenerla tranquilla, mansueta. Nata «settimina» il 29 gennaio di un anno fa, Diana era gracile e aveva piaghe sul corpo. Il segno dei pannolini lasciati per giorni nelle altre occasioni in cui la mamma la chiudeva a casa da sola. Per interi weekend.

Mercoledì mattina alle 11.30 Alessia Pifferi rientra a casa, nel piccolo bilocale di via Parea nel quartiere popolare e periferico di Ponte Lambro (il solo di Milano oltre l’anello della Tangenziale), entra in camera e trova Diana immobile. Sono trascorsi sei giorni da quando l’ha lasciata lì: «Ho visto che non si muoveva. Le ho dato una pacchetta sulla schiena. Le ho messo i piedi nel lavandino per bagnarla, ma non reagiva». La donna chiede aiuto a una vicina, chiama il 118, scende in cortile e si rivolge ai vicini: «Non sono una cattiva madre».

Davanti al pm Francesco De Tommasi e al capo della Mobile Marco Calì, racconta le tappe di una vita disordinata, tra relazioni fugaci con uomini conosciuti via Tinder, il padre di Diana di cui nessuno conosce il nome e il nuovo compagno che vive nella Bergamasca e con il quale diceva che sarebbe andata a convivere ad agosto. È stata da lui durante questi sei giorni, mentre la piccola Diana moriva di fame e di sete nel suo lettino. «Senza mai piangere», diranno i vicini alimentando il sospetto che la madre possa davvero averla «sedata» prima di abbandonarla. «Pensavo di partire giovedì e tornare venerdì, il giorno dopo», dice interrogata. Quando il magistrato le chiede perché non lo ha fatto, ma è rimasta dal compagno, lei però si zittisce. «Gli avevo detto che Diana era al sicuro, al mare, accudita da mia sorella. Ho mentito perché mi sentivo sempre giudicata». Ai vicini aveva raccontato che durante le sue assenze c’era una babysitter. In quella casa però non entrava mai nessuno. «Forse Alessia viveva quella figlia come un peso che le impediva di uscire, divertirsi», dice un vicino.

Lei interrogata racconta di aver lasciato Diana sola per la prima volta quattro settimane fa, per andare con un’amica dal compagno: «Ma sono stata via solo qualche ora». Poi però le uscite si fanno frequenti e sempre più lunghe: «La cambiavo e le lasciavo due biberon e quattro bottigliette d’acqua». Mercoledì mattina gli investigatori troveranno un solo biberon nella culla. «S’è mai resa conto delle conseguenze che potevano avere su una bambina di 18 mesi l’assenza di cibo, le alte temperature e un digiuno prolungato?», le chiede il magistrato. Lei risponde fredda: «Sì, a parte la disidratazione, la morte». Alessia Pifferi non versa lacrime durante l’interrogatorio. Ogni volta che gli investigatori le contestano d’aver ucciso la figlia Diana, si chiude nel silenzio. Dice di non essere mai tornata a Milano durante quei sei giorni. Ma il compagno la smentisce: «Lunedì siamo tornati in città perché dovevo sbrigare questioni di lavoro. Ma lei non mi ha chiesto di passare da casa». Forse Diana era ancora viva. «Quando giovedì sono andata via non ero tranquilla – ha detto agli inquirenti – sapevo che stavo facendo qualcosa che non andava fatto, che poteva accadere di tutto, anche quello che è poi successo». Ora la 36enne è chiusa nel carcere di San Vittore con l’accusa di omicidio volontario aggravato anche dalla premeditazione.

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Milano e della Lombardia iscriviti gratis alla newsletter di Corriere Milano. Arriva ogni sabato nella tua casella di posta alle 7 del mattino. Basta cliccare qui.

22 luglio 2022 (modifica il 22 luglio 2022 | 12:18)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-07-22 13:31:00, Parla Alessia Pifferi, 36 anni, madre della bambina di 18 mesi lasciata sola in casa a Milano per sei giorni. La donna è accusata di omicidio volontario. Anche in altre occasioni ha lasciato la piccola sola per interi weekend e ai vicini diceva che era con la babysitter, Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version