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In Europa non si venderanno più auto con motore endotermico dal 2035. Ci candidiamo così a essere il primo mercato al mondo per l’auto elettrica. Nel 2030 Volkswagen prevede che il 50% delle sue vendite saranno auto elettriche, Toyota il 30%, Renault il 90% e Stellantis il 70% in Europa e il 40% negli Usa. Un cambiamento che comporta investimenti miliardari, pubblici e privati, per avviare una produzione di batterie, attrezzare il territorio con le colonnine di ricarica e aumentare enormemente la produzione di energia da fonti rinnovabili. Sappiamo anche che in Italia, con lo stop al motore diesel e benzina, si perderanno oltre 70 mila posti di lavoro e, dunque, cosa stiamo facendo per creare occupazione nella mobilità emergente?
Produrre più energia verde
I veicoli elettrici circolanti oggi nel nostro Paese sono 236 mila e, stando alle previsioni comunicate a Bruxelles, diventeranno 6 milioni entro il 2030 e 19 milioni entro il 2050. Si stima che per caricare i 6 milioni di auto elettriche servano almeno 10 terawattora di energia l’anno, su un consumo complessivo di energia di 330 TWh. Per caricare invece i 19 milioni di auto elettriche nel 2050 serviranno oltre 32 TWh, ma nel frattempo il fabbisogno complessivo di sarà salito a 650 TWh annui. Significa che il caricamento delle auto elettriche nel 2030 avrà un’incidenza del 3% sul totale dei consumi di energia del Paese, mentre nel 2050 salirà al 4,9%. Un peso non eccessivamente oneroso, il vero punto è che per reggere la transizione occorre raddoppiare la disponibilità di energia, poiché tutto funzionerà con una presa di corrente, caldaie comprese. E se vogliamo che le auto elettriche siano a emissioni zero vanno alimentate con energia da fonti rinnovabili. Già oggi il nostro mix energetico è tra i migliori in Europa con il 38% dell’energia che viene da rinnovabili, ma per arrivare al 72% entro il 2030, è cruciale attuare da subito i piani del Mite.
Stoccaggio e reti intelligenti
La rete deve anche essere in grado di reggere nella giornata i momenti di maggior di assorbimento. Oggi abbiamo picchi giornalieri intorno ai 55 gigawatt. Con sei milioni di auto elettriche di piccola cilindrata in carica, che da sole assorbono 22 gigawatt, dovremo sostenere picchi ben più alti, altrimenti salta il sistema, esattamente come succede in casa quando attacchi insieme la lavatrice e la lavastoviglie. Vuol dire che bisogna trovare il modo di stoccare l’energia prodotta dalle rinnovabili per tirarla fuori quando serve. Si sta cercando di rendere intelligente la ricarica programmandola entro una certa ora, con l’auto che gestisce l’assorbimento: nei momenti di picco rallenta il prelievo, oppure cede energia per riprenderla dopo. Ma è una tecnologia che sta ancora muovendo i primi passi.
Colonnine: quante sono e cosa manca
Oggi abbiamo 26.024 punti di ricarica, nel 2030 si prevede di arrivare a oltre 3 milioni di punti privati e circa 100 mila pubblici, di cui circa 31.500 a ricarica veloce (distribuiti su autostrade, superstrade e centri urbani). Insomma, a quelli oggi esistenti se ne aggiungeranno 21.225 finanziati con 740 milioni del Pnrr che serviranno a coprire a fondo perduto il 40% dell’investimento. Soldi da spendere entro il 31 dicembre 2025, altrimenti li perdiamo. Eppure la creazione della rete delle colonnine procede a rilento.
1) Manca una mappa nazionale dei punti di ricarica pubblici e, senza questa «ricognizione», è complicato pianificare le nuove colonnine legate ai bandi del Pnrr. Il ministero della Transizione ecologica si è impegnato a provvedere con un suo decreto entro metà marzo.
2) Oggi può succedere di collegarsi a una colonnina che non ti ricarica l’auto perché appartiene a un operatore diverso da quello con cui hai fatto l’abbonamento. È indispensabile che gli operatori facciano accordi di interoperabilità.
3) Chi installa colonnine deve chiedere l’autorizzazione al Comune, ma i Comuni sono 8000 e vengono previste anche dove la corrente non arriva. Infatti, il 13% delle infrastrutture non è utilizzabile. I Comuni dovranno fare regolamenti con basi standard e coordinandosi con i gestori delle reti elettriche.
4) Sulle autostrade le infrastrutture di ricarica oggi sono solo 90. Una norma del 2018 prevede una colonnina ogni 50 chilometri, quindi un totale di 117 entro il 2023. Nessun concessionario però sta procedendo tramite gara, perché l’Autorità delle regolazioni dei trasporti nel maggio scorso si è presa nove mesi per definire gli schemi dei bandi. Sono ormai passati e, se si pensa che la concorrenza abbia effetti positivi, le gare devono essere obbligatorie.
5) I condomini: installare una colonnina di ricarica nelle aree comuni o nei garage è ancora molto complicato. Servono procedure che agevolino l’operazione.
Gigafactory: l’Ue si attrezza
Oggi il 70% delle batterie sono prodotte in Asia e il 40% del valore aggiunto di un’auto elettrica sta proprio nella batteria. Il nuovo mercato delle batterie nell’Unione Europea è valutato in 250 miliardi di euro l’anno dal 2025 in poi. Boston Consulting group per Motus-e stima che il raggiungimento di una capacità produttiva di 740 GWh entro il 2030 possa portare a più di 60 mila nuovi posti di lavoro. Il 28 dicembre scorso, nello stabilimento di Skelleftea in Svezia, Northvolt Ett ha prodotto la prima batteria europea. Il mercato c’è e le maggiori case automobilistiche si stanno attrezzando per produrle, anche perché dal 2025 si preparano a sfornare auto elettriche in grandi numeri. In Europa la parte del leone la fa la Germania con progetti per 411 GWh di capacità produttiva installata. Bene stanno facendo Polonia e Ungheria che riescono ad attrarre investimenti anche da parte dei produttori asiatici. Importante: le batterie sono indispensabili anche per stoccare la produzione di energia rinnovabile e il business si allarga alla cruciale attività di riciclo e collaudo.
Italia: politica industriale cercasi
Oggi l’unica certezza sono gli 8 GWh che sta cercando di installare Seri Industrial con il progetto Faam a Teverola (in provincia di Caserta), ma non si tratta di batterie per le auto, bensì per lo storage di energia domestico, industriale e per il trasporto pubblico. Al momento i dipendenti sono 120 e si intende arrivare a 800 entro il 2024. Il progetto Italvolt a Scarmagno, vicino a Ivrea, è ambizioso: 3,4 miliardi di investimenti, fino a 70 GWh l’anno, 2024 inizio produzione e 3.000 posti di lavoro. Al momento però non è ancora chiaro chi ci mette i soldi e chi comprerà le batterie prodotte. Stellantis prevede di assicurarsi una capacità produttiva finale di circa 260 GWh l’anno attraverso la realizzazione di 5 gigafactory in Nord America ed Europa. Nel nostro Paese ha promesso di costruirla a Termoli (Campobasso), ma non c’è ancora un ok ufficiale. Sulla carta anche Fincantieri progetta la realizzazione di una gigafabbrica a Piedimonte San Germano (Frosinone) per fare batterie al litio per auto, autobus e veicoli commerciali elettrici di nuova generazione.
Intanto il tempo passa
Federmeccanica, Fim, Fiom e Uilm hanno fatto un appello al premier Draghi: «mettete in campo politiche industriali per aiutare la riconversione!». Vuol dire trovare meccanismi per finanziare gli investimenti: trasformare una fabbrica di carburatori diesel in una che produce moto elettriche richiede grandi capitali, che in Italia si fa fatica a trovare. Gli imprenditori per non chiudere devono darsi da fare da soli e senza sapere qual è la strategia-Paese sul medio periodo. Francia e Germania i piani per la transizione dell’automotive li hanno fatti dal 2019, mentre il nostro ministero dello Sviluppo economico veniva svuotato dei suoi esperti di politica industriale. Quando è nata Stellantis, sempre nel 2019, lo stato Italiano non è entrato nella compagine azionaria come ha fatto invece il governo francese. Ora il ministro Giancarlo Giorgetti dice che è colpa dell’Europa e dello stop al motore endotermico. Lo scorso dicembre, però, il comitato interministeriale per la transizione ecologica di cui Giorgetti fa parte, ha dato il via libera al «phase out» dal 2035. L’unica risposta al problema, per ora, è l’annuncio di un miliardo di euro nella rottamazione delle vecchie auto, ma una visione sul futuro dell’automotive non c’è.
14 febbraio 2022 | 07:11
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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, 2022-02-14 06:14:00, http://s.wordpress.com/mshots/v1/https%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Fdataroom-milena-gabanelli%2Fauto-elettrica-obbligatoria-ostacoli-2035-ritardo-dell-italia%2Ff71aa840-8cdf-11ec-ab58-6edac401c3bd-va.shtml?w=600&h=450, , , , These plugins are clever!, I be wild about plug-ins, because they are the beautiful!!, % %item_title%%,
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In Europa non si venderanno più auto con motore endotermico dal 2035. Ci candidiamo così a essere il primo mercato al mondo per l’auto elettrica. Nel 2030 Volkswagen prevede che il 50% delle sue vendite saranno auto elettriche, Toyota il 30%, Renault il 90% e Stellantis il 70% in Europa e il 40% negli Usa. Un cambiamento che comporta investimenti miliardari, pubblici e privati, per avviare una produzione di batterie, attrezzare il territorio con le colonnine di ricarica e aumentare enormemente la produzione di energia da fonti rinnovabili. Sappiamo anche che in Italia, con lo stop al motore diesel e benzina, si perderanno oltre 70 mila posti di lavoro e, dunque, cosa stiamo facendo per creare occupazione nella mobilità emergente?
Produrre più energia verde
I veicoli elettrici circolanti oggi nel nostro Paese sono 236 mila e, stando alle previsioni comunicate a Bruxelles, diventeranno 6 milioni entro il 2030 e 19 milioni entro il 2050. Si stima che per caricare i 6 milioni di auto elettriche servano almeno 10 terawattora di energia l’anno, su un consumo complessivo di energia di 330 TWh. Per caricare invece i 19 milioni di auto elettriche nel 2050 serviranno oltre 32 TWh, ma nel frattempo il fabbisogno complessivo di sarà salito a 650 TWh annui. Significa che il caricamento delle auto elettriche nel 2030 avrà un’incidenza del 3% sul totale dei consumi di energia del Paese, mentre nel 2050 salirà al 4,9%. Un peso non eccessivamente oneroso, il vero punto è che per reggere la transizione occorre raddoppiare la disponibilità di energia, poiché tutto funzionerà con una presa di corrente, caldaie comprese. E se vogliamo che le auto elettriche siano a emissioni zero vanno alimentate con energia da fonti rinnovabili. Già oggi il nostro mix energetico è tra i migliori in Europa con il 38% dell’energia che viene da rinnovabili, ma per arrivare al 72% entro il 2030, è cruciale attuare da subito i piani del Mite.
Stoccaggio e reti intelligenti
La rete deve anche essere in grado di reggere nella giornata i momenti di maggior di assorbimento. Oggi abbiamo picchi giornalieri intorno ai 55 gigawatt. Con sei milioni di auto elettriche di piccola cilindrata in carica, che da sole assorbono 22 gigawatt, dovremo sostenere picchi ben più alti, altrimenti salta il sistema, esattamente come succede in casa quando attacchi insieme la lavatrice e la lavastoviglie. Vuol dire che bisogna trovare il modo di stoccare l’energia prodotta dalle rinnovabili per tirarla fuori quando serve. Si sta cercando di rendere intelligente la ricarica programmandola entro una certa ora, con l’auto che gestisce l’assorbimento: nei momenti di picco rallenta il prelievo, oppure cede energia per riprenderla dopo. Ma è una tecnologia che sta ancora muovendo i primi passi.
Colonnine: quante sono e cosa manca
Oggi abbiamo 26.024 punti di ricarica, nel 2030 si prevede di arrivare a oltre 3 milioni di punti privati e circa 100 mila pubblici, di cui circa 31.500 a ricarica veloce (distribuiti su autostrade, superstrade e centri urbani). Insomma, a quelli oggi esistenti se ne aggiungeranno 21.225 finanziati con 740 milioni del Pnrr che serviranno a coprire a fondo perduto il 40% dell’investimento. Soldi da spendere entro il 31 dicembre 2025, altrimenti li perdiamo. Eppure la creazione della rete delle colonnine procede a rilento.
1) Manca una mappa nazionale dei punti di ricarica pubblici e, senza questa «ricognizione», è complicato pianificare le nuove colonnine legate ai bandi del Pnrr. Il ministero della Transizione ecologica si è impegnato a provvedere con un suo decreto entro metà marzo.
2) Oggi può succedere di collegarsi a una colonnina che non ti ricarica l’auto perché appartiene a un operatore diverso da quello con cui hai fatto l’abbonamento. È indispensabile che gli operatori facciano accordi di interoperabilità.
3) Chi installa colonnine deve chiedere l’autorizzazione al Comune, ma i Comuni sono 8000 e vengono previste anche dove la corrente non arriva. Infatti, il 13% delle infrastrutture non è utilizzabile. I Comuni dovranno fare regolamenti con basi standard e coordinandosi con i gestori delle reti elettriche.
4) Sulle autostrade le infrastrutture di ricarica oggi sono solo 90. Una norma del 2018 prevede una colonnina ogni 50 chilometri, quindi un totale di 117 entro il 2023. Nessun concessionario però sta procedendo tramite gara, perché l’Autorità delle regolazioni dei trasporti nel maggio scorso si è presa nove mesi per definire gli schemi dei bandi. Sono ormai passati e, se si pensa che la concorrenza abbia effetti positivi, le gare devono essere obbligatorie.
5) I condomini: installare una colonnina di ricarica nelle aree comuni o nei garage è ancora molto complicato. Servono procedure che agevolino l’operazione.
Gigafactory: l’Ue si attrezza
Oggi il 70% delle batterie sono prodotte in Asia e il 40% del valore aggiunto di un’auto elettrica sta proprio nella batteria. Il nuovo mercato delle batterie nell’Unione Europea è valutato in 250 miliardi di euro l’anno dal 2025 in poi. Boston Consulting group per Motus-e stima che il raggiungimento di una capacità produttiva di 740 GWh entro il 2030 possa portare a più di 60 mila nuovi posti di lavoro. Il 28 dicembre scorso, nello stabilimento di Skelleftea in Svezia, Northvolt Ett ha prodotto la prima batteria europea. Il mercato c’è e le maggiori case automobilistiche si stanno attrezzando per produrle, anche perché dal 2025 si preparano a sfornare auto elettriche in grandi numeri. In Europa la parte del leone la fa la Germania con progetti per 411 GWh di capacità produttiva installata. Bene stanno facendo Polonia e Ungheria che riescono ad attrarre investimenti anche da parte dei produttori asiatici. Importante: le batterie sono indispensabili anche per stoccare la produzione di energia rinnovabile e il business si allarga alla cruciale attività di riciclo e collaudo.
Italia: politica industriale cercasi
Oggi l’unica certezza sono gli 8 GWh che sta cercando di installare Seri Industrial con il progetto Faam a Teverola (in provincia di Caserta), ma non si tratta di batterie per le auto, bensì per lo storage di energia domestico, industriale e per il trasporto pubblico. Al momento i dipendenti sono 120 e si intende arrivare a 800 entro il 2024. Il progetto Italvolt a Scarmagno, vicino a Ivrea, è ambizioso: 3,4 miliardi di investimenti, fino a 70 GWh l’anno, 2024 inizio produzione e 3.000 posti di lavoro. Al momento però non è ancora chiaro chi ci mette i soldi e chi comprerà le batterie prodotte. Stellantis prevede di assicurarsi una capacità produttiva finale di circa 260 GWh l’anno attraverso la realizzazione di 5 gigafactory in Nord America ed Europa. Nel nostro Paese ha promesso di costruirla a Termoli (Campobasso), ma non c’è ancora un ok ufficiale. Sulla carta anche Fincantieri progetta la realizzazione di una gigafabbrica a Piedimonte San Germano (Frosinone) per fare batterie al litio per auto, autobus e veicoli commerciali elettrici di nuova generazione.
Intanto il tempo passa
Federmeccanica, Fim, Fiom e Uilm hanno fatto un appello al premier Draghi: «mettete in campo politiche industriali per aiutare la riconversione!». Vuol dire trovare meccanismi per finanziare gli investimenti: trasformare una fabbrica di carburatori diesel in una che produce moto elettriche richiede grandi capitali, che in Italia si fa fatica a trovare. Gli imprenditori per non chiudere devono darsi da fare da soli e senza sapere qual è la strategia-Paese sul medio periodo. Francia e Germania i piani per la transizione dell’automotive li hanno fatti dal 2019, mentre il nostro ministero dello Sviluppo economico veniva svuotato dei suoi esperti di politica industriale. Quando è nata Stellantis, sempre nel 2019, lo stato Italiano non è entrato nella compagine azionaria come ha fatto invece il governo francese. Ora il ministro Giancarlo Giorgetti dice che è colpa dell’Europa e dello stop al motore endotermico. Lo scorso dicembre, però, il comitato interministeriale per la transizione ecologica di cui Giorgetti fa parte, ha dato il via libera al «phase out» dal 2035. L’unica risposta al problema, per ora, è l’annuncio di un miliardo di euro nella rottamazione delle vecchie auto, ma una visione sul futuro dell’automotive non c’è.
14 febbraio 2022 | 07:11
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, Stampa Stampa senza immagine Chiudi In Europa non si venderanno più auto con motore endotermico dal 2035. Ci candidiamo così a essere il primo mercato al mondo per l’auto elettrica. Nel 2030 Volkswagen prevede che il 50% delle sue vendite saranno auto elettriche, Toyota il 30%, Renault il 90% e Stellantis il 70% in Europa…,
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In Europa non si venderanno più auto con motore endotermico dal 2035. Ci candidiamo così a essere il primo mercato al mondo per l’auto elettrica. Nel 2030 Volkswagen prevede che il 50% delle sue vendite saranno auto elettriche, Toyota il 30%, Renault il 90% e Stellantis il 70% in Europa e il 40% negli Usa. Un cambiamento che comporta investimenti miliardari, pubblici e privati, per avviare una produzione di batterie, attrezzare il territorio con le colonnine di ricarica e aumentare enormemente la produzione di energia da fonti rinnovabili. Sappiamo anche che in Italia, con lo stop al motore diesel e benzina, si perderanno oltre 70 mila posti di lavoro e, dunque, cosa stiamo facendo per creare occupazione nella mobilità emergente?
Produrre più energia verde
I veicoli elettrici circolanti oggi nel nostro Paese sono 236 mila e, stando alle previsioni comunicate a Bruxelles, diventeranno 6 milioni entro il 2030 e 19 milioni entro il 2050. Si stima che per caricare i 6 milioni di auto elettriche servano almeno 10 terawattora di energia l’anno, su un consumo complessivo di energia di 330 TWh. Per caricare invece i 19 milioni di auto elettriche nel 2050 serviranno oltre 32 TWh, ma nel frattempo il fabbisogno complessivo di sarà salito a 650 TWh annui. Significa che il caricamento delle auto elettriche nel 2030 avrà un’incidenza del 3% sul totale dei consumi di energia del Paese, mentre nel 2050 salirà al 4,9%. Un peso non eccessivamente oneroso, il vero punto è che per reggere la transizione occorre raddoppiare la disponibilità di energia, poiché tutto funzionerà con una presa di corrente, caldaie comprese. E se vogliamo che le auto elettriche siano a emissioni zero vanno alimentate con energia da fonti rinnovabili. Già oggi il nostro mix energetico è tra i migliori in Europa con il 38% dell’energia che viene da rinnovabili, ma per arrivare al 72% entro il 2030, è cruciale attuare da subito i piani del Mite.
Stoccaggio e reti intelligenti
La rete deve anche essere in grado di reggere nella giornata i momenti di maggior di assorbimento. Oggi abbiamo picchi giornalieri intorno ai 55 gigawatt. Con sei milioni di auto elettriche di piccola cilindrata in carica, che da sole assorbono 22 gigawatt, dovremo sostenere picchi ben più alti, altrimenti salta il sistema, esattamente come succede in casa quando attacchi insieme la lavatrice e la lavastoviglie. Vuol dire che bisogna trovare il modo di stoccare l’energia prodotta dalle rinnovabili per tirarla fuori quando serve. Si sta cercando di rendere intelligente la ricarica programmandola entro una certa ora, con l’auto che gestisce l’assorbimento: nei momenti di picco rallenta il prelievo, oppure cede energia per riprenderla dopo. Ma è una tecnologia che sta ancora muovendo i primi passi.
Colonnine: quante sono e cosa manca
Oggi abbiamo 26.024 punti di ricarica, nel 2030 si prevede di arrivare a oltre 3 milioni di punti privati e circa 100 mila pubblici, di cui circa 31.500 a ricarica veloce (distribuiti su autostrade, superstrade e centri urbani). Insomma, a quelli oggi esistenti se ne aggiungeranno 21.225 finanziati con 740 milioni del Pnrr che serviranno a coprire a fondo perduto il 40% dell’investimento. Soldi da spendere entro il 31 dicembre 2025, altrimenti li perdiamo. Eppure la creazione della rete delle colonnine procede a rilento.
1) Manca una mappa nazionale dei punti di ricarica pubblici e, senza questa «ricognizione», è complicato pianificare le nuove colonnine legate ai bandi del Pnrr. Il ministero della Transizione ecologica si è impegnato a provvedere con un suo decreto entro metà marzo.
2) Oggi può succedere di collegarsi a una colonnina che non ti ricarica l’auto perché appartiene a un operatore diverso da quello con cui hai fatto l’abbonamento. È indispensabile che gli operatori facciano accordi di interoperabilità.
3) Chi installa colonnine deve chiedere l’autorizzazione al Comune, ma i Comuni sono 8000 e vengono previste anche dove la corrente non arriva. Infatti, il 13% delle infrastrutture non è utilizzabile. I Comuni dovranno fare regolamenti con basi standard e coordinandosi con i gestori delle reti elettriche.
4) Sulle autostrade le infrastrutture di ricarica oggi sono solo 90. Una norma del 2018 prevede una colonnina ogni 50 chilometri, quindi un totale di 117 entro il 2023. Nessun concessionario però sta procedendo tramite gara, perché l’Autorità delle regolazioni dei trasporti nel maggio scorso si è presa nove mesi per definire gli schemi dei bandi. Sono ormai passati e, se si pensa che la concorrenza abbia effetti positivi, le gare devono essere obbligatorie.
5) I condomini: installare una colonnina di ricarica nelle aree comuni o nei garage è ancora molto complicato. Servono procedure che agevolino l’operazione.
Gigafactory: l’Ue si attrezza
Oggi il 70% delle batterie sono prodotte in Asia e il 40% del valore aggiunto di un’auto elettrica sta proprio nella batteria. Il nuovo mercato delle batterie nell’Unione Europea è valutato in 250 miliardi di euro l’anno dal 2025 in poi. Boston Consulting group per Motus-e stima che il raggiungimento di una capacità produttiva di 740 GWh entro il 2030 possa portare a più di 60 mila nuovi posti di lavoro. Il 28 dicembre scorso, nello stabilimento di Skelleftea in Svezia, Northvolt Ett ha prodotto la prima batteria europea. Il mercato c’è e le maggiori case automobilistiche si stanno attrezzando per produrle, anche perché dal 2025 si preparano a sfornare auto elettriche in grandi numeri. In Europa la parte del leone la fa la Germania con progetti per 411 GWh di capacità produttiva installata. Bene stanno facendo Polonia e Ungheria che riescono ad attrarre investimenti anche da parte dei produttori asiatici. Importante: le batterie sono indispensabili anche per stoccare la produzione di energia rinnovabile e il business si allarga alla cruciale attività di riciclo e collaudo.
Italia: politica industriale cercasi
Oggi l’unica certezza sono gli 8 GWh che sta cercando di installare Seri Industrial con il progetto Faam a Teverola (in provincia di Caserta), ma non si tratta di batterie per le auto, bensì per lo storage di energia domestico, industriale e per il trasporto pubblico. Al momento i dipendenti sono 120 e si intende arrivare a 800 entro il 2024. Il progetto Italvolt a Scarmagno, vicino a Ivrea, è ambizioso: 3,4 miliardi di investimenti, fino a 70 GWh l’anno, 2024 inizio produzione e 3.000 posti di lavoro. Al momento però non è ancora chiaro chi ci mette i soldi e chi comprerà le batterie prodotte. Stellantis prevede di assicurarsi una capacità produttiva finale di circa 260 GWh l’anno attraverso la realizzazione di 5 gigafactory in Nord America ed Europa. Nel nostro Paese ha promesso di costruirla a Termoli (Campobasso), ma non c’è ancora un ok ufficiale. Sulla carta anche Fincantieri progetta la realizzazione di una gigafabbrica a Piedimonte San Germano (Frosinone) per fare batterie al litio per auto, autobus e veicoli commerciali elettrici di nuova generazione.
Intanto il tempo passa
Federmeccanica, Fim, Fiom e Uilm hanno fatto un appello al premier Draghi: «mettete in campo politiche industriali per aiutare la riconversione!». Vuol dire trovare meccanismi per finanziare gli investimenti: trasformare una fabbrica di carburatori diesel in una che produce moto elettriche richiede grandi capitali, che in Italia si fa fatica a trovare. Gli imprenditori per non chiudere devono darsi da fare da soli e senza sapere qual è la strategia-Paese sul medio periodo. Francia e Germania i piani per la transizione dell’automotive li hanno fatti dal 2019, mentre il nostro ministero dello Sviluppo economico veniva svuotato dei suoi esperti di politica industriale. Quando è nata Stellantis, sempre nel 2019, lo stato Italiano non è entrato nella compagine azionaria come ha fatto invece il governo francese. Ora il ministro Giancarlo Giorgetti dice che è colpa dell’Europa e dello stop al motore endotermico. Lo scorso dicembre, però, il comitato interministeriale per la transizione ecologica di cui Giorgetti fa parte, ha dato il via libera al «phase out» dal 2035. L’unica risposta al problema, per ora, è l’annuncio di un miliardo di euro nella rottamazione delle vecchie auto, ma una visione sul futuro dell’automotive non c’è.
14 febbraio 2022 | 07:11
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Si stima che per caricare i 6 milioni di auto elettriche servano almeno 10 terawattora di energia l’anno, su un consumo complessivo di energia di 330 TWh. Per caricare invece i 19 milioni di auto elettriche nel 2050 serviranno oltre 32 TWh, ma nel frattempo il fabbisogno complessivo di sarà salito a 650 TWh annui. Significa che il caricamento delle auto elettriche nel 2030 avrà un’incidenza del 3% sul totale dei consumi di energia del Paese, mentre nel 2050 salirà al 4,9%. Un peso non eccessivamente oneroso, il vero punto è che per reggere la transizione occorre raddoppiare la disponibilità di energia, poiché tutto funzionerà con una presa di corrente, caldaie comprese. E se vogliamo che le auto elettriche siano a emissioni zero vanno alimentate con energia da fonti rinnovabili. Già oggi il nostro mix energetico è tra i migliori in Europa con il 38% dell’energia che viene da rinnovabili, ma per arrivare al 72% entro il 2030, è cruciale attuare da subito i piani del Mite. Stoccaggio e reti intelligentiLa rete deve anche essere in grado di reggere nella giornata i momenti di maggior di assorbimento. Oggi abbiamo picchi giornalieri intorno ai 55 gigawatt. Con sei milioni di auto elettriche di piccola cilindrata in carica, che da sole assorbono 22 gigawatt, dovremo sostenere picchi ben più alti, altrimenti salta il sistema, esattamente come succede in casa quando attacchi insieme la lavatrice e la lavastoviglie. Vuol dire che bisogna trovare il modo di stoccare l’energia prodotta dalle rinnovabili per tirarla fuori quando serve. Si sta cercando di rendere intelligente la ricarica programmandola entro una certa ora, con l’auto che gestisce l’assorbimento: nei momenti di picco rallenta il prelievo, oppure cede energia per riprenderla dopo. Ma è una tecnologia che sta ancora muovendo i primi passi. Colonnine: quante sono e cosa manca Oggi abbiamo 26.024 punti di ricarica, nel 2030 si prevede di arrivare a oltre 3 milioni di punti privati e circa 100 mila pubblici, di cui circa 31.500 a ricarica veloce (distribuiti su autostrade, superstrade e centri urbani). Insomma, a quelli oggi esistenti se ne aggiungeranno 21.225 finanziati con 740 milioni del Pnrr che serviranno a coprire a fondo perduto il 40% dell’investimento. Soldi da spendere entro il 31 dicembre 2025, altrimenti li perdiamo. Eppure la creazione della rete delle colonnine procede a rilento. 1) Manca una mappa nazionale dei punti di ricarica pubblici e, senza questa «ricognizione», è complicato pianificare le nuove colonnine legate ai bandi del Pnrr. Il ministero della Transizione ecologica si è impegnato a provvedere con un suo decreto entro metà marzo. 2) Oggi può succedere di collegarsi a una colonnina che non ti ricarica l’auto perché appartiene a un operatore diverso da quello con cui hai fatto l’abbonamento. È indispensabile che gli operatori facciano accordi di interoperabilità. 3) Chi installa colonnine deve chiedere l’autorizzazione al Comune, ma i Comuni sono 8000 e vengono previste anche dove la corrente non arriva. Infatti, il 13% delle infrastrutture non è utilizzabile. I Comuni dovranno fare regolamenti con basi standard e coordinandosi con i gestori delle reti elettriche. 4) Sulle autostrade le infrastrutture di ricarica oggi sono solo 90. Una norma del 2018 prevede una colonnina ogni 50 chilometri, quindi un totale di 117 entro il 2023. Nessun concessionario però sta procedendo tramite gara, perché l’Autorità delle regolazioni dei trasporti nel maggio scorso si è presa nove mesi per definire gli schemi dei bandi. Sono ormai passati e, se si pensa che la concorrenza abbia effetti positivi, le gare devono essere obbligatorie. 5) I condomini: installare una colonnina di ricarica nelle aree comuni o nei garage è ancora molto complicato. Servono procedure che agevolino l’operazione. Gigafactory: l’Ue si attrezzaOggi il 70% delle batterie sono prodotte in Asia e il 40% del valore aggiunto di un’auto elettrica sta proprio nella batteria. Il nuovo mercato delle batterie nell’Unione Europea è valutato in 250 miliardi di euro l’anno dal 2025 in poi. Boston Consulting group per Motus-e stima che il raggiungimento di una capacità produttiva di 740 GWh entro il 2030 possa portare a più di 60 mila nuovi posti di lavoro. Il 28 dicembre scorso, nello stabilimento di Skelleftea in Svezia, Northvolt Ett ha prodotto la prima batteria europea. Il mercato c’è e le maggiori case automobilistiche si stanno attrezzando per produrle, anche perché dal 2025 si preparano a sfornare auto elettriche in grandi numeri. In Europa la parte del leone la fa la Germania con progetti per 411 GWh di capacità produttiva installata. Bene stanno facendo Polonia e Ungheria che riescono ad attrarre investimenti anche da parte dei produttori asiatici. Importante: le batterie sono indispensabili anche per stoccare la produzione di energia rinnovabile e il business si allarga alla cruciale attività di riciclo e collaudo. Italia: politica industriale cercasiOggi l’unica certezza sono gli 8 GWh che sta cercando di installare Seri Industrial con il progetto Faam a Teverola (in provincia di Caserta), ma non si tratta di batterie per le auto, bensì per lo storage di energia domestico, industriale e per il trasporto pubblico. Al momento i dipendenti sono 120 e si intende arrivare a 800 entro il 2024. Il progetto Italvolt a Scarmagno, vicino a Ivrea, è ambizioso: 3,4 miliardi di investimenti, fino a 70 GWh l’anno, 2024 inizio produzione e 3.000 posti di lavoro. Al momento però non è ancora chiaro chi ci mette i soldi e chi comprerà le batterie prodotte. Stellantis prevede di assicurarsi una capacità produttiva finale di circa 260 GWh l’anno attraverso la realizzazione di 5 gigafactory in Nord America ed Europa. Nel nostro Paese ha promesso di costruirla a Termoli (Campobasso), ma non c’è ancora un ok ufficiale. Sulla carta anche Fincantieri progetta la realizzazione di una gigafabbrica a Piedimonte San Germano (Frosinone) per fare batterie al litio per auto, autobus e veicoli commerciali elettrici di nuova generazione. Intanto il tempo passaFedermeccanica, Fim, Fiom e Uilm hanno fatto un appello al premier Draghi: «mettete in campo politiche industriali per aiutare la riconversione!». Vuol dire trovare meccanismi per finanziare gli investimenti: trasformare una fabbrica di carburatori diesel in una che produce moto elettriche richiede grandi capitali, che in Italia si fa fatica a trovare. Gli imprenditori per non chiudere devono darsi da fare da soli e senza sapere qual è la strategia-Paese sul medio periodo. Francia e Germania i piani per la transizione dell’automotive li hanno fatti dal 2019, mentre il nostro ministero dello Sviluppo economico veniva svuotato dei suoi esperti di politica industriale. Quando è nata Stellantis, sempre nel 2019, lo stato Italiano non è entrato nella compagine azionaria come ha fatto invece il governo francese. Ora il ministro Giancarlo Giorgetti dice che è colpa dell’Europa e dello stop al motore endotermico. Lo scorso dicembre, però, il comitato interministeriale per la transizione ecologica di cui Giorgetti fa parte, ha dato il via libera al «phase out» dal 2035. L’unica risposta al problema, per ora, è l’annuncio di un miliardo di euro nella rottamazione delle vecchie auto, ma una visione sul futuro dell’automotive non c’è. 14 febbraio 2022 | 07:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT, Photo Credit: , , www.corriere.it, %%item_url %%, CorriereTV, CorriereTV, CorriereTV, Leggi di più, , https://images2.corriereobjects.it/methode_image/Video/2022/02/13/Interni/Foto-Interni-Trattate/still_obbligatoria2rett1-kbqc–656x369corriere-web-nazionale_MASTER.jpg, Corriere.it – Homepage, Corriere.it – Notizie e approfondimenti di cronaca, politica, economia e sport con foto, immagini e video di Corriere TV. Meteo, salute, guide viaggi, Musica e giochi online , https://www.corriere.it/rss/images/logo_corriere.gif, http://xml2.corriereobjects.it/rss/homepage.xml,
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