Chef’s Table, Franco Pepe e Gabriele Bonci, protagonisti della nuova serie Netflix dedicata all’arte della pizza

l’intervista

di Benny Mirko Procopio

Appuntamento il 7 settembre con la docu-serie Chef’s Table e la nuova stagione dedicata all’arte della pizza. Non poteva mancare l’Italia, rappresentata da Franco Pepe e Gabriele Bonci

«La pizza non è solo salsa di pomodoro e formaggio fuso. La pizza è un’arte. La pizza è importante». Queste le parole che accompagnano il trailer di «Chef’s Table: Pizza», la docu-serie di Netflix che racconta il cibo e i migliori chef del mondo. La nuova stagione, in arrivo il 7 settembre, sarà dedicata interamente all’arte della pizza e non poteva quindi mancare l’Italia. Due delle sei puntate vedranno infatti protagonisti due mastri pizzaioli italiani: Franco Pepe e Gabriele Bonci.

Franco Pepe, con il suo «Pepe in Grani», ha fatto conoscere al mondo il piccolo borgo casertano di Caiazzo. La sua Margherita sbagliata è leggendaria e le sue pizze, in generale, sono considerate fra le migliori al mondo. Discendente da una famiglia di panificatori e pizzaioli, da anni colleziona riconoscimenti, come il premio miglior pizzaiolo del mondo ai Best Chef Awards 2021.

Gabriele Bonci, classe 1977, è il panettiere e pizzaiolo che ha innovato la pizza al taglio romana. La sua, infatti, diversamente dalla tradizionale bassa e croccante, è alta e leggera. Partito da un piccolo locale di 24 metri quadri, è arrivato ad aprire filiali fino a Chicago e Miami. Anche lui continua a riscuotere premi come le «tre rotelle», il massimo riconoscimento della guida Pizzerie d’Italia 2022 del Gambero Rosso.

Come spiegare la pizza

I due si sono guadagnati l’onore (ma anche l’onere) di raccontare la loro arte a un pubblico globale come quello di Netflix. Un compito non facile, visto che la piattaforma si rivolge anche a quella parte di mondo che non ha la nostra stessa cultura del cibo. Quindi, come si spiega la pizza al mondo? C’è solo un modo per spiegare la pizza al mondo: bisogna incuriosire le persone», spiega Gabriele Bonci. «Il primo alimento consumato dall’uomo, migliaia di anni fa, è stato l’hummus. Il secondo è stato la pizza. Stiamo parlando di qualcosa di importante e questo già attira la gente. La curiosità è il cibo più buono del mondo».
Incuriosire, a volte, significa anche trasmettere un messaggio, una visione, come quella di Franco Pepe: «Bisogna fare attenzione quando si parla di pizza. Io in questi anni mi sono impegnato per farla riconoscere non solo come cibo buono, ma come un alimento sano. Con l’aiuto della biologa nutrizionista Michelina Petrazzuoli, abbiamo donato un approccio scientifico alla pizza, creando il menu funzionale, che la trasforma in un alimento equilibrato, in linea con le percentuali e i valori nutritivi suggeriti dalla Dieta Mediterranea». Visioni e percorsi che ritroviamo proprio nella serie, descritta da Pepe come una grande produzione: «Siamo stati in contatto per tre anni, sporadicamente venivano anche a Caiazzo, ma quando è arrivato il Covid ho avuto paura che tutto potesse sfumare. Poi, invece, mi hanno detto: ‘Netflix vuole investire su di te’. Sono quindi arrivate 22 persone da Los Angeles, un’organizzazione mostruosa, in contatto continuo con la California. Abbiamo registrato per circa un mese, poi hanno dovuto sintetizzare il tutto in 50 minuti. Un lavoro per nulla semplice per loro, ma anche per me è stato difficile accettare tutti quei tagli (ride ndr.). Si tratta comunque della giusta sintesi di quello che è stato il mio percorso di vita, sia lavorativo che personale».

Oltre il presente

Un aspetto, quello del dualismo tra vita privata e carriera professionale, che ritroveremo come uno dei punti centrali della serie. Lo si evince anche dal trailer, dove vediamo i due mastri pizzaioli raccontare momenti di incertezza e difficoltà. «Ormai tutti sanno come faccio la pizza – spiega Bonci –, quindi ho preferito fare un’introduzione sulla mia prossima vita. Considerate questa puntata come un trailer di 40 minuti su quello che sarà il mio futuro. È il mio film, ma non sto recitando». E quando gli chiediamo se vedremo un Gabriele Bonci più umano e meno imprenditore/pizzaiolo, lui risponde: «Più umano, ma anche disumano. Questo dipende dalle interpretazioni. Nella puntata io parlo del mio lavoro, dell’agricoltura, del mio credo, di come vivo. Mostro persona e personaggio: la prima esiste, il secondo si crea». Lato umano che emerge anche nel racconto di Pepe: «Netflix ha puntato molto sulla narrazione delle difficoltà che ho incontrato, dal punto di vista personale, per raggiungere il mio obiettivo. Perché spesso si celebrano i progetti vincenti, ma non si considera il percorso fatto per arrivarci. Chef’s Table sarà d’insegnamento a quei ragazzi che vogliono creare qualcosa: senza sacrificio, senza rinunce, non si arriva da nessuna parte. Le idee, da sole, non bastano. Io ho abbandonato l’attività di famiglia per arrivare dove sono ora».

La svolta

Bonci e Pepe, pur avendo avuto due carriere abbastanza diverse, sono accomunati da un incontro che gli ha cambiato la vita. Per Bonci, la svolta è stata la visita di Anthony Bourdain (compianto cuoco, gastronomo e personaggio televisivo statunitense) al suo primo Pizzarium di Prati: «Io e Tony abbiamo passato una splendida giornata insieme. Lui è rimasto sconvolto dalla mia pizza, posso dire proprio sconvolto. Eravamo in questo bugigattolo di locale, che all’epoca erano 24 metri quadri. Il suo primo morso io non me lo scorderò mai: tira fuori gli occhi, mi guarda e mi dice: ‘Tu sei un marziano’. E questa è stata la sua benedizione. Io lo ricordo sempre, sempre, sempre». Franco Pepe, invece, si è ritrovato nella sua «Pepe in Grani» Jonathan Gold, il primo critico gastronomico ad aver mai vinto un premio Pulitzer. «Un giorno mi sono ritrovato in pizzeria questo omone, che mangiava e prendeva appunti su un block notes. Si è fermato per tre giorni, ma io non sapevo chi fosse. Poi mi arriva una telefonata: ‘Guarda che stai ospitando un premio Pulitzer, è venuto apposta da Los Angeles per assaggiare la tua pizza’. Io in quel momento non avevo neppure la capacità di capire chi fosse Jonathan Gold, sono quelle cose che arrivano senza che tu le cerchi. Trenta giorni dopo mi scrive per chiedermi delle foto. Si tratta delle immagini che ha utilizzato per scrivere l’articolo su Food and Wine: ‘Probabilmente da Franco Pepe ho mangiato la miglior pizza del mondo’. Qualche anno dopo, a un evento a Los Angeles, ho avuto la fortuna di fargli assaggiare nuovamente la mia pizza. Quando gli chiesero com’era rispose: ‘Sa di Caiazzo’. Quelle parole le porto ancora nel cuore».

La pizza è popolare?

Dopo quegli incontri Bonci e Pepe hanno intrapreso un percorso di innovazione, che li ha portati a modificare diversi aspetti del loro campo di appartenenza. Ma al netto di tutti i cambiamenti, e viste le ricorrenti polemiche sui prezzi, la pizza è ancora un cibo popolare? «La pizza è popolare quanto oggi è popolare una busta paga, o il costo della corrente. Diventa popolare quando dietro c’è qualcosa che non va», spiega Bonci. «Quando i ragazzi vengono sfruttati, pagati in nero, quando non si fanno scontrini, lì diventa popolare, altrimenti, se si rispettano le regole, non può esserlo. Le cose buone sono fatte di cose buone, questa è l’etica del cibo. Oggi si pensa solo al consumatore, ma è il momento di considerare i produttori, perché fare impresa costa. Dare dignità al lavoro costa». Franco Pepe racconta: «Io lavoro ogni giorno affinché la pizza non perda la propria identità. Ma questo non vuol dire che non debba esserci un’evoluzione. Fatemi il piacere solamente di non chiamarla pizza gourmet. Nella mia pizzeria possono entrare tutti, dai più ‘abbienti’ fino a chi ha 5 euro in tasca. A inizio serata i miei stagisti propongono a due euro delle pizze a libretto con olio, pomodoro, origano e aglio. Così facendo la pizza rimane popolare. Poi puoi scegliere se mangiare una pizza classica (media coperto 28 euro) o andare in sala degustazione (media coperto 40-50 euro) fino all’Authentica, che arriva fino a 120 euro. Questa è l’evoluzione».

Come stare dietro ai costi

Ma nel periodo più incerto della storia recente, con l’inflazione, la crisi energetica e la pandemia, come si fa a produrre un bene che mira a essere l’eccellenza?
La ricetta di Bonci è semplice: «Osservare, credere nell’avanguardia e cambiare le regole. Se la regola è mettere la ‘monnezza’ sulla pizza, in modo da abbassare i prezzi, io li alzo, ti consiglio di mangiarne di meno e ti faccio assaggiare un prodotto di qualità. Una margherita, al «Pizzarium», va a 16 euro al kg. Però, se mangi quella col prosciutto, la paghi 35 euro al kg. Il motivo? Per avere un buon prosciutto il maiale deve vivere due anni. Noi facciamo sacrifici, non massacri. Il prodotto deve poi stagionare altri due anni. Per finire sulla tua pizza quel prosciutto ci ha impiegato quattro anni. Bisogna conoscere quel che si mangia». «A parte quella economica, c’è una crisi che riguarda il modo di lavorare», rivela Pepe. «Per creare utile, l’azienda deve investire sulle competenze. Oggi è sempre più difficile reperire risorse formate. Non è possibile che la scuola alberghiera non preveda dei percorsi di pizzeria e panificazione, bisogna offrire degli indirizzi di base. Così da permettere alle aziende di attingervi e continuare a innovare, creare lavoro, portare avanti le eccellenze». Ora non vi resta che guardarli il 7 settembre su Netflix.

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, 2022-09-06 05:37:00, Appuntamento il 7 settembre con la docu-serie Chef’s Table e la nuova stagione dedicata all’arte della pizza. Non poteva mancare l’Italia, rappresentata da Franco Pepe e Gabriele Bonci, Benny Mirko Procopio

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