Anarchia, un vestito per ogni stagione senza una autorità

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Alcune parole non riusciamo a guardarle nude, abbiamo bisogno di vestirle perch solo con una uniforme pensiamo di poterle gestire. Ma questo non significa che sotto i vestiti che gli cuciamo addosso la comprensione sia migliore e tanto meno che raggiunga tutti gli interlocutori nello stesso modo e con la stessa intensit. Studiare la loro provenienza, l’evoluzione dei significati, significa anche entrare in questo guardaroba.

Intorno al concetto di comando. Parliamo di anarchia, parola di chiara origine greca, anarkha, composta dal tema di arkho, che significa comandare, con il prefisso privativo an. Letteralmente mancanza di governo, mancanza di un potere centrale, di un sovrano. Prima di capire come stata vestita e quindi riflettere su colori e sfumature, possiamo osservarla cos, nuda: la negazione di ogni autorit.

La fertilit nel linguaggio comune. La radice greca arkh rappresenta il principio, l’origine. E noi, nel rappresentare il potere, ce la ritroviamo in tante parole, non solo in anarchia. Per esempio nelle pi vicine monarchia, che indica la forma di governo dove chi esercita il comando uno solo (mono), oligarchia, dove invece i poteri sono accentrati nelle mani di pochi (oligoi) potenti. Ma pi in generale pensiamo a gerarchia che indica un sistema, anche di persone, costituito ordinatamente secondo una precisa scala di importanza. Invertendo la posizione di questa radice nelle parole composte ne troviamo una fondamentale, archetipo, che unisce al principio arckhe, il typos, modello. Per consentirci di definire un primo esemplare assoluto, un riferimento originario da cui derivano tutti i seguenti.

Un semplice peplo. Nell’antica Grecia troviamo il vestito della parola anarchia, il peplo di Antigone, la prima ad usare questa parola come atto di disobbedienza contro i governanti che le impediscono di seppellire il fratello. In origine l’anarchia non aveva alcun significato positivo: l’assenza di potere descritta come una degenerazione dello Stato e come mancanza di ordine. Una debolezza capace di insinuarsi nelle case private e nella societ con conseguenze sempre molto negative.

La svolta su una giubba scura. il pensiero illuminista a creare il basi per l’accezione contemporanea dell’anarchia, come rifiuto del potere assolutista dei sovrani. Ma sar lunga la strada prima che il pensiero anarchico organizzi i suoi principi in un movimento filosofico prima che politico. opinione comune degli studiosi che il primo filosofo e politico che attribu un valore positivo alla parola anarchia sia stato il francese Pierre-Joseph Proudhon nella prima met del XIX secolo, ispirando il celebre simbolo della A cerchiata con il suo slogan L’Anarchia l’ordine senza il potere e promuovendo il possesso al posto della propriet. Da segnalare, considerato lo sviluppo di alcune frange del movimento anarchico, che Proudhon rifiuto sempre la violenza come arma politica.

L’evoluzione ottocentesca. Come sintetizza il l’enciclopedia Treccani la dottrina che propugna l’abolizione di ogni governo sull’individuo e, soprattutto, l’abolizione dello stato, da attuare eliminando o riducendo al minimo il potere centrale dell’autorit si sviluppa nella seconda met del XIX secolo, quando il movimento anarchico (che fu soprattutto guidato da Bakunin e da Kropotkin) sostiene un estremo decentramento dei poteri amministrativi della societ, affinch i lavoratori possano organizzare da s la propriet e l’amministrazione dei mezzi di produzione.

Fermiamoci un momento. Il pi importante tentativo di realizzare una societ basata sui principi dell’anarchia la Comune di Parigi del 1871, nata dopo le sconfitte francesi nella guerra con la Prussia, durata poco pi di due mesi e stroncata nel sangue con il massacro di migliaia di parigini. In quel momento l’ideale anarchico si veste di speranza per tutti coloro che aspirano ad un superamento dei regimi totalitari repressivi e per le masse popolari che cominciano a riunirsi in associazioni. Contemporaneamente l’anarchia veste il costume strappato del caos, riconquistando per i suoi oppositori il significato figurato di disordine politico e sociale e per estensione di qualunque situazione in cui prevale l’assenza di disciplina e di regole.

La scelta non violenta. Contrariamente a quanto spesso viene frettolosamente sintetizzato, la tradizione anarchica non violenta ha avuto importanti padri nobili, dallo scrittore russo Tolstoj considerato il capostipite dell’anarchismo cristiano, a Gandhi che associ le idee anarchiche di rifiuto della tirannia e della repressione statale con la sua dottrina della nonviolenza.

La stagione degli attentati. Opposta la strada percorsa da alcuni individui anarchici, impossibile raggrupparli in movimenti perch l’idea stessa di gerarchia veniva rifiutata in toto, protagonisti di singole manifestazioni violente. La pi famosa, in Italia vide protagonista Gaetano Bresci che il 29 luglio del 1900 a Monza uccise il re Umberto primo dichiarando di voler vendicare le centinaia di innocenti sterminati dalla repressione del generale Bava Beccaris, su ordine del sovrano, a Milano nel maggio del 1898.

I princpi e la strategia. Il movimento anarchico non mai stato una organizzazione, la sola struttura sarebbe stata la negazione dei suoi princpi fondamentali. Che non riconoscono le elezioni perch gli anarchici non ammettono che possa esistere una delega politica, cos come non riconoscono gli Stati e quindi rifiutano il concetto stesso di frontiera e ogni nazionalismo. In questo pensiero l’anarchismo stato precursore del pensiero antirazzista, combattendo ogni forma di discriminazione a cominciare da quella coloniale, fino alla questione femminile e a ogni discriminazione sessuale.

La speranza e il caos. Come abbiamo visto il guardaroba dell’anarchia comprende vestiti di ogni tipo e ognuno pu leggerci elementi di utopia o allarme. Certamente ha rappresentato da sempre la messa in discussione di ogni organizzazione che prevedesse uno divisione tra chi dispone e chi disposto, tra chi organizza e chi organizzato, tra chi delega e chi delegato. Un rifiuto e una contestazione globale e sempre individuale: Io sono convinto – scrive Diderot ne L’uomo e la morale – che la specie umana pu essere veramente felice solo in uno stato sociale nel quale non vi siano n re, n magistrati, n preti, n leggi, n tuo, n mio, n propriet mobiliare, n propriet fondiaria, n vizi, n virt; e questo stato sociale maledettamente ideale.

7 marzo 2023 (modifica il 7 marzo 2023 | 18:46)

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