Chi si prende cura di me? Tra Scritture e Battiato: il respiro che ci muove

di Alessandro D’Avenia

il Soffio Curatore che ci rende unici. Successo, soldi e potere hanno fiato corto, sta a me scegliere se divorare o covare. Una riflessione guidata sull’idea di Cura

Quando Franco Battiato canta La cura, legittimamente interpretata dai pi come canzone indirizzata a qualcuno, si rivolge innanzitutto alla propria anima, da anemos, vento, il soffio che rende viventi tutti gli esseri animati, ma che in noi uomini qualcosa di pi. A noi non basta essere viventi, noi vogliamo essere vivi. Se i viventi hanno il fiato, noi abbiamo il respiro, che quel di pi: in italiano lo spirito o spiro, da cui vengono parole come respiro, ispirazione, spirare… che racchiudono il senso della vita animata e non solo animale. Ma mentre negli animali accade, noi possiamo aumentare questo soffio, tanto da riuscire, come dice il cantautore siciliano, a non soccombere a: paure, turbamenti, ingiustizie, inganni, fallimenti, dolori, sbalzi d’umore, ossessioni, malattie.

Ma qual il segreto di questa cura di s? Che cosa ci guarisce veramente dalla paura del nulla, dal vuoto di senso che cerchiamo di riempire senza riuscirci? Come promettere all’anima: amore che vince l’aridit, spazio e luce per non invecchiare? Siamo nel campo dell’utopia e della retorica del per sempre quando siamo solo a tempo? Si pu davvero affermare: Ti salver / perch sei un essere speciale / e io avr cura di te. / Io s, che avr cura di te? Chi pu dirmi senza mentire che sono speciale, cio una specie unica per cui lotter affinch io non mi estingua? Chi mi ama cos tanto che potr scrivere ci che ha voluto si scolpisse sulla sua lapide Raymond Carver, meraviglioso scrittore americano morto di tumore a 50 anni: E hai ottenuto quel che / volevi da questa vita, nonostante tutto? / S. / E cos’ che volevi? / Potermi dire amato, sentirmi / amato sulla terra. Chi pu farmi sentire e dire Amato sulla Terra, quasi fosse il mio vero nome? Pu riuscirci un uomo o una donna? Posso riuscirci io? O ci vuole un’altra Cura?

Non moralismo

La Cura l’origine dell’umano nell’uomo. Lo racconta un mito creato da Platone. Quando il dio Chronos (Tempo) che pro-curava tutto ai viventi dovette ritirarsi dalla vicenda umana a causa dell’inversione del corso del cosmo, gli uomini furono lasciati a se stessi e dovettero prendersi cura di s da se stessi. Quando viene affidato a ciascuno (non siamo pi del Tempo ma abbiamo del tempo) il tempo umano prende il nome di cura. Nella narrazione cristiana addirittura l’Eterno si fa Tempo (carne) e si affida alle cure di una madre, di un padre e di un villaggio: anche Dio se entra nella storia umana ha bisogno di cura, e poi diventer lui stesso uno che cura. Essere di e a tempo significa essere per la cura. Non un moralismo ma il modo umano di diventare vivi: noi non ci prendiamo cura degli altri perch li amiamo, bens impariamo ad amarli se ci prendiamo cura di loro. Io non amo in partenza i miei studenti, ma me ne prendo cura, e cos imparo ad amarli e li amer nella misura in cui dedicher tempo (cura) a ciascuno e a tutti. L’amore allora non qualcosa di spontaneo o naturale, un sostantivo, ma un impegno per rendere la vita dell’altro pi compiuta, un verbo. E non lo faccio per filantropia, ma perch mi conviene: chi cura si cura, che come dire chi d tempo riceve tempo. Non un caso che il tatto, senso della cura, sia l’unico il cui mezzo il senso stesso: la vista vuole la luce, il suono lo spazio, il tatto ha bisogno del… tatto. Io toccando sono toccato, curando sono curato. Avere tatto (cura) per la carne del mondo, d origine all’amore di cui abbiamo bisogno per poterci dire Ama(n)ti sulla Terra. E la cura il dono del tempo limitato che ho, io sono tempo fatto carne: curare dare la carne, tras-curare toglierla.

Per questo il recente cruentissimo film di Luca Guadagnino Bones and All (espressione che significa fino all’osso), narra di due ragazzi cannibali che sembrano riuscire a non divorarsi a vicenda, grazie al prendersi cura l’uno dell’altro. Niente di nuovo: gi il conte Ugolino dantesco azzannava nell’aldil la testa del suo nemico Ruggeri (il fiero pasto di scolastica memoria) dopo aver divorato, nell’al di qua (spiritualmente o anche fisicamente?), i figli rinchiusi in una torre per colpa sua. L’inferno pi profondo fatto di uomini che mangiano altri uomini e il Satana di Dante ha tre bocche con cui divora costantemente tre dannati. Noi, tempo finito che attraverso la cura diventa amore, spesso preferiamo pro-curarci il tempo togliendolo agli altri, mangiandoli: usandoli, manipolandoli, distruggendoli, crediamo di assimilare, come con il cibo, il tempo che ci manca. Per la fame di tempo ci sono due possibilit: la cura, sfamare, o il potere, sfamarsi e affamare. Per il potere d solo l’illusione di aumentare il tempo, perch tempo e potere appartengono a piani di realt che non si toccano: il potere fa sentire di avere presa sulla vita ma in realt non le aggiunge un secondo.

Evoluti ma cannibali

Sullo stesso piano del tempo – il mito platonico e il racconto evangelico lo mostrano – c’ invece la cura che, diventando amore, rende il tempo talmente pieno di senso che non si teme pi di non averne abbastanza. Quando mi prendo cura della mia amata io sento di trasformarmi: il tempo suo e mio aumenta e non mi pu essere pi tolto, anche se apparentemente mi sembra di averlo perso. il paradosso evangelico: Chi d la sua vita la trova, chi la trattiene la perde. Ma dove trarr le energie per curare senza sfinirmi? E poi chi si prende cura di me senza stancarsi? Non la Natura, ignara di me, ma il Dio a cui abbiamo rinunciato, finendo con il divorarci in proporzioni mai viste nell’ultimo secolo: noi, i pi evoluti e progrediti, siamo diventati anche i cannibali peggiori nella storia. Dostoevskij lo aveva detto: senza Dio tutto possibile, perch senza essere curati non si sa come sfamarsi. Abbiamo rinunciato al Soffio che Cura ogni cosa. All’inizio di Genesi, prima che cominci la creazione, si dice che lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque, e il verbo significa letteralmente covare, e le acque, non ancora create, sono un modo di dire caos. Questo Respiro cova ogni cosa, se ne prende cura perch diventi se stessa.

solo una favola consolatoria o c’ qualcosa di vero? Bisogna farne esperienza, questa per me l’unica via, anche perch tutte le altre, dettate dalla fame, non funzionano: successo, soldi, potere hanno sempre respiro corto e portano con s affanno. O troviamo ogni giorno il tempo per lasciarci covare (curare), cio per ricevere questo Soffio infinito, o saremo i morti viventi che non a caso popolano film, serie, videogiochi e romanzi. Senza cura la vita non ha senso, perch moriamo di fame (di tempo) e sopravvive solo il pi forte, cio chi mangia di pi. Ma io non sopravvivo divorando gli altri, ma perch c’ un Soffio Curatore che mi ha voluto speciale: unico e irripetibile. E altrettanto unica e irripetibile voglio che sia la mia risposta, voglio sorprendere persino Dio, come un giardiniere si sorprende del fiore che sboccia anche se lui stesso ad averlo piantato. Ognuno di noi chiamato a creare, con e per gli altri, ci che solo lui pu essere e fare, come mi diceva qualche giorno fa un’amica che si prendeva cura del suo bambino di dieci giorni, vincendo le leggi del tempo: Ora c’ e ci sar per sempre.

Il caos diventa Giardino

Solo l’imprevedibile collaborazione con il Soffio (viene da dire che la vita una co-spirazione per fare altra vita, la co-munit nasce da questo, vuol dire infatti dono, munus, comune), cio nella Cura, d respiro al mondo. Io, cos limitato, desidero respirare il Respiro che cova il caos e lo rende vita, perch Amore-Cura che trasforma me in Cura-Amore. Attraverso di me, di noi, uniti in questo respiro, un pezzettino di caos (una classe, il bianco di una pagina, la paura della mia amata, il dolore di un amico) pu diventare Giardino e il tempo moltiplicarsi come i semi nel frutto: in ogni ghianda c’ un bosco intero. Solo cos mi sento Amato sulla Terra e Amante della Terra. E anche se, come nella canzone di Battisti, l’universo trova spazio dentro me per il coraggio di vivere quello ancora non c’. Questo coraggio non una magia, ma la Cura: una libera scelta di come vivere perch il mondo possa venire al mondo. Questo coraggio quello di una donna in Furore, il capolavoro di Steinbeck: Rose of Sharon. Il suo nome un nome parlante che viene dal mondo biblico: un fiore che cresce nel deserto, il nome dell’Amata del Cantico dei Cantici, immagine dell’anima amata da Dio e che lo ama. Rose che, nella grande depressione americana degli Anni ‘30, ha da poco partorito tra mille difficolt, pur di salvare uno sconosciuto che sta morendo di fame, decide di fargli bere il latte dal suo seno. La cura fa fiorire il deserto e crea un mondo inatteso, sorprendente, vivo, bello. O si divora o si cura: a ognuno di noi chiesto di scegliere da che parte stare, non ci sono vie di mezzo per respirare e far respirare questo mondo. E per poter dire, alla fine: nulla andato sprecato, tutto il tempo che avevo si trasformato in amore.

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10 gennaio 2023 (modifica il 10 gennaio 2023 | 00:03)

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