Chef Giunta: La Sicilia è più libera senza Messina Denaro. Sono felice, ma la mafia resta

la testimonianza

di Chiara Amati

L’arresto del boss di Cosa Nostra la fine della mafia stragista per Natale Giunta, lo chef siciliano che nel 2012 disse no al pizzo. Ho sempre creduto che la criminalit organizzata una montagna di m****. Se sono felice? S, ma alle volte penso che prima o poi mi verr presentato il conto. Definitivamente. Non smetto di denunciare

Oggi finisce la vecchia mafia. Complimenti allo stato, onore a tutti i Carabinieri, complimenti ai Ros, un plauso alla Procura di Palermo. Matteo Messina Denaro stato arrestato dai carabinieri del Ros.
Poche parole, concise, affidate a due post sul suo profilo Instagram, 110mila followers. Cos Natale Giunta, classe 1979, di Termini Imerese, nel palermitano, commenta la cattura di Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa Nostra latitante da trent’anni. E aggiunge: Ora la Sicilia, l’Italia pi libera. Io ho sempre creduto che la mafia una montagna di merda. Ogni sacrificio, ogni rinuncia, ogni paura, ogni scelta… Oggi ha ancora pi senso, la libert non ha prezzo.
Lui, chef di successo che, da sua stessa ammissione, ama cucinare per regalare emozioni, vivendo il proprio lavoro come la perenne creazione di opere d’arte, la mafia la conosce bene. Non mi sono mai piegato al pizzo. Ho sempre denunciato. E nel denunciare ho fatto condannare cinque persone — Antonino Ciresi, Maurizio Lucchese, Alfredo Calogero Attilio Perricone, Giuseppe Battaglia, Giovanni Rao — con pene, oggi estinte, che andavano da quasi cinque anni a otto anni e cinque mesi. Ho permesso allo Stato di confiscare beni per 30 milioni di euro. Quando, l’altro giorno, ho saputo dell’arresto di “quel signore”, non potevo che affidare la mia soddisfazione ai social perch certe notizie vanno condivise.

Quel signore Matteo Messina Denaro. la fine di un’epoca?

la fine della mafia stragista. Iddu stato l’ultimo dei sanguinari. Ma Cosa Nostra resta: ha solo cambiato identit.

Cio?

La mafia oggi moderna, giovane, raffinata, intelligente. Mette al centro il business, quello pi subdolo e sotto banco. Punta al controllo degli appalti, pubblici e privati, all’imposizione delle forniture, all’acquisizione delle quote societarie… La mafia oggi questo.

La gente ha paura. Venerd alla manifestazione di Giuseppe Cimarosa, il nipote del boss che si ribellato alla famiglia, Castelvetrano era vuota…

Facile parlare per chi non vive qui in Sicilia. Facile pensare di poter manifestare cos, contro una persona che per anni ha sempre controllato tutto e tutti. In che modo, lo sappiamo bene. Mi spiace che la gente si stupisca dinanzi a una piazza deserta. Mi addolora sapere che c’ chi ci mette in croce, accusandoci di omert e codardia. Ma essere siciliani in Sicilia, torno a dire, tutt’altro che semplice. Ci vuole coraggio per esporsi e denunciare.

Lei lo ha fatto…

S, e ne ho pagato il prezzo. Era il 2012: stavo finalmente assaporando il sapore del successo: ospitate in tv — a La Prova del Cuoco su Rai Uno—, due ristoranti, una societ di catering, due street food, uno shopping online. Doveva essere l’anno della consacrazione, andava tutto per il meglio. Invece quel 2012 fu orribile. Il 3 marzo si present da me un tal Franco, mi disse che avrei ricevuto la visita di due persone. Arrivarono di l a qualche ora. Erano un giovane, spavaldo, e uno anzianotto, con tanto di coppola sulla testa. Conoscevano ogni cosa di me. Mi dissero che, dal carcere, “certi” detenuti mi guardavano. Sapevano che mi ero fatto da solo, senza chiedere u permesso, quello “giusto”. E che, per questo, avrei dovuto versare una cifra mensile. “Sa, Giunta — dissero — le famiglie dei carcerati hanno bisogno di essere sostentate. Ci pensi e cos avr l’opportunit di “mettersi a posto”. Ci dia retta: siamo qui per proteggerla da persone malintenzionate”. A quel punto realizzai di avere dinanzi due mafiosi: mi stavano chiedendo il pizzo. Mi opposi. Replicarono: “Ci vediamo prima di Pasqua, per allora avr cambiato idea”. Il pi anziano si rimise la coppola sulla testa — se l’era tolta in segno di rispetto, gli uomini d’onore fanno cos —, poi entrambi si voltarono e se ne andarono.

La sua reazione?

Vengo da una famiglia di persone oneste che mi hanno cresciuto con l’amore per la giustizia. Ho denunciato. Il giorno in cui andai alla Polizia lo ricordo come fosse oggi. Raccontai tutto, certo che quella scelta avrebbe avuto ripercussioni: la mafia non fa sconti. Al comando mi dissero di non confidarmi con nessuno. Bisognava mantenere riserbo assoluto. Questione di sicurezza: mia e delle persone intorno a me. Nel tempo mi lasciai andare solo con Francesca, una delle mie sorelle, la depositaria di tante confidenze. Mi abbracci granitica. Da giornalista di cronaca nera, quella pesante, non si scompose. O comunque non lo diede a vedere. Fu il principio della mia nuova vita, fatta di paure, notti insonni, sospetti, pensieri. Su tutto una certezza: stavo facendo la cosa giusta.

Cosa successe, poi?

Finii sotto scorta perch in concreto pericolo di vita. Non avevo sfidato un picciotto, ma un “capo mandamento” di Cosa Nostra, il punto di riferimento di interi gruppi di famiglie che controllano parte del territorio. Il che ha determinato un calvario con tanto di indagini, arresti, intimidazioni, interrogatori a ripetizione. Ho fatto inchiodare malavitosi e permesso di confiscare beni per milioni di euro. L’ho pagata cara: nel tempo mi hanno bruciato un camion, distrutto un ristorante, recapitato buste con proiettili, ucciso il cane con una barbarie rara….

Abbastanza per ripensarci, no?

Mai, neppure quando, accusato di essermi schierato dalla parte degli sbirri, fui abbandonato dai miei collaboratori pi stretti. Rimasi malissimo. Stava andando tutto a rotoli. Niente personale, locali vuoti, nessun evento. Ne facevo cento all’anno. Sono arrivato a uno. Anni di sacrifici e duro lavoro andati in fumo, nella mia Sicilia. E tutto per essere stato onesto, la mia unica “colpa”.

Da solo nella terra di Cosa Nostra. Ci vuole fegato…

Esporsi cos tanto non da tutti. Ne sono consapevole: bisogna essere molto fermi e avere carattere. Io amo la mia Sicilia, ci lavoro. Continuo a fare la spesa l dove la scorta mi proibiva di andare. Ho ripreso le mie abitudini, forte del rispetto della gente. E aiuto aspiranti cuochi a realizzare i loro sogni proprio qui, nella terra dei boss. La sfida questa.

Chef Giunta, lei oggi ha paura?

Intorno a me ci sono persone che non dimenticano di essere state condannate a causa mia. Mi chiaro. Per lavoro rientro spesso a notte fonda. Quei 500 metri che separano il garage da casa sono un’incognita. Quando sento un’auto o una moto sfrecciarmi accanto, il pensiero vola: “Ci siamo, questa volta tocca a me”, mi dico. E rivedo la mia storia come tanti frame di un unico film. Poi tutto passa e tiro un sospiro di sollievo. Alla fine quel che resta non paura, non mi appartiene, quanto piuttosto un lucido senso di responsabilit. Non avrei mai voluto avere a che fare con la mafia. Mi ci sono trovato e, per dirla alla Borsellino, ci sono rimasto. Sa, la gente di mafia muore. Prendere posizione era ed un dovere morale.

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