Artem, Mosha e Oleg: dal ring al fronte, la morte dei pugili eroi

di Francesco Battistini, inviato a Kiev

L’Ucraina piange gli atleti che hanno perso la vita in battaglia. Mosha, talento di Kiev, è caduto nell’acciaieria Azovstal. Oleg, campione dei superleggeri, era nei corpi speciali

L’ultimo combattimento era stato fissato il 12 marzo. «Boxing Show» nella Freedom Hall, ore 17, ingresso 15 euro. Ma quel pomeriggio, diciassettesimo giorno di guerra, non si presentò mai nessuno, nemmeno il custode che doveva aprire i tornelli. Allo SpartaBox non aprirono neanche la palestra per il riscaldamento. Gli spogliatoi vuoti. Le corde immobili. I tabelloni elettronici spenti. Le poltroncine deserte. I pugili erano andati tutti al fronte. «È l’ora di far vedere che combattenti siamo», avevano detto in tv i fratelli boxeur Vitalij e Volodymyr Klitschko, l’uno sindaco e l’altro suo motivatore, e il gong s’era sentito forte: via i guantoni, campioni e bidoni, tutti in trincea. Non c’era stato il tempo di dir fuori i secondi: chi era tornato dall’estero e chi aveva mollato borse di milioni, chi s’era arruolato con Azov e chi nella polizia, l’importante era solo partire e menare duro i russi, se possibile, e volteggiare come una farfalla e pungere come una vespa, secondo l’insegnamento di Cassius Clay. «I nostri atleti hanno dato un grandissimo esempio», si commuove Serhii Tishchenko, una vita da allenatore a bordo ring, adesso presidente della Federboxe ucraina: «Finora ne eravamo orgogliosi. Adesso, li consideriamo i nostri eroi celesti».

Si sa che gli eroi son tutti giovani e belli, bisogna succhiarne il cuore finché batte. E raccontarli mentre la guerra se li sta ingoiando: l’ultimo è Oleg Prudky, 30 anni, due volte campione nazionale dei superleggeri, 63 kg di coraggio portati a Cherkasy e saltati per aria domenica scorsa, assieme a tre commilitoni dei corpi speciali Kord. Era andato a combattere già prima dell’invasione e per una volta, lui che non è mai stato una star, s’era trasformato in un esempio per il grande Oleksandr Usik, il suo amico, mondiale dei massimi e oro olimpico: Oleksandr aveva saputo di Oleg e il giorno dell’invasione, senza pensarci un attimo, aveva lasciato il superattico a Londra e un ingaggio stellare, per imitarlo e arruolarsi. «Un dolore enorme», posta Usik dal fronte, piangendo l’amico. «La guerra porta via il meglio — scrive nel suo addio la moglie di Prudky, Mariasha —, sei stato un esempio per le tue due bambine che t’adorano e continuano a chiedermi: quando torna papà?». «Mi ricordo quando Oleg ha messo la divisa ed è partito per Cherkasy — s’emoziona l’ex allenatore Tischchenko —. Mi chiedevo come potesse allenarsi. Invece ci riusciva. Faceva anche dieci chilometri di bicicletta, appena era di riposo, per raggiungere la palestra. Una volta tornò dal fronte, s’infilò i guantoni e vinse l’incontro. Incredibile».

Gol e round, corner e ganci, poche cose han sempre conquistato gli ucraini più del calcio e dei pugni. Ma se pochi calciatori son sotto le armi, la Spoon River dei pugili si sta allungando. Si hanno pochi dettagli di come sia morto Mosha Artem, l’8 maggio, mentre ancora resisteva col Battaglione Azov nei sotterranei dell’acciaieria di Mariupol. Campioncino sui ring di Kiev, Mosha era conosciuto per qualche simpatia nazi e per il culto del fisico. È stata sua mamma, Iryna, a pubblicare un breve post in memoriam su Facebook, assieme allo screenshot degli ultimi messaggi fra madre e figlio: lei che gli dice «il mondo intero sta pregando per voi», lui che risponde «si sente». Pochissimo si sa anche di Mykhailo Popov, che s’allenava nelle stesse palestre dei boxeur di Kiev, conosceva bene Mosha, ma era un campione di lotta greco-romana. Nato nel Donbass, c’era tornato a combattere in un’unità di fanteria fin dal 2014, per poi congedarsi e mettersi con quelli di Azov: è stato ucciso pure lui là, sotto l’Azovstal, nonostante fosse diventato un cecchino (dicono) dalla mira infallibile.

Ogni mattina, da tre mesi, gli ucraini danno il numero dei russi ammazzati: siamo a 29.600. Quanti ne abbiano uccisi dei loro, si sa meno: il presidente Volodymyr Zelensky ammette solo ora che si va a una media di cento soldati al giorno. Di Oleksiy Yanin, campione ucraino di kickboxe e mondiale di boxe thailandese «Muay Thai», caduto il 7 aprile con quelli di Azov a Mariupol, è stata data notizia con un mese e mezzo di ritardo. Tamara, la moglie, ha custodito il segreto soprattutto con Nazariv, il loro bambino. Gli amici l’hanno salutato solo con uno sticker: due guantoni incrociati. Inutile chiedere il perché di tanti pugili morti in battaglia. La boxe, diceva il Morgan Freeman di «Million Dollar Baby», è l’arte di realizzare un sogno che nessuno vede tranne te: il sogno d’una vittoria che sembrava, e ancora sembra, impossibile.

26 maggio 2022 (modifica il 26 maggio 2022 | 23:01)

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