Caso figlio La Russa, la Pm Mannella: Bisogna educare a scuola. Cambierei il finale di fiabe come Biancaneve

In questi giorni sta facendo scalpore l’accusa di violenza sessuale nei confronti di uno dei figli del presidente del Senato Ignazio La Russa da parte di una ragazza di 22 anni dopo una serata in discoteca. Lasciando stare le indagini su questa vicenda specifica, la procuratrice aggiunta presso il Tribunale di Milano che ne è a capo, Maria Letizia Mannella, ha parlato di educazione alla parità di genere ai microfoni di Fanpage.it.

“I bambini e le bambine sono uguali”

La Mannella si occupa di tutela delle vittime vulnerabili e della violenza di genere e si sta occupando anche del triste caso relativo all’omicidio di Giulia Tramontano mentre era al nono mese di gravidanza, per la cui morte è indagato il compagno.

La Pm crede che bisognerebbe agire, per prevenire atti di violenza contro le donne e femminicidi, già nella scuola elementare: “È necessario uno scatto culturale. Bisogna che tutti, uomini e donne, vengano considerati entrambi forti. Siamo tutti forti, anche se in modo diverso. Su questo bisogna educare fin dalle scuole elementari, dove le figure di riferimento devono riuscire a far capire che i bambini e le bambine sono uguali. Non devono esserci sport adatti ai maschi e alle femmine. Bisogna far capire già ai bambini che sia maschi che femmine sono capaci di fare tutto, perché questa è la realtà. Si sta, a mio avviso, progressivamente avanzando verso questo tipo di educazione”, ha detto.

Secondo Mannella servirebbe un cambio nella cultura e nella società, partendo dalle fiabe che vengono narrate ai bambini, che spesso imprimono nelle loro menti stereotipi e comportamenti errati: “Spesso noi donne ci sottovalutiamo: pensiamo che senza un uomo che ci valorizzi noi valiamo meno. E non va bene. D’altra parte le favole che ci raccontano fin da piccole raccontano di donne, da Cenerentola a Biancaneve, che si sono salvate grazie a un uomo. Ma nella vita non è così. Cambierei il finale della bella addormentata o di Biancaneve che tutti noi conosciamo: quando lui la sveglia con il bacio e lei prende e lo segue sul cavallo. No, io lo cambierei: quando la principessa si sveglia, saluta e ringrazia il principe. E poi gli dice: ‘Ho perso anche già tanto tempo. Ora vado a trovarmi un buon lavoro’”.

“Spesso riceviamo denunce di vicini di casa e di insegnanti che vedono il bambino con i lividi a scuola oppure che in un tema in classe scrive che il padre picchia la madre. Prima del codice rosso non avveniva. È importante anche ricordare che il codice rosso consente l’anonimato a chi denuncia le violenze”, ha concluso, parlando ancora di scuola.

Le scuole non fanno abbastanza?

Già a proposito del caso Tramontano è infiammato il dibattito sull’educazione ai sentimenti nelle scuole, alimentato da un articolo pubblicato su La Stampa l’1 giugno. L’autrice, la giornalista Annalisa Cuzzocrea, ha affermato che, a suo avviso, il tasso di femminicidi in Italia non accenna ad abbassarsi in quanto manca un’azione concreta da parte delle scuole.

“Il dato sui femminicidi non cala da anni nonostante a livello legislativo tanto si sia provato a realizzare. Tanto, ma non abbastanza. Non cala perché non si è fatto – di pari passo col lavoro in Parlamento – un’opera di educazione profonda nel Paese, a partire dalle scuole. Non si parla di sentimenti e di come gestirli nelle nostre classi, è un tabù, sia mai arrivi il “gender”. Non si parla di sesso, meno che mai, anzi ci sono presidi che invocano l’epurazione dei baci gay dalle mostre fotografiche. Non si insegna alle ragazze quel che devono sapere fin dal primo giorno: al primo segno di violenza, prendi tutto e vai via”, queste le sue parole.

“Si tratta però oggi, adesso, purtroppo, per le ragazze di questo Paese, di capire come salvarsi finché quel lavoro profondo affinché un uomo impari che non può avere tutto non sia completato. E invece, purtroppo, quel che ci troviamo ancora ad insegnare è ad avere paura. Perché quel lavoro profondo sugli uomini, che elimini il desiderio di possesso e non di amore, di sopraffazione e non di cura, di assenza del limite, di riconoscimento di una violenza interiore che va curata, non lo abbiamo ancora nemmeno cominciato”, ha concluso la giornalista.

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