Roberto Andò, il regista del film campione dincassi: E ora Don Carlo. Sono un autore schizofrenico

di Valerio Cappelli

La stranezza con 5 milioni e mezzo (biglietto d’oro) al primo posto al box office del cinema italiano. A Firenze porta in scena il Verdi pi cupo. Vivo il grande exploit tardi, a 64 anni, come avvenne a Camilleri che mi diceva: mi fa piacere ma me ne frego.

FIRENZE Mi sento un perfetto schizofrenico, dice Roberto And. Sono pochi i registi che si muovono tra opera, cinema, teatro. Un tempo, Visconti, Zeffirelli, Bolognini. Ogni tanto lo faceva Olmi e lo fa Amelio. Oggi in questo club ristretto figurano Martone e And, che il regista del momento, il suo film su Pirandello e sulla genesi dei Sei personaggi, La stranezza, viaggia sui 5 milioni e mezzo, il primo incasso italiano del 2022. E stasera all’Opera di Firenze c’ (in coincidenza con l’apertura del nuovo palcoscenico) la sua regia del Don Carlo, il Verdi pi cupo e nero, diretto da Daniele Gatti.

Cosa vuol dire vivere questo exploit a…

Ho 64 anni. Ho i piedi per terra. Anche un altro siciliano, Andrea Camilleri, ha vissuto la popolarit tardi. Diceva: mi fa piacere ma me ne fotto. Io dico, mi fa piacere ma non mi devia, arriva in un momento in cui conosco me stesso, sono solido e questo mi consente pi libert. Mi stanno arrivando molte proposte, per il momento sto lavorando a un mio romanzo su Palermo.

Qual l’ambito artistico in cui pi si sente a casa?

Mi sento uno schizofrenico perfetto. Sono cantieri diversi. Il cinema la forma d’arte totalizzante, tutte le fasi di un film durano un anno; l’opera strutturata in modo diverso, mi attrae di fare un patto con un linguaggio codificato, con una musica splendida, con storie che si conoscono. Peccato sia un mondo troppo sindacalizzato, con regole rigide.

Com’ fare un botto d’incassi con Pirandello, l’olio di ricino degli studenti…

E’ molto sorprendente, tra le tante telefonate ho ricevuto quella di Kusturica che ha scherzato: buongiorno sono Pirandello. C’ stata una condivisione di fattori, il passa parola, la riflessione sull’atto creativo, il vedere un genio al lavoro, una Sicilia vista con lo sguardo di oggi, popolare e tragicomica, poi l’integrazione perfetta tra due eroi popolari come Ficarra e Picone accanto a Toni Servillo. E’ il cinema d’autore che piace al grande pubblico. Ricordo una sera a casa di Bertolucci, nella penombra propose di fare il gioco della verit, veniva dall’insuccesso di Partner, mi rifer un pensiero del suo analista: se non desideri il pubblico, come puoi pensare che il pubblico desideri te? Bisogna andare a prendersela la gente, che si mobilita se il film ha un carattere di evento. Io non voglio smettere il piacere di comunicare col pubblico.

Cosa direbbe il suo amico Sciascia della Stranezza?

E’ la domanda delle domande, mi manca questo riscontro ed un rammarico, lui non ha visto nessuno dei miei film, morto prima che esordissi. Mi sugger di fare un film su Majorana, il fisico che calcol che nessuno lo trovasse, su cui scrisse un libro, mi pass una cartella con le sue ricerche. Lo tengo come una reliquia.

Lei stato assistente di Rosi e di Fellini.

Esperienze formative forti, pur essendo agli antipodi, il primo legato al sacrario della verit e l’altro della finzione. Erano accomunati dal rigore. Rosi fu il primo aiuto regista di Visconti, mi rivolse la parola dopo un mese; Fellini…E la nave va oggi sarebbe impossibile, 26 settimane di lavorazione, c’era una magia di invenzione sul set, non era mai prevedibile. Ho fatto l’aiuto di Cimino e di Coppola al Padrino III, ricordo che voleva fare Re Lear; per la scena finale sulla scalinata del Teatro Massimo di Palermo voleva anche un regista d’opera.

Veniamo al Don Carlo, un unicum nel repertorio verdiano.

Uno dei suoi grandi capolavori, non perfetti, perch nella versione in quattro atti c’ uno sbilanciamento, manca il movente dell’amore di Carlo per Elisabetta, che resta misterioso. I protagonisti sono una serie di ritratti morali. Filippo un re triste, solitario e pieno di dubbi sul suo ruolo, lui il tormento del potere, schiacciato dalla forza della Chiesa, il Grande Inquisitore che fin paro paro nelle pagine di Dostoevskij; Elisabetta iscritta al senso del dovere, macerata dalla vita che non ha potuto avere e lo stesso pu dirsi per Carlo che si innamorato della donna che non sar sua; il Marchese di Posa l’uomo delle istanze progressiste ha una sua ambiguit; Eboli sensuale, era l’amante del re come nell’opera. E poi l’Inquisitore, una Chiesa completamente priva di etica.

Com’ la scena?

E’ il chiostro di San Giustino con la cripta e la tomba di Carlo V. Poi diventa un giardino. Un luogo senza tempo che proietta l’interiorit dei personaggi, la nudit delle loro anime, prigioniere di qualcosa, con un approfondimento psicologico che non si finisce mai di scoprire. E’ un’opera sul potere e sulla fragilit del potere, grandiosa e intima.

26 dicembre 2022 (modifica il 26 dicembre 2022 | 19:46)

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