Recentemente il Consiglio dei Ministri ha approvato il DDL Calderoli nel tentativo di spianare la strada all’attuazione dell’art. 116, III comma, della Costituzione, per procedere al trasferimento delle competenze statali alle regioni, non prima di aver definito i livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Per tale motivo nei giorni scorsi Calderoli ha nominato i membri della Cabina di regia che dovrà affiancare il governo nella determinazione dei LEP. Alcuni costituzionalisti spiegano che sarebbe più opportuno parlare di Livelli Uniformi, in quanto i LEP sarebbero un’eguaglianza costruita sul minimo, che lascerebbe invariate le attuali e gravi diseguaglianze. Tra i trentotto consulenti scelti dal ministro spiccano i nomi di Mario Bertolissi, costituzionalista dell’Università di Padova e Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario (entrambi componenti della delegazione della Regione Veneto che ha trattato con lo Stato l’autonomia differenziata nel 2018-19), Ludovico Mazzarolli, Luca Mezzetti (da diversi anni consulente del consiglio regionale del Veneto), Enrico La Loggia (ex ministro degli Affari regionali di Berlusconi) e il sociologo Luca Ricolfi. Come si ricorderà, quest’ultimo è l’autore del saggio intitolato «Il sacco del Nord», teso a dimostrare che il Centro-Sud sottrarrebbe ogni anno al resto del Paese 50 miliardi di euro.
A contrastare gli egoismi delle aree più ricche del Paese, la cui affermazione sarebbe destinata inevitabilmente ad approfondire il solco di tutte le disuguaglianze, si è alzata preoccupata la voce dei sindaci, primi fra tutti quelli della rete Recovery Sud che hanno chiesto al Presidente della Repubblica di tutelare l’unità nazionale e il ritiro del DDL Calderoli, e di sollecitare i partiti a intervenire sulle disparità “anziché insistere su un progetto di Autonomia Differenziata che potrà soltanto acuirle” mettendo così in luce le implicazioni negative per i comuni del sud, soprattutto per i più piccoli, sul piano delle risorse finanziarie e della carenza di personale. Grazie a una lettera inviata dal presidente dell’Anci (che rappresenta circa 8 mila sindaci) al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, la Conferenza unificata – alla quale partecipano Stato, Regioni e gli altri enti locali – è slittata al 2 marzo, in quanto i sindaci hanno chiesto “di non fare fughe in avanti su una tematica che rischia di cambiare l’assetto istituzionale del Paese”. Anche i sindaci del catanzarese hanno preso posizione consegnando un documento al Prefetto nel quale si esprimono contro quello che definiscono “un disegno per rompere l’Italia” e sostenendo che “i livelli di prestazione non debbano essere solo essenziali, ma anche uniformi”. Inoltre lo scorso 13 febbraio il Consiglio comunale di Napoli ha approvato all’unanimità una mozione affinché sia ritirato il DDL Calderoli e sia riaperta la discussione investendo Mattarella. Tra gli altri, anche il Direttivo dell’Anci Basilicata, nel documento approvato nella riunione del 5 gennaio scorso, esprime preoccupazione su un assetto istituzionale che minerebbe la solidarietà nazionale e renderebbe strutturale le diseguaglianze. Ma il vero pioniere è stato Michele Conia, sindaco di Cinquefrondi (comune di Reggio Calabria), primo comune che, nel dicembre 2018, ha adottato una delibera contro l’attuazione del federalismo fiscale e nell’aprile successivo ha avviato il ricorso contro il sistema di perequazione del Fondo di solidarietà comunale, invitando gli altri comuni a fare altrettanto e raccogliendo 600 adesioni.
Le attuali diseguaglianze sono fotografate dal rapporto SVIMEZ “Un Paese due scuole” che aumenterebbero con il crollo degli investimenti, con un calo del 30 per cento della spesa per alunno, con un meno 400 euro rispetto al Nord. Secondo l’Istituto, infatti, un bambino che vive nel Meridione frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto al suo coetaneo che cresce nel centro-nord. Le differenze si misurano analizzando la presenza effettiva a scuola e la possibilità di usufruire di servizi come mensa e tempo pieno. Al Sud e nelle isole sono il 79% del totale gli alunni che non hanno il sevizio mensa e solo il 18 % accede al tempo pieno contro il 48% del Centro- Nord. Un’altra criticità riguarda l’assenza di palestre con la punta più alta in Calabria che sale al 83%. Una penalizzazione per il Mezzogiorno perché la mancata attività fisica a scuola unita ad altri fattori di diseguaglianza socio-economica si riflette sulle condizioni di vita: nel Meridione un bambino su tre è in sovrappeso, mentre al centro Nord è uno su cinque. E sullo sfondo risalta il calo demografico: tra il 2015 e il 2020 il numero di studenti del Mezzogiorno si è ridotto di 250mila unità.
L’impegno dei COBAS e di altre/i su questa partita è essenziale: non bisogna dimenticare che – una volta ratificate dal Parlamento – le intese governo-regione hanno durata decennale e non sono reversibili, se non per un recesso da parte delle regioni stesse. Per illustrare i rischi e scongiurare lo scivolamento verso un regionalismo delle diseguaglianze il prossimo 3 marzo, a Napoli, presso l’I.S.I.S “Elena di Savoia- Diaz, si terrà un seminario organizzato dal CESP (Centro studi per la scuola pubblica) rivolto a tutto il personale della scuola su “Autonomia differenziata e scuola pubblica: per l’unità della repubblica e l’uguaglianza dei diritti” e il 4 marzo i COBAS parteciperanno alla manifestazione nazionale di Firenze.
Carmen D’Anzi Esecutivo nazionale COBAS Scuola
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