Cari amici stabiesi, ora basta indifferenza

Castellammare non è sempre stata così. È una città con una sua storia, produttiva, culturale e civile, non assimilabile dunque al capoluogo, non una periferia-dormitorio della grande città, non l’ennesima prateria del banditismo organizzato. Con una sua dignità, un liceo classico di qualità, una consapevole classe operaia, una borghesia delle professioni, i suoi circoli, i suoi figli illustri, una tradizione nel teatro e nella musica. Insomma, un avamposto di civiltà, dotata un tempo di una capacità di resistenza all’accerchiamento del malaffare di stampo mafioso e della legge del più forte. Confesso che non avrei mai pensato che la città dove sono nato potesse un giorno subire la sorte di altri centri con storie meno gloriose: un provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.

In quel consiglio un tempo si svolgevano battaglie politiche acerrime ma nobilitate dalla contrapposizione di culture e ideologie, tra uno dei Pci più forti del Mezzogiorno e la Dc dei Gava, roccaforte di voti e consenso. Oggi è abitato da personaggi in cerca di affari, pronti a cambiare casacca o a cucirsene una personale addosso per giustificare con un pretesto politico i loro business privati.

Nel leggere la relazione che il ministero degli Interni ha presentato al Consiglio dei ministri — ammetto di averlo fatto con ritardo, è uscita il 10 marzo, ma la nostra attenzione era sull’invasione russa dell’Ucraina, ed eravamo tutti presi da altre vicende — mi ha colpito la conferma di quanto da tempo va dicendo il procuratore generale Luigi Riello (tra l’altro cittadino illustre di Castellammare) e con lui più modestamente altri analisti, tra i quali l’autore di questa rubrica. E cioè che la società «per male» non potrebbe esistere senza l’indifferenza, l’acquiescenza, le omissioni, le complicità, della società «per bene» dei professionisti, dei colletti bianchi, della borghesia benestante, in qualche caso dei sindaci e perfino della Chiesa, che talvolta chiude un occhio, concede i sacramenti, accetta doni e ricambia con «inchini» durante le processioni (ma su questo punto è già intervenuto con grande forza l’arcivescovo, per ricordare che la Chiesa vera è quella che si sporca le mani col Vangelo).
Che cosa dice infatti questa relazione? Dice, sì, che il sindaco Gaetano Cimmino ha fatto il testimone di nozze al matrimonio di «uno dei componenti di una locale famiglia mafiosa», alla quale sono finiti anche «appalti e servizi» affidati dallo stesso Comune. E questa è la cosa che ha colpito di più i media. Ma c’è scritto anche altro. La contaminazione non avveniva solo ai piani alti della politica locale.
Persino il personale amministrativo del Comune «risulta coinvolto a vario titolo in procedimenti penali per reati contro la pubblica amministrazione»; per «affidamenti diretti e fiduciari in violazione del principio di rotazione», sempre «agli stessi operatori economici», «inviti ad assegnazioni dirette di lavori senza adeguata motivazione», «irregolarità e anomalie nelle procedure di gara per l’affidamento di aeree demaniali da destinare a spiaggia libera attrezzata».
Ancor più clamoroso il fatto che «alcuni beni immobiliari e terreni agricoli sono rimasti nella disponibilità degli stessi soggetti criminali ai quali erano stati confiscati», anche grazie a relazioni «dell’ufficio del patrimonio e della polizia locale che ne accertavano in alcuni casi l’inaccessibilità».
E il sindaco Cimmino stesso, nel difendersi dalle accuse sostenendo che non può chiedere la fedina penale a tutti coloro che incontra ai matrimoni, ha fatto riferimento a possibili «incapacità, sciatterie o addirittura collusioni» dei funzionari cui aveva affidato i controlli.
Tutto ciò vuol dire una sola cosa: molte persone, amministratori, funzionari, tecnici, professionisti, non hanno fatto il loro dovere contrastando o almeno prevenendo gli affari mafiosi. Magari non sono mafiosi essi stessi — questo ce lo diranno le indagini e i processi, e per quanto mi riguarda vale sempre la presunzione di innocenza — magari non sono nemmeno complici, ma non di certo non sono nemici della camorra, e anzi la tollerano.
Si tengono in disparte, fanno quello che viene loro chiesto, concedono favori a chi non dovrebbero, ottengono in cambio riconoscimenti e vantaggi sociali, quando non economici. E, così facendo, uccidono la loro città.
Chissà quando si tornerà a votare a Castellammare. Non prima di diciotto mesi. Il danno che è stato fatto a questa comunità è dunque incalcolabile, se si considera che è proprio in questo periodo che si definiscono gli investimenti per le opere del Pnrr.
Ma d’altra parte la politica democratica è diventata in questi comuni parte del problema, non la sua soluzione. Basti pensare che il suddetto Gaetano Cimmino è stato segretario cittadino del Pd prima di diventare candidato sindaco di Forza Italia. Da uno così, che usa i partiti come taxi, nessuno si sarebbe mai dovuto aspettare un impegno civile al servizio della propria comunità.
Eppure è stato eletto, e magari lo sarà ancora. Cari amici stabiesi, ex concittadini, fate qualcosa perché non accada più.

20 marzo 2022 | 08:20
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, 2022-03-20 07:21:00, La società «per male» non potrebbe esistere senza la complicità della società «per bene»,

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