Anoressia, bulimia e non solo: una «nuova epidemia» esplosa durante il lockdown

Il disturbo alimentare non è un capriccio, ma una malattia seria e complessa che comporta un senso d’inadeguatezza. In Italia ne soffrono circa tre milioni di persone. Cosa devono dire o fare i genitori davanti a quella che è una vera emergenza? Come riconoscere i segnali di allarme e capire che cosa fare? Al Tempo della Salute 2022 se ne è parlato con Renato Borgatti, direttore della neuropsichiatria infantile della Fondazione Mondino, Laura Dalla Ragione, direttore della rete per i disturbi alimentari dell’Usl Umbria 1, Stefano Erzegovesi, psichiatra, nutrizionista e divulgatore scientifico e Fiorenza Sarzanini, vicedirettrice del Corriere della Sera, nell’incontro moderato da Chiara Daina.

La non consapevolezza

La vicedirettrice del Corriere ha ricordato come, durante la pandemia, è esploso un fenomeno già preoccupante con un rilevante aumento del numero dei casi di disturbi alimentari e come ha deciso, in quel momento, di raccontare la sua esperienza nel libro «Affamati d’amore» (per ed. Solferino) e in un podcast, con lo scopo di non lasciare sole le famiglie che affrontano la malattia. Sarzanini ha ricordato come l’elemento di fondo sia spesso la non consapevolezza di avere un problema. Raccontare una storia serve anche a tratteggiare il percorso necessario a «uscire allo scoperto». A volte le persone che soffrono di questi disturbi non si sentono deboli, anzi: gestire il cibo è una prova di forza, ma anche un modo per attirare l’attenzione e chiedere aiuto attraverso il corpo.

Cos’è successo nel lockdown

Il periodo del Covid è stato un periodo traumatico per gli adolescenti e preadolescenti, lo conferma Laura Dalla Ragione, direttore della rete per i disturbi alimentari dell’Usl Umbria 1: il 30% in più di pazienti malati soprattutto in bambini tra i 10 e gli 11 anni. La bulimia nervosa e l’alimentazione incontrollata sono le diagnosi principali. Non è più una malattia di genere: il 20% dei pazienti sono maschi tra i 14 e i 17 anni. Il lockdown non è stata tecnicamente la causa dei disturbi alimentari, ma ha fatto venire fuori il disagio diffuso.

I centri ospedalieri

Renato Borgatti, direttore della neuropsichiatria infantile della Fondazione Mondino, ha parlato del suo centro multidisciplinare, che prende in carico i pazienti (e le famiglie). Questa realtà, ospedaliera, si rivolge ai giovani più gravi (la diagnosi di anoressia è quella che comporta anche il dato numerico peggiore sulle vittime). Il centro è multidisciplinare perché spesso sotto a un disturbo alimentare c’è un disturbo psichiatrico. L’anoressia, in particolare, è una malattia di fatto psichiatrica. Il professore ha parlato di un’età di esordio che si è abbassata: spesso si inizia nella preadolescenza (anche dagli 8-9 anni).

I segnali da non trascurare

I segnali da non sottovalutare sono difficili da interpretare: il ragazzo non chiede aiuto perché percepisce il suo comportamento come una soluzione ai suoi problemi. Una volta che si sia capito che c’è un disagio alimentare, bisogna trattare il disturbo «come fosse un tumore in un adulto — specifica Stefano Erzegovesi, psichiatra, nutrizionista e divulgatore scientifico —. È pari a un grave problema di salute. Pretende cure di lunga durata e attenzione costante. Quali sono i segnali? Cambia il modo di stare a tavola: si perde la convivialità, si sta al tavolo in modo silenzioso e concentrato. Cambia l’immagine corporea, ci sono ragazzi che chiedono continuamente rassicurazioni sul proprio corpo. Il cervello di un giovane a digiuno, poi, è in carenza: ci sono pensieri ossessivi, scatti di rabbia, voglia di isolarsi».
La bulimia è un fenomeno più nascosto: perché la persona normalmente è normopeso. Anche in questo caso però si registrano: «Un modo diverso di stare a tavola, di correre via dopo il pasto e di avere attenzione per il proprio corpo».

Che cosa fare e dove

«L’ossessione è il nucleo: i malati pensano tutto il giorno a questo, al cibo, al peso, al corpo», dice Laura Dalla Ragione. L’ossessione è collegata alla dis-percezione, il vedersi in modo alterato. È davvero il cervello che vede in modo malato: è anche uno degli ultimi sintomi a scomparire, ci mette almeno due anni, ecco perché servono cure da centri che abbiano all’interno diversi specialisti che collaborano. Anche le cause dei disturbi alimentari sono multifattoriali. La prima figura da contattare sarebbero il medico curante o il pediatra. È necessario chiedere aiuto anche se nel dubbio. È necessario rivolgersi ai centri specializzati: 1 ragazza su 10 ha un disturbo alimentare in questo momento.Una volta si sia avuta una diagnosi ci saranno gli psichiatri e i nutrizionisti, sempre insieme con la famiglia, «perché si ammala anche tutta la famiglia, che va aiutata», dice la specialista. Nel 60% dei casi un buon ambulatorio integrato riesce a rispondere alle esigenze più importanti. Poi ci sono centri più specifici, che arrivano fino al ricovero salvavita in ospedale. L’offerta italiana è ancora disomogenea tra le Regioni. L’Istituto Superiore di Sanità ha un sito che offre l’elenco dei centri presenti sul territorio. C’è anche un numero verde: 800 180 969, che offre un servizio di orientamento alla famiglia.

L’aiuto per le famiglie

Parlando di famiglia, è stato ricordata la necessità del servizio psicopedagogico: i genitori fanno tante domande cui è necessario rispondere. In seconda battuta, spiega Renato Borgatti, serve uno spazio di ascolto proprio perché l’individuo si occupi della sua sofferenza. «I ragazzi malati sono l’anello debole di una catena famigliare», dice lo specialista, «Noi tentiamo di spostare l’attenzione dal comportamento alimentare all’analisi delle emozioni e dei problemi».
Il problema generale è la negazione della patologia da parte di chi è coinvolto: l’adolescente deve aver fiducia degli adulti e fidarsi di poter essere aiutato.
La prevenzione avrebbe un ruolo centrale: costruire centri di ascolto dove i ragazzi possono manifestare il loro disagio. «L’adolescenza è mitizzata: è un periodo faticoso», osserva Borgatti. Se l’adolescente riesce a esprimere il disagio, non deve manifestarlo con il proprio corpo.

La rieducazione e l’appello finale

Dal punto di vista nutrizionale, il punto da cui partire è la ricostruzione di una familiarità con il cibo, ricorda Stefano Erzegovesi. Lo si fa poco a poco, ci sono dei training specifici su questo. Il secondo passaggio è eliminare l’idea che esistano «alimenti vietati, usare magari il ricordo dell’infanzia per far tornare la curiosità su quel sapore. Con equilibrio, però — conclude l’esperto —, perché in quest’epoca si parla troppo di cibo».
L’incontro si è chiuso con un appello alle Istituzioni: da Fiorenza Sarzanini è stato ricordato che i disturbi alimentari non sono ancora malattie riconosciute. È urgente intervenire, aumentare i centri dove si possono affrontare i casi più difficili, non sottovalutare la gravità e la diffusione di queste patologie.

10 novembre 2022 (modifica il 10 novembre 2022 | 15:57)

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, 2022-11-10 14:57:00, Come affrontare i disturbi del comportamento alimentare: durante la pandemia si è registrato il 30% in più di pazienti malati, soprattutto in bambini tra i 10 e gli 11 anni, Silvia Turin

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