di Federico FubiniIl presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «Intesa con gli industriali di Parigi e Berlino». E poi: «Va detto che la situazione dell’economia non sta evolvendo così negativamente come tutti paventavano» Anche l’Europa delle associazioni industriali oggi è fragile. Di fronte alla concorrenza americana a colpi di sussidi, i francesi del Medef e i tedeschi di Bdi avevano idee così diverse che hanno chiesto la mediazione dell’Italia. Ieri e oggi alla Luiss di Roma è in corso l’incontro fra Confindustria, Medef e Bdi che indica le strade per una risposta europea. «La diplomazia non è il mio punto forte — dice con un filo di autoironia Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria —. Ma stiamo mettendo a fuoco le nostre esigenze: disegnare in Europa una politica di bilancio che dia impulso agli investimenti; ridurre la dipendenza dall’import di materie prime strategiche; un fondo europeo per eventuali nuove emergenze; valorizzare il Recovery Plan. Almeno per l’Italia, coinvolgendo di più il settore privato». I vostri colleghi tedeschi cosa ne pensano? «C’è stato un confronto molto intenso fra associazioni industriali di diversi Paesi europei in queste settimane. È una fase difficile per tutti, di grande tensione. Paradossalmente noi italiani siamo aiutati dal fatto che siamo più abituati a lavorare nelle emergenze. Ma alla fine sui punti importanti tutti ci troviamo d’accordo, inclusa Bdi». Anche sull’idea che il Patto di stabilità europeo debba lasciare spazio agli investimenti strategici? «Credo ch in Germania come nel resto d’Europa – non ultima l’Italia – ci sia consapevolezza di tre errori storici: l’aver delegato la nostra difesa agli Stati Uniti, la tecnologia agli Stati Uniti e alla Cina e l’energia alla Russia. Anche in Germania è in corso una profonda revisione. Dunque anche la Bdi comprende l’esigenza di sganciare gli investimenti pubblici nei settori più strategici dai vincoli del patto di stabilità». Perché questa svolta? «Il mercato cinese è molto importante per tutti e per la Germania è il più importante fuori dall’Europa, ma la Cina è in forte frenata e si ricentra su se stessa. Negli Stati Uniti, la Casa Bianca di Joe Biden ha messo in campo l’Inflation Reduction Act che vincola le imprese a comprare da fornitori americani. La nostra posizione è che in Europa dobbiamo tutti lavorare di più sugli investimenti pubblico-privati ed è un punto sul quale tutti siamo d’accordo: gli investimenti per la competitività vanno sganciati dal Patto». Con Medef e Bdi, Confindustria propone anche un fondo europeo anti-crisi future. Di che si tratta? «Siamo tutti d’accordo nel chiedere alla Commissione di lavorare a uno strumento finanziario per la gestione delle grandi crisi. Anche la Bdi L’importante è che sia dedicato alla competitività dei nostri sistemi». Si direbbe che gli industriali ovunque in Europa si stiano preparando a una grande glaciazione. «Va detto che la situazione dell’economia non sta evolvendo così negativamente come tutti paventavano. Gli ultimi dati mostrano che forse l’inflazione rallenta, la disoccupazione resta bassa e l’occupazione continua a riprendersi, anche in Italia. Tuttavia mentre Stati Uniti e Cina pompano centinaia di miliardi di dollari nei loro sistemi industriali, noi rischiamo di perdere competitività». Chiedete anche un’iniziativa europea sulle materie prime? «Che succede se fra un anno o due c’è una crisi a Taiwan? L’Europa sarebbe di nuovo nel panico. Dunque occorre un’analisi attenta dei fabbisogni attuali e futuri di materie prime strategiche, per prevenire le carenze. E serve un fondo sovrano europeo che acquisisca partecipazioni nelle grandi società globali di materie prime e minerali strategici». Come associazioni industriali europee citate il Recovery Fund. Ma in Italia sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) il quadro è confuso. Non trova? «Ci siamo un po’ smarriti. Nello spirito iniziale il Pnrr doveva imprimere una spinta aggiuntiva a nuovi investimenti. Noi invece l’abbiamo soprattutto volto a finanziare opere già previste, perché ci difetta capacità di progettare e realizzare progetti nuovi in pochi anni. Il Pnrr doveva nascere e attuarsi sulla base di un partenariato fra pubblico e privato, ma se n’è visto poco: è quasi tutto nella sfera del pubblico. Infine il Pnrr doveva risolvere i colli di bottiglia amministrativi e ordinamentali che il Paese soffre da decenni. Ma le riforme non si stanno facendo, questa è la realtà». Non è un giudizio un po’ severo? «Il primo bando per la più grande opera, la diga foranea di Genova, è andato deserto per la questione dei costi. Al secondo una ditta ha vinto e l’altra concorrente ha fatto subito ricorso al tribunale amministrativo regionale. Dunque, tutto fermo. Abbiamo tanti progetti ma mi chiedo se abbiamo abbastanza imprese invogliate a eseguirli. Abbiamo molti miliardi per gli investimenti e ciò doveva servire a rivedere e riallocare la spesa pubblica, ma non lo si fa». Il governo punta il dito sui presunti ritardi di chi lo ha preceduto. «Ci sono delle criticità, è innegabile. Ma dobbiamo lavorare tutti insieme per fare bene e in fretta. Se l’idea è di demandare molta gestione ai comuni, il più di essi non sono tecnicamente in grado». Luciano Monti, della Luiss, propone di esternalizzare la gestione dei vecchi fondi europei ordinari al settore privato per permettere all’amministrazione di concentrarsi solo sul Pnrr. Che ne pensa? «Una gestione pubblico-privato secondo me può aiutare. Era nello spirito iniziale e dovremmo tornarci. Non vedo altra via». 2 dicembre 2022 (modifica il 2 dicembre 2022 | 07:21) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-12-02 07:00:00, Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: «Intesa con gli industriali di Parigi e Berlino». E poi: «Va detto che la situazione dell’economia non sta evolvendo così negativamente come tutti paventavano», Federico Fubini