Cavalli di frisia e civiltà digitale

di Barbara Stefanelli A nche l’impensabile – un’arcaica guerra di invasione, con carri armati nei campi di grano e cavalli di frisia sulla spiaggia di Odessa – ha preso una forma e una sostanza digitali. Il conflitto, cominciato all’alba del 24 febbraio lungo una frontiera remota, ci è sembrato vicino sin dalle prime ore. Questo perché l’Ucraina è Europa, lo abbiamo imparato in queste settimane e per sempre. Ma anche perché il racconto della Resistenza di un popolo intero ha conquistato i nostri schermi, entrando nelle nostre giornate, come non era mai successo durante un conflitto. Ci siamo trovati a un braccio di distanza dal volto di Zelensky con alle spalle il Parlamento di Kiev quando Mosca ne annunciava la fuga. Abbiamo letto su Facebook le terribili memorie dal sottosuolo di una donna prigioniera nell’assedio di Maryupol. Abbiamo visto influencer della regione tramutarsi in citizen journalist per raccogliere aiuti o trasmettere informazioni. E letto di David Beckham che ha «passato» il suo account, con scia di 71 milioni di follower, a chi – una dottoressa – avrebbe potuto mostrare senza filtri la tragedia di Kharkiv. Certo, ci sono state fake new s e trappole deep fake. Né la gravità del contesto ci ha risparmiato lo stordimento da risse sui social. La parte di servizio e di condivisione ha tuttavia stravinto su veleni, complotti, irresponsabilità. Esiste una civiltà digitale, anche in tempi di guerra. 27 marzo 2022 (modifica il 27 marzo 2022 | 18:13) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-03-27 16:14:00, di Barbara Stefanelli A nche l’impensabile – un’arcaica guerra di invasione, con carri armati nei campi di grano e cavalli di frisia sulla spiaggia di Odessa – ha preso una forma e una sostanza digitali. Il conflitto, cominciato all’alba del 24 febbraio lungo una frontiera remota, ci è sembrato vicino sin dalle prime ore. Questo perché l’Ucraina è Europa, lo abbiamo imparato in queste settimane e per sempre. Ma anche perché il racconto della Resistenza di un popolo intero ha conquistato i nostri schermi, entrando nelle nostre giornate, come non era mai successo durante un conflitto. Ci siamo trovati a un braccio di distanza dal volto di Zelensky con alle spalle il Parlamento di Kiev quando Mosca ne annunciava la fuga. Abbiamo letto su Facebook le terribili memorie dal sottosuolo di una donna prigioniera nell’assedio di Maryupol. Abbiamo visto influencer della regione tramutarsi in citizen journalist per raccogliere aiuti o trasmettere informazioni. E letto di David Beckham che ha «passato» il suo account, con scia di 71 milioni di follower, a chi – una dottoressa – avrebbe potuto mostrare senza filtri la tragedia di Kharkiv. Certo, ci sono state fake new s e trappole deep fake. Né la gravità del contesto ci ha risparmiato lo stordimento da risse sui social. La parte di servizio e di condivisione ha tuttavia stravinto su veleni, complotti, irresponsabilità. Esiste una civiltà digitale, anche in tempi di guerra. 27 marzo 2022 (modifica il 27 marzo 2022 | 18:13) © RIPRODUZIONE RISERVATA , Barbara Stefanelli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version