di Giovanni Bianconi Il magistrato Carlo Nordio ha assunto il’incarico di ministro della Giustizia nel governo guidato da Giorgia Meloni. L’idea di ripristinare l’immunità parlamentare e il sostegno alla separazione tra giudici e pubblici ministeri Voleva fare il chirurgo , «ma sono patofobico e ipersensibile alle sofferenze fisiche altrui, sarei stato un pessimo medico». Oppure il direttore d’orchestra , «ma ho sospeso lo studio del violino ai tempi dell’esame di maturità». A quel punto, circondato com’era da avvocati in famiglia (padre, fratello, nipote e suocero), scelse di studiare Giurisprudenza, ma presto capì che sarebbe stato più libero facendo il magistrato: un difensore, nell’interesse dell’assistito, può trovarsi a sostenere tesi di cui non è convinto, un pubblico ministero o un giudice no. Fu così che Carlo Nordio, nato a Treviso nel 1947, decise di indossare la toga dell’accusatore; dopo quarant’anni di carriera è approdato alla pubblicistica, e da ultimo alla politica : deputato eletto nelle file di Fratelli d’Italia e ora ministro della Giustizia. Scelto personalmente dalla neo-premier, che ha sfidato le resistenze dell’alleato Silvio Berlusconi, deciso a indicare lui il nome per quella poltrona. Eppure, in materia di giustizia, Nordio esprime posizioni molto vicine a quelle di Forza Italia, persino più che a ad ex missini e leghisti. Tant’è che quando, in campagna elettorale, s’è riparlato della sua idea di ripristinare l’immunità parlamentare, dentro Lega e FdI s’è registrato un certo imbarazzo. Tuttavia il pensiero dell’ex pm è ribadito nel suo ultimo libro «Giustizia ultimo atto. Da tangentopoli al crollo della magistratura», uscito a inizio 2022 da cui sono tratte le citazioni di questo articolo. Il ritorno all’immunità parlamentare non è nell’agenda di governo, però resta il giudizio del neo-Guardasigilli sulla «subordinazione codarda della politica davanti alla magistratura e la strumentalizzazione delle inchieste per eliminare attraverso i tribunali, la stampa e le piazze gli avversari che non si riescono a battere nelle urne». Agli albori della cosiddetta Seconda Repubblica, ricorda Nordio, ci provarono con Berlusconi, e quella «irresistibile tentazione si è ripetuta venticinque anni dopo nei confronti di Matteo Salvini». Il processo in corso a Palermo contro il leader leghista per la vicenda Open Arms (e non anche contro l’allora premier Giuseppe Conte) resta per lui un «pasticcio inverosimile». Sulle riforme da fare, il centro-destra è compatto nel perseguire la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, di cui l’ex magistrato è un convinto sostenitore, con annessa risposta a chi paventa un pm sotto il controllo del governo: «Non se ne vede la consequenzialità logica, può benissimo restare autonomo e indipendente, diventando quello che dovrebbe essere, cioè l’avvocato dell’accusa». L’obbligatorietà dell’azione penale, sancita dalla Costituzione come garanzia dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, «di fatto si è convertita in un intollerabile arbitrio»; e l’utilizzo delle intercettazioni rese pubbliche attraverso «un sistema di diffusione selezionata e pilotata, è una porcheria indegna di un Paese civile». Rispetto all’idea che ai tempi di Tangentopoli i suoi ex colleghi abbiano riservato «un trattamento di favore al partito comunista, concentrandosi in modo particolarmente accanito su Craxi prima e Berlusconi poi», Carlo Nordio ritiene che «c’è sicuramente un fondo di verità: ne fanno fede il numero spropositato di indagini nei confronti del cavaliere, e il loro esito quasi sempre inconcludente». In quella stagione, quando era sostituto procuratore a Venezia, proprio a Nordio capitò di indagare sulle cosiddette «tangenti rosse». Tra gli inquisiti anche i leader dell’ex Pci divenuto Pds, Achille Occhetto e Massimo D’Alema, per i quali l’ex pm chiese l’archiviazione. Il giudice decise però che il fascicolo andava trasmesso a Roma per competenza, cosa che avvenne con molto ritardo perché Nordio pensava che l’invio spettasse al giudice, e viceversa. Nella capitale l’inchiesta finì in archivio: per i suoi detrattori fu un flop, ma il neo-ministro rivendica che «i finanziamenti occulti al Pci erano stati dimostrati oltre ogni dubbio, e infatti la gran parte degli indagati sarebbe poi stata rinviata a giudizio e avrebbe patteggiato la pena». Destino delle sue indagini a parte (famose quelle sulle Br in Veneto e sui lavori per il Mose di Venezia), dell’ex pm si ricordano anche i rapporti non sempre distesi con il Consiglio superiore della magistratura e con l’Associazione nazionale magistrati, che procedette a una convocazione davanti ai probiviri alla quale Nordio si sottrasse contestando «i metodi staliniani». E resta il suo giudizio sulla necessità di riformare nel profondo la Costituzione italiana: «Non c’è nessun reato di lesa maestà e nessuna nostalgia autoritaria nel sostenere che è venerabile ma irreversibilmente malata, meritevole di una sepoltura onorata e pacifica». 21 ottobre 2022 (modifica il 21 ottobre 2022 | 19:04) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-10-21 17:04:00, Il magistrato Carlo Nordio ha assunto il’incarico di ministro della Giustizia nel governo guidato da Giorgia Meloni. L’idea di ripristinare l’immunità parlamentare e il sostegno alla separazione tra giudici e pubblici ministeri, Giovanni Bianconi