Il ritorno di Berlusconi dopo nove anni, Ronzulli lo scorta: «Silvio, andrà tutto bene»

di Fabrizio Roncone L’ex premier si presenta con il discorso (che lima). La senatrice gli cammina di fianco in Senato. Intanto tratta per le cariche del «sottogoverno» Pedinamenti. Il parquet scricchiola sotto i passi incerti del Cavaliere, la mano destra stretta al braccio di un gigante della scorta, l’altra che sfiora il velluto rosso delle pareti con i putti dorati, i candelabri tutti accesi, nel corridoio che conduce all’aula di Palazzo Madama. La senatrice Licia Ronzulli gli cammina dietro. E sussurra: «Andrà bene». Lui, senza voltarsi: «Siamo sicuri?». Lei, quasi una carezza sulla nuca: «Devono capire che Berlusconi è sempre e ancora Berlusconi». Adesso, mentre loro entrano nell’emiciclo, sentite: pochi minuti fa, la Ronzulli ha già preso la parola durante il dibattito. Non è una grande oratrice, ha la vocina sottile, ma tra gli scranni è calata una cappa. Tutti sappiamo che per lei, accettare l’incarico di capogruppo del plotoncino di Forza Italia, è stato un mortificante ripiego; per la sua adorata Licia, Silvio Berlusconi aveva chiesto con ostinazione il ministero della Sanità, in alternativa quello dell’Istruzione, e poi, alla fine, sarebbe andato bene persino il Turismo; però la Meloni, a ogni proposta, replicava: «E-sclu-so». Così la Ronzulli inizia il suo intervento e la Meloni non se la fila completamente. Distratta. Mette in ordine alcuni fogli. Sussurra qualcosa ad Antonio Tajani, ministro degli Esteri, vicepremier e coordinatore nazionale di FI: attualmente considerato a capo dell’ala «governista», e infatti l’altro giorno Giorgio Mulé gli ha detto chiaramente che è arrivato il momento di sloggiare, di mollare la guida del partito; Mulé è amico della Ronzulli, entrambi sono fedelissimi di Berlusconi, e insomma avrete capito perché Tajani ha quello sguardo un po’ abbacchiato, le guance appese, e ai cronisti ripete una bugia travestita da mantra: «Come va? Bene, direi proprio bene». Comunque: la Ronzulli parla e la Meloni non se la fila (probabile che qualcuno le abbia spifferato il soprannome con cui la chiamavano durante le riunioni a Villa Grande). Poi la Ronzulli — sobrio abito a quadretti, le spalline gonfie in stile Fascina, la quasi moglie di Berlusconi — dice rivolta alla premier: «Ci hanno volute rappresentare divise e diverse, ma noi sappiamo quante cose ci accomunano…». La Meloni alza prima un sopracciglio, poi fa musetto: un incrocio tra una smorfia di ironia e una di incredulità (prevale l’incredulità). La Ronzulli vuol ricucire? O, piuttosto, è un messaggio cifrato: ti ho già fatto mancare i voti quando avete eletto Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, posso farteli mancare quando voglio. La Meloni va di mestiere: e allarga una specie di sorriso (ma proprio una specie). Intanto, in attesa di Berlusconi: Matteo Renzi tiene banco alla buvette (per la cronaca: il suo intervento sarà quasi tutto contro il Pd: «La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice»; intenso anche Francesco Boccia; suggestive, in successione, le parole dell’ex pm del processo a carico di Giulio Andreotti, il grillino Roberto Scarpinato, e subito dopo quelle della leghista Giulia Bongiorno, che fu l’avvocato dell’ex presidente del Consiglio indagato per mafia). Carlo Calenda — zainetto tremendamente radical chic — ha detto due cose nel salone Garibaldi e poi è sparito. Passa la grillina Paola Taverna, ormai fuori dal Parlamento, senza più una delle sue Louis Vuitton (tipo Ilary Blasi). Molti neo senatori, senza esperienza, vanno al buffet della buvette: e divorano tristissimi piatti freddi che ormai nemmeno più in certi film coreani. Gennaro Sangiuliano, neo ministro della Cultura, avanza tutto impettito su un cuscinetto di purissimo godimento. Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, rientra nell’emiciclo stringendo mani come facevano i vecchi democristiani di un tempo (cioè, con educazione, a chiunque: dall’ultimo lobbista al portaborse che gli sussurra: «Se fosse possibile quel posticino nella sua segreteria…»). Però ora Berlusconi si è seduto. Salvini accorre a rendergli omaggio (il Capitano, anche oggi, ha comunque già puntualmente regalato qualche spina alla Meloni: prima facendosi fotografare con Letizia Moratti, poi tornando su flat tax e tregua fiscale). Ecco pure Tajani che china il capo davanti al Cavaliere. E poi, in processione, Santanchè, Monti, Piantedosi. Ignazio La Russa, dalla poltrona più alta, un filo irrituale: «Bentornato presidente!». Lui, Berlusconi, gongola. Lo stanno trattando ancora come piace a lui: da sultano. Lima gli appunti, aggiusta un discorso messo a punto nella residenza sull’Appia Antica insieme ai soliti saggi consiglieri. Torna a parlare qui dopo 9 anni, dopo l’umiliazione della decadenza. Non deve sbagliare nemmeno un verbo. «Sì alla fiducia, saremo leali». E ancora: «Sono sempre stato un uomo di pace, dalla parte dell’Occidente». Attenua certe ambiguità sul suo amico Putin e sulla guerra, rivendica meriti. Applausi, grida di evviva. Molti ministri in piedi come in uno stadio (Giorgetti, opportunamente, resta seduto). Tutto bene? Aspettate. Il Cavaliere pretende almeno 9 sottosegretari per FI. Un sottogoverno dei trombati. Trattative serrate, feroci, minacciose (per chiarimenti, chiedere a Licia: auguri). 27 ottobre 2022 (modifica il 27 ottobre 2022 | 07:09) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-27 05:12:00, L’ex premier si presenta con il discorso (che lima). La senatrice gli cammina di fianco in Senato. Intanto tratta per le cariche del «sottogoverno», Fabrizio Roncone

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