Cambiamo la classe dirigente

editoriale Mezzogiorno, 5 maggio 2022 – 07:49 di Gennaro Ascione E se non si trattasse di assenza. Se non si trattasse d’inadeguatezza. Se, cioè, l’attuale classe dirigente fosse coerente con se stessa tanto da badare al proprio tornaconto a danno del bene comune, in accordo con delle regole del gioco che premiano chi agisce male e sanzionano chi agisce bene? Beh, allora toccherebbe riformulare il problema dell’immobilismo di Napoli, del disastro della Campania, della deriva del Mezzogiorno, e della fragilità dell’Italia, in termini di assoluta efficienza di questa classe dirigente nel perseguire obiettivi precisi. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, cosa s’intende per classe dirigente? La risposta è piuttosto intuitiva: l’insieme ristretto di persone le cui scelte condizionano il resto del corpo sociale. Ragion per cui la classe dirigente è trasversale alla politica, alla cultura, alle professioni, all’alta formazione, all’imprenditoria. Allo stesso tempo, una classe dirigente è tale in quanto i suoi membri si collocano in posizione dominante dal punto di vista economico, e dunque accentrano la ricchezza disegualmente distribuita nelle proprie mani. Ma la classe non è acqua… Nei periodi più floridi, esiste una certa condivisione d’interessi tra la classe dirigente e il resto del corpo sociale. Vuoi perché l’interesse collettivo viene deliberatamente perseguito, vuoi perché la classe dirigente si dota degli strumenti culturali per convincere il resto della società che i propri interessi di gruppo coincidono con quelli degli altri. Nei periodi a dir poco meno floridi, come questo, invece, l’egemonia svanisce, e al suo posto sopraggiunge il volgare dominio. Di che natura è questo dominio? Non siamo in dittatura, certo. Eppure, viviamo sotto il dominio dell’incompetenza, della sciatteria, dell’approssimazione, dello scarica barile, della miopia. In tutti i settori. Nella politica, le risorse pubbliche sono sprecate, lasciate inerti a marcire, oppure distribuite secondo la logica delle prebende in cambio di voti, nel tentativo di conservare poltrone e privilegi quanto più a lungo possibile. Nella cultura, la gestione dei fondi già scarsi risponde a logiche amicali per cui tanto nel cinema, quanto nel teatro, nell’arte, nella Tv o nell’editoria, i capifila di turno fanno lavorare amici, parenti, o soggetti verso cui sono debitori di favori a buon rendere. Nelle professioni, il familismo amorale mortifica le aspirazioni dei figli di nessuno avvitandosi su se stesso fino a strangolarsi da solo. Nell’alta formazione, il vassallaggio popola di draghi sputafuoco il fossato che cinge il castello in cui i baroni restano asserragliati nelle anguste stanze delle proprie torri d’avorio. Nel calcio, il mero interesse per le plusvalenze mortifica i talenti, disgrega gli spogliatoi e deprime gli appassionati. Nell’imprenditoria, gli incentivi sul costo del lavoro per stabilizzare l’occupazione di lungo termine e la formazione continua sono sbranati aggirando le normative, precarizzando ulteriormente i dipendenti impiccati all’economia della speranza. «È così che vanno le cose?». E infatti vanno malissimo. Chi dovesse agire controcorrente e guardare al bene comune nel lungo periodo, rischierebbe di non essere rieletto, di non lavorare nell’audiovisivo al prossimo giro, di essere marginalizzato dagli enti di ricerca, di pagare dazio a un sistema-calcio che punisce l’innovazione, o addirittura rischierebbe di dover competere nel mercato piuttosto che abbassare di volta in volta i costi senza mai aumentare i ricavi. La questione, allora, è di formare una classe dirigente differente e alternativa a quella attuale. È questo il primo rischio da correre. Per farlo occorrerebbe bilanciare il principio della continuità intergenerazionale, il trasferimento di know-how, e la salvaguardia delle reti relazionali, con il principio della selezione sulla base delle competenze, delle capacità, dell’età del merito. Sarebbe una classe dirigente letteralmente anacronistica: fuori da questo tempo. Non perché passata. Perché futura. La newsletter di Corriere del Mezzogiorno – CampaniaSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccarequi. 5 maggio 2022 | 07:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-05 05:50:00, editoriale Mezzogiorno, 5 maggio 2022 – 07:49 di Gennaro Ascione E se non si trattasse di assenza. Se non si trattasse d’inadeguatezza. Se, cioè, l’attuale classe dirigente fosse coerente con se stessa tanto da badare al proprio tornaconto a danno del bene comune, in accordo con delle regole del gioco che premiano chi agisce male e sanzionano chi agisce bene? Beh, allora toccherebbe riformulare il problema dell’immobilismo di Napoli, del disastro della Campania, della deriva del Mezzogiorno, e della fragilità dell’Italia, in termini di assoluta efficienza di questa classe dirigente nel perseguire obiettivi precisi. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, cosa s’intende per classe dirigente? La risposta è piuttosto intuitiva: l’insieme ristretto di persone le cui scelte condizionano il resto del corpo sociale. Ragion per cui la classe dirigente è trasversale alla politica, alla cultura, alle professioni, all’alta formazione, all’imprenditoria. Allo stesso tempo, una classe dirigente è tale in quanto i suoi membri si collocano in posizione dominante dal punto di vista economico, e dunque accentrano la ricchezza disegualmente distribuita nelle proprie mani. Ma la classe non è acqua… Nei periodi più floridi, esiste una certa condivisione d’interessi tra la classe dirigente e il resto del corpo sociale. Vuoi perché l’interesse collettivo viene deliberatamente perseguito, vuoi perché la classe dirigente si dota degli strumenti culturali per convincere il resto della società che i propri interessi di gruppo coincidono con quelli degli altri. Nei periodi a dir poco meno floridi, come questo, invece, l’egemonia svanisce, e al suo posto sopraggiunge il volgare dominio. Di che natura è questo dominio? Non siamo in dittatura, certo. Eppure, viviamo sotto il dominio dell’incompetenza, della sciatteria, dell’approssimazione, dello scarica barile, della miopia. In tutti i settori. Nella politica, le risorse pubbliche sono sprecate, lasciate inerti a marcire, oppure distribuite secondo la logica delle prebende in cambio di voti, nel tentativo di conservare poltrone e privilegi quanto più a lungo possibile. Nella cultura, la gestione dei fondi già scarsi risponde a logiche amicali per cui tanto nel cinema, quanto nel teatro, nell’arte, nella Tv o nell’editoria, i capifila di turno fanno lavorare amici, parenti, o soggetti verso cui sono debitori di favori a buon rendere. Nelle professioni, il familismo amorale mortifica le aspirazioni dei figli di nessuno avvitandosi su se stesso fino a strangolarsi da solo. Nell’alta formazione, il vassallaggio popola di draghi sputafuoco il fossato che cinge il castello in cui i baroni restano asserragliati nelle anguste stanze delle proprie torri d’avorio. Nel calcio, il mero interesse per le plusvalenze mortifica i talenti, disgrega gli spogliatoi e deprime gli appassionati. Nell’imprenditoria, gli incentivi sul costo del lavoro per stabilizzare l’occupazione di lungo termine e la formazione continua sono sbranati aggirando le normative, precarizzando ulteriormente i dipendenti impiccati all’economia della speranza. «È così che vanno le cose?». E infatti vanno malissimo. Chi dovesse agire controcorrente e guardare al bene comune nel lungo periodo, rischierebbe di non essere rieletto, di non lavorare nell’audiovisivo al prossimo giro, di essere marginalizzato dagli enti di ricerca, di pagare dazio a un sistema-calcio che punisce l’innovazione, o addirittura rischierebbe di dover competere nel mercato piuttosto che abbassare di volta in volta i costi senza mai aumentare i ricavi. La questione, allora, è di formare una classe dirigente differente e alternativa a quella attuale. È questo il primo rischio da correre. Per farlo occorrerebbe bilanciare il principio della continuità intergenerazionale, il trasferimento di know-how, e la salvaguardia delle reti relazionali, con il principio della selezione sulla base delle competenze, delle capacità, dell’età del merito. Sarebbe una classe dirigente letteralmente anacronistica: fuori da questo tempo. Non perché passata. Perché futura. La newsletter di Corriere del Mezzogiorno – CampaniaSe vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccarequi. 5 maggio 2022 | 07:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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