Autonomia, i tre nodi da sciogliere

Mezzogiorno, 10 febbraio 2023 – 11:35 di Claudio Scamardella La storia consiglia umilt a chi osa fare previsioni. Ma ci sono alcune fondate ragioni per sostenere che il disegno di legge Calderoli sulla autonomia differenziata resti solo un provvedimento-bandiera, senza una effettiva realizzazione. Molti commentatori e stimati tecnici della materia, critici con il disegno, hanno gi sottolineato quanto le farraginose procedure, qualcuna ai limiti della costituzionalit, possano rendere complicata se non accidentata l’attuazione del progetto. Previsione condivisibile anche perch, oltre alle pasticciate tecnicalit (non certo casuali), l’evoluzione dello scenario politico nei prossimi mesi potrebbe sciogliere tre nodi in una direzione del tutto sfavorevole al regionalismo differenziato. Il primo nodo riguarda la Lega. L’avvio del percorso stato raggiunto nel momento di massima debolezza politica ed elettorale del partito negli ultimi anni, anche nelle regioni settentrionali, surclassato ormai dalla forza e dal netto primato di Fdi. un obiettivo conquistato in retromarcia, con l’arroccamento nel proprio fortino dopo le controverse stagioni secessionista, federalista e poi nazionale. Il regionalismo sovranista sembra ormai l’approdo di una parabola discendente, una sorta di opzione difensiva che non parla pi nemmeno a tutto il Nord. Come dimostrano le posizioni critiche espresse in modo netto da esponenti del mondo produttivo e imprenditoriale settentrionale, a cominciare dal presidente nazionale di Confindustria, oltre che da tutti i sindacati. Una debolezza, quella della Lega, che potrebbe risultare ancora pi evidente alle elezioni regionali lombarde, domenica e luned prossimi. Se i sondaggi saranno confermati, il partito dovrebbe uscire dal voto ulteriormente ridimensionato, conservando la guida della fortezza lombarda solo grazie al risultato di FdI. In tal caso, la crisi della leadership salviniana non deflagrerebbe subito, ma la forza del partito nel condizionare le future politiche del governo risulterebbe sicuramente compromessa. Anche sul percorso dell’autonomia differenziata. A ci va aggiunto che, superate le regionali di domenica e luned, il prossimo test davvero indicativo per i partiti e i loro leader, oltre che per il governo, saranno le Europee del 2024. Elezioni con il proporzionale puro, dove le coalizioni (e le divisioni dell’opposizione) non contano. E dove il voto del Sud sar molto pesante e per niente scontato. Assisteremo a una competizione elettorale diversa rispetto alle Politiche del settembre scorso, con una corsa dei partiti solitaria: facile prevedere che Fdi e Forza Italia non avranno alcun interesse a presentarsi nel Mezzogiorno con il peso di aver assecondato i diktat della Lega. E qui arriva il secondo nodo che, in tempi brevi, dovr essere sciolto. A dare il via libera al ddl sull’autonomia differenziata un governo guidato da una premier che non perde occasione, nelle sue esternazioni, di ricorrere in modo ossessivo ai termini di nazione e patria (al posto di Paese), leader di un partito che proviene da una cultura politica centralista e statalista, oltre che con un passato di forte radicamento al Sud, seppur stemperato negli ultimi tempi da una torsione nordista per catturare voti nelle regioni settentrionali. Continuare a parlare di nazione mentre, contemporaneamente, si d il via libera a tante piccole patrie non pu reggere a lungo. Patriottismo nazionalista e patriottismo regionalista sono, nei fatti, due opzioni antitetiche, a cominciare dalla realizzazione di quel Piano Mattei – nel quale emerge chiara l’impronta di uno statalismo nazionalista – su cui la premier sta scommettendo molto della propria credibilit. E non potr essere, certo, la fumosa quanto velleitaria bandiera del presidenzialismo a rappresentare il punto di equilibrio tra i due estremi. Gi nelle settimane scorse, l’accelerazione leghista stata assecondata dal premier e dal suo partito, oltre che da FI, come concessione all’alleato in difficolt pi che come progetto pienamente condiviso, e ha prodotto malcelati fastidi oltre che dichiarazioni (off-record) volte a rassicurare sulla (non) effettiva realizzazione del progetto. Facile prevedere, anche in questo caso, che pi si avvicineranno le Europee, pi esploderanno nel centrodestra le contraddizioni . Il terzo nodo riguarda il Pd, erede di quel centrosinistra che stato il vero generatore dell’autonomia differenziata, a livello legislativo e costituzionale, con la riforma del Titolo V nel 2001, non certo per convinzione ma per inseguire e scimmiottare, in modo goffo e sciagurato, la Lega nel tentativo di sfilargli la bandiera del federalismo. Un centrosinistra che si mostrato, fino a qualche settimana fa, ancora del tutto subalterno su questo tema. Il risultato sotto gli occhi di tutti: gli eredi di quel grande pasticcio non solo non hanno mai toccato palla al Nord negli ultimi vent’anni, ma hanno perso molta credibilit al Sud. Un capolavoro. Eppure, se una possibilit ha oggi il Pd di sopravvivere e rigenerarsi quella di investire, come stato osservato da pi parti, sulla prateria che si sta spalancando nel Mezzogiorno, provando ad arginare e a disarticolare il blocco politico-sociale a trazione settentrionale che detta l’agenda al Paese da trent’anni. Senza temere l’ammissione del macroscopico abbaglio del 2001 e prendendo le distanze in modo definitivo dalla linea ondivaga sull’autonomia differenziata seguita, negli ultimi anni, dal partito nazionale e dei sultanati regionali. Pi che una possibilit, in verit, una strada obbligata per l’intero Pd, anche settentrionale. E i candidati alla segreteria sembrano se ne stiano rendendo conto. Se questi tre nodi si scioglieranno nella cornice prevista, il ddl Calderoli non avr vita facile e, anzi, la recente forzatura leghista potrebbe rivelarsi un boomerang, producendo la pi classica eterogenesi dei fini. Molto dipender dal Sud, dalla sua capacit di tenere alta la guardia, di non abbandonare la mobilitazione, di cominciare a dialogare e a stringere alleanze con quei settori della societ settentrionale che stanno maturando un consapevole rigetto del regionalismo rafforzato. E, soprattutto, di perseguire un obiettivo di fondo: cogliere questo passaggio per rovesciare finalmente il tavolo sul quale si sta giocando da due decenni la partita (truccata) del riassetto dello Stato in direzione di un pasticciato, dannoso e sempre pi anacronistico para-federalismo regionalista. Anche mettendo in discussione l’esistenza stessa delle Regioni. 10 febbraio 2023 | 11:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA , , https://www.corriere.it/rss/politica.xml,

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