Il tema del calo demografico, e del conseguente calo di alunni (e di classi), sta entrando sempre di più fra gli argomenti d’attualità.
Anche la nostra testata se n’è occupa ancora una volta proprio oggi.
La sensazione, però, è che manchi ancora la piena consapevolezza che questo è davvero un problema importante e che nei prossimi anni sarà assolutamente centrale.
Sembra di tornare indietro di una trentina d’anni quando, nel 1990, venne approvata la legge 148 sulla riforma della scuola elementare che prevedeva che il numero minimo di alunni per tenere aperto un plesso venisse portato a 21 unità: non tutti capirono che nell’arco di 2, 3 anni sulla scuola elementare si sarebbe abbattuto un vero e proprio tsunami.
In molti Comuni, anche nei più piccoli, sindaci e direttori didattici pensavano che, tutto sommato, una soluzione “ragionevole” si sarebbe trovata (non dimentichiamo che il nostro è un Paese in cui si fanno leggi che spesso restano inapplicate per anni, alle volte per decenni).
Le cose andarono diversamente e nell’arco di un decennio il numero dei plessi si ridusse drasticamente passando dai 24.400 del 1990 ai 16.500 del 2000 (nel 1980 erano addirittura più di 30mila).
Per la verità in diverse realtà (poche però) i Comuni si erano già attivati in precedenza istituendo forme consortili di gestione dei servizi scolastici riuscendo in tal modo a migliorare anche il servizio scolastico (mettendo insieme le risorse fu più semplice realizzare plessi più attrezzati e con spazi e locali più adeguati).
Ma, per l’appunto, furono casi sporadici; per lo più direzioni didattiche e amministrazioni comunali si limitarono ad aspettare gli eventi e ad attendere di arrivare a 20 alunni per assistere alla inevitabile chiusura del plesso (con “code” quasi tragicomiche di Comuni di 500 abitanti che si affannavano a dimostrare che, grazie a improbabili piani regolatori, nell’arco di 2 anni la popolazione sarebbe raddoppiata). Talora le risibili previsioni demografiche ed urbanistiche di questo o quel Comune venivano tenute in considerazione dai Provveditorati, ovviamente sensibili all’onorevole di turno che garantiva sulla assoluta affidabilità del sindaco del comunello, e la scuola continuava a rimanere aperta ancora un anno o due, ma, alla fine, accadde quello che doveva accadere e, come abbiamo detto, nell’arco di un decennio vennero chiusi 8mila plessi.
Adesso la storia sembra ripetersi, sempre all’insegna del consueto “modo italico” di affrontare le situazioni critiche e difficili: invece di prendere decisioni, magari dolorose e impopolari, si preferisce attendere in modo da dimostrare l’ineluttabilità di quando accade e in modo da evitare qualsivoglia assunzione di responsabilità da parte di chi ha bisogno del voto dei cittadini per continuare a mantenere la posizione.
La politica, per il momento, si guarda bene dal fare una proposta sistematica, mentre i sindacati continuano a sostenere che il calo demografico dovrebbe essere l’occasione per aumentare anche gli organici.
L’idea di ridurre il numero degli alunni per classe nella secondaria di secondo grado è peraltro del tutto ragionevole e quindi il calo demografico potrebbe servire proprio a raggiungere questo obiettivo.
Ma, quello che si sta presentando in molti territori è uno scenario del tutto diverso: spesso (soprattutto nelle primarie e nelle secondarie di primo grado dei Comuni più piccoli) si fa fatica a formare le classi prime per mancanza di alunni.
E adesso il calo demografico incomincia a farsi sentire, seppure in misura ridotta, nella secondaria di secondo grado.
Forse bisogna che davvero amministrazioni comunali, istituzioni scolastiche, associazioni professionali e organizzazioni sindacali si mettano subito al lavoro per fare qualche proposta credibile e realistica.
In assenza di proposte fra 10 anni ci troveremo certamente con meno scuole e meno classi e, soprattutto, con una scuola ancora più ”povera” di quella attuale.
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