A Roma vota solamente uno su tre: la fuga (annunciata) degli italiani dalle urne

di Goffredo Buccini

Nel Lazio l’affluenza si ferma al 37,2%. Battuto il record registrato nel 2014 in Emilia-Romagna

Il raffronto improprio, certo, ma resta impietoso: purtroppo stavolta non ce la caviamo col televoto. A furia di sbranarsi sul senso politico di Sanremo anzich confrontarsi in modo serio e convincente su sanit e trasporti o, al limite, su un tema rilevante per le Regioni quale l’autonomia differenziata, i partiti sembrano avere prodotto un corto circuito nella testa degli italiani. Sicch a guardare il festival rimasta per cinque sere consecutive la percentuale che un tempo andava alle urne, circa il 70 per cento degli aventi diritto al telecomando, ma solo una modesta parte di costoro si ricordata al momento debito di prendere la scheda e arrivare fino al seggio per esercitare il fondamentale diritto-dovere di una democrazia.

Fuor di metafora, dal voto regionale emerge un avversario temibile, pi forte anche di chi ha vinto. Un rivale insidioso che dovrebbe unire i contendenti nella preoccupazione per la tenuta del sistema Italia. Questo nemico della nostra convivenza, contro il quale anche Giorgia Meloni ha lanciato un vano appello domenica, l’astensionismo: la fuga dalle urne che segue una tendenza certo non solo nazionale (e attiene, anzi, a una crisi globale della rappresentanza) ma che in questa tornata elettorale si manifestata in una misura che ha pochi raffronti (nel 2014 in Emilia-Romagna si scese al 37%, s, ma s’era dimesso il governatore, poi riabilitato, e s’udiva l’eco di Rimborsopoli).

Il tonfo

Alle Regionali del 2018, in Lombardia aveva votato poco pi del 73%, nel Lazio il 66%, in un solo giorno e col traino delle Politiche. In questa tornata spalmata su un giorno e mezzo, che avrebbe dovuto coinvolgere dodici milioni di elettori, il tonfo assai forte: hanno votato in media quattro su dieci; tre su dieci a Roma, nella Capitale ormai al disastro che fa sentire cos il suo grido di dolore. anche peggio di come si pensasse, medita Nando Pagnoncelli di Ipsos. quasi come se la campagna elettorale non ci fosse stata. Ci sono contingenze da valutare, certo. Candidati poco conosciuti che non sembravano adatti a scaldare masse di popolo e trascinarle nell’agone. Vincitori e vinti gi abbastanza annunciati, soprattutto a causa dell’incapacit del centrosinistra di presentarsi compatto (dunque a che pro lottare?). Un notevole tasso di confusione in alcune scelte (il Pd, per fare un esempio, con due schemi d’alleanza opposti, uno per il Lazio col Terzo polo e l’altro per la Lombardia con i Cinque Stelle). Una competizione non dichiarata ma assai presente all’interno del centrodestra, che pu avere alterato alchimie e pulsioni ed esplosa, abbiamo visto l’altra sera, davanti alle telecamere e a urne ancora aperte, con la clamorosa sconfessione di Berlusconi verso alcune scelte non irrilevanti di Giorgia Meloni.

Catalessi civile

Ma queste ragioni non dicono tutto. Lo smottamento era annunciato: ad agosto dello scorso anno, quasi un italiano su tre, interpellato da un sondaggio Swg, si dichiarava persuaso che votare non serve a nulla e quasi uno su sette si definiva disgustato dalla politica. La notizia che ci arriva da queste elezioni regionali che non siamo riusciti (anche i media in qualche modo devono interpellarsi sul punto e assumersi qualche responsabilit) a porre rimedio alla tendenza, anzi. come se i mesi seguiti all’estate, con la netta vittoria di Fratelli d’Italia alle Politiche del 25 settembre, con i successivi scontri su giustizia e Pnrr, riforme istituzionali, migranti e prezzi della benzina, con dibattiti che ritenevamo forti e partecipati, fossero passati quale acqua piovana sulla pelle di gran parte dei nostri connazionali, senza scuoterli da una sorta di catalessi civile.

Proposte deboli

Non che manchi la voglia di risveglio, anzi. Sabino Cassese, su queste colonne (il 5 febbraio) notava che la partecipazione passiva otto volte superiore a quella attiva e lo dimostra il fiorire delle scuole di politica. Non si tratta, dunque, di una crisi di domanda, ma di offerta. Se i cittadini sono interessati alla cosa pubblica ma, come spiegava Cassese, non se ne fanno implicare attivamente, il problema sta proprio nella debolezza delle proposte politiche.

Sappiamo gi che i protagonisti di questa fuga dalle urne sono i pi giovani, che si sentono giustamente poco rappresentati e poco protetti, e i pi disagiati: la coincidenza delle curve tra condizione di povert e astensionismo da tempo assai chiara. Sappiamo che le periferie, blandite solo all’ultimo momento ma dimenticate un minuto dopo la chiusura dei seggi, guideranno la classifica della disaffezione. E che la sensazione di spostare quasi zero col proprio voto malattia diffusa nel terzo millennio.

Rissa quotidiana

Ma, al di l delle radiografie socioeconomiche, resta il sospetto che i peggiori influencer siano il chiacchiericcio e la rissa quotidiana. Meloni sembra percepirlo quando parla della sua sfida politica come di una maratona, ma attorno a lei il richiamo presentista della dichiarazione roboante rende precario un percorso lungo e di visione. Proprio il surreale dibattito di queste ore su Sanremo o l’esternazione (forse non cos estemporanea ma certo inopinata) di Berlusconi contro Zelensky (e dunque contro le scelte della premier) possono essere un buon esempio di come fuochi fatui di polemica abbiano rimpiazzato temi che i partiti selezionavano un tempo attraverso inchieste parlamentari ed elaborazioni di centri studi o tramite l’ascolto delle sezioni locali: e in ballo non c’era un bacio galeotto sul palco, ma la scuola dell’obbligo e la sanit nazionale, il divorzio e l’aborto. In quei primi decenni la percentuale di votanti superava il 90%. Ma ancora nel 1994, l’anno della prima ricaduta di Mani pulite sulla politica, pi dell’86% and a votare per le elezioni che aprirono la stagione del berlusconismo.

Problemi ignorati

Nelle prossime ore sapremo tutto su quanto Meloni sia riuscita a rintuzzare i suoi stessi alleati, scopriremo se Bonaccini o Schlein potranno giocarsi una partita con Conte per l’egemonia a sinistra, se Calenda e Renzi troveranno una corsia per le Europee del 2024. Continuando per a non guardare chi, con l’astensionismo di oggi, ci chiede di essere visto nella sua quotidianit, nei piccoli problemi ai quali politica e media hanno smesso di dare peso e che sono la spia delle grandi questioni nazionali. Invisibili, come quei vecchi romani di Torre Maura, attori della rivolta anti-rom del 2019, che adesso dicono i rom siamo noi. Per capire come raggiungerli, bisogner chiedere ad Amadeus.

13 febbraio 2023 (modifica il 13 febbraio 2023 | 23:11)

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