L’imprenditore Flavio Briatore negli scorsi giorni è stato vittima di un polverone mediatico sollevatosi in seguito alle sue dichiarazioni a proposito del lavoro, dello studio e della scuola. A distanza di un po’ di tempo Briatore ha adesso risposto alle critiche con un’intervista rilasciata a Libero e riportata da Open, cercando di chiarire il suo ragionamento.
“Non metto in discussione lo studio”
“Il mio ragionamento non è stato compreso. Non metto in discussione lo studio. Quando si finisce quel percorso di studi, se un giovane ha delle aspirazioni tipo diventare medico, ingegnere o avvocato fa benissimo a proseguire con l’università. Se invece non ha alcuna ambizione particolare e frequenta l’università solo per compiacere le aspettative dei genitori, questo è sbagliato e dico che è meglio che vada a lavorare”, ha esordito, cercando di aggiustare il tiro.
Poi ha spiegato l’esempio del falegname, che tanto ha fatto scalpore: “Io dico che se il figlio vede che l’attività del padre, ad esempio la falegnameria, va bene, è incentivato da grande a portarla avanti e non andare all’università per trovarsi, come i numeri ci dicono, su una piattaforma di disoccupati. Se lo Stato aiuta le imprese, aiuta i giovani figli a portarle avanti. Gli istituti tecnici, una volta considerati luogo di svogliati, sono invece una enorme risorsa che abbiamo e su cui lo Stato deve investire perché da lì uscirà la manodopera qualificata che terrà in piedi il nostro tessuto socio economico”.
“La mia ricchezza l’ho costruita lavorando”
E, su suo figlio Nathan Falco: “Ha finito quest’anno la terza media. Inizierà il liceo che farà in collegio dove ci sarà anche una parte di food and beverage che potrà fornirgli le competenze per continuare il mio lavoro. Sia chiaro, partirà da zero come tutti, facendo il cameriere. È fondamentale se vuole un giorno diventare manager, partire dal basso come ho fatto io nella mia vita”.
Briatore ha anche parlato della sua esperienza a scuola: “Io ho fatto geometra. Ragioneria era troppo complicata perché non ho mai avuto grande predilezione per i calcoli. Una volta presa la maturità mi sono subito voluto inserire nel mondo del lavoro facendo anche cose che non mi piacevano, ma era importante iniziare. Abitando in un piccolo paesino di montagna ho fatto il maestro di sci, poi il cameriere, vendevo e affittavo case, ho venduto assicurazioni. Prima c’era fame di lavoro, ambizione. Cosa che oggi non vedo in troppi giovani. Non sono nato ricco. La mia ricchezza me la sono costruita lavorando. In questo Paese c’è una enorme invidia sociale verso chi ce l’ha fatta. È un retaggio culturale radicato. La ricchezza non viene vista come uno strumento che può generare lavoro ma un qualcosa di sporco da demonizzare e contrastare”, ha concluso.
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