Cosa cè dietro le critiche a Chiara Ferragni: il successo (femminile) come colpa e la forza di essere unapologetic

Chiara Ferragni a Sanremo fa discutere. Era inevitabile: l’imprenditrice digitale, al debutto in veste di co-conduttrice del Festival, suscita sempre reazioni polarizzate: molti la amano, altrettanti sembrano odiarla. Questa volta, poi, c’ di mezzo Sanremo e l’Ariston, si sa, ingigantisce le proporzioni di ogni cosa, dai passi falsi (veri o presunti) ai messaggi lanciati dal palco. E allora, per capire cosa c’ dietro (molte delle) critiche mosse a Ferragni, iniziamo da qui, cio dai messaggi che ha scelto di portare a Sanremo. Con il corpo — ovvero con gli abiti — e con le parole.

I look e gli abiti-manifesto

Le sue scelte in fatto di vestiario non potevano che essere studiatissime: essendo Ferragni un’influencer di moda, oltre che un’imprenditrice, da lei tutti si aspettavano molto. Per mettere a punto i suoi look sanremesi, si affidata a una delle designer pi talentuose e rispettate — oltre che pi apertamente femministe — al mondo: Maria Grazia Chiuri di Dior. Abbiamo subito capito di non volere vestiti solo perch eccentrici o pretenziosamente belli, ha spiegato Ferragni su Instagram. Sentivamo la necessit di portare sul palco pi popolare d’Italia un messaggio sociale. Il risultato una sequenza di abiti manifesto, fatti non tanto per lasciare tutti a bocca aperta ma per lanciare dei messaggi: un’elegante stola bianca invita chi legge a pensarsi libera (una citazione del duo di arte concettuale femminista Claire Fontaine), un vestito riproduce il corpo di Ferragni e ne rivendica la riappropriazione, una gonna-gabbia evoca gli stereotipi di genere da cui evadere, un tubino bianco decorato con gli insulti degli hater li riflette verso l’esterno, depotenziandoli e denunciandoli allo stesso tempo.

Le parole ed i gesti

Oltre agli abiti, per, ci sono i gesti. E le parole. Su Instagram, nel post (subito virale) dedicato al suo primo look della serata, Ferragni ha parlato della sua lotta per non essere incasellata in uno spazio identificato per lei dal patriarcato, rispolverando termini — lotta, ma soprattutto patriarcato — che a molti sembrano desueti, superati, polverosi. E invece (sorpresa!) con Ferragni tornano, e non per la prima volta, sulla bocca di tutti. Poi, sul palco, Ferragni ha portato con s le operatrici dei centri antiviolenza della rete D.I.Re. Ha usato una sua occasione di visibilit — una volta forse l’avremmo chiamata “spazio di parola” — per far parlare chi, ogni giorno, sta accanto alle vittime della violenza di genere e le aiuta a riappropriarsi delle loro vite. A loro ha devoluto anche il suo cachet, spiegando: Ho sempre cercato di legare il mio percorso a diverse cause e quella dell’emancipazione della donna mi sempre stato a cuore.

Il monologo

Parole e fatti, dunque. E poi c’ il monologo, anzi: la lettera. Ferragni si rivolta alla s stessa bambina e le ha dato dei consigli da donna adulta, da professionista, da madre. Ha parlato di fiducia in s stessa, della fatica di essere donne in un mondo ancora dominato dagli uomini, della maternit, del lavoro. Non c’ nulla di casuale ed inevitabile che sia cos: parliamo di una professionista che lavora (anche) con la sua immagine ed , evidentemente, molto brava a muoversi lungo la faglia del pop.

Le critiche

Tutto questo — e molto di pi — stato dissezionato in diretta da milioni di persone. E poi ulteriormente passato al setaccio nel day after del Festival. Spietatamente, talvolta morbosamente. Succede a chiunque calchi il palco dell’Ariston, vero, ma alle donne, da sempre, un po’ di pi. Soprattutto se sono, come lei, cos esplicite nel fare, dire ed essere, con orgoglio, esattamente ci che vogliono. E qui sta il punto. L’espressione pi adatta per descrivere Ferragni a Sanremo va presa in prestito dalla lingua inglese: unapologetic. Traduzione letterale: impenitente. Perch Ferragni non era per nulla dispiaciuta di essere l, su quel palco, con quegli abiti, con in bocca quelle parole. Era emozionata, certo. Ma era, prima di tutto, contenta. Fiera.

Ora pullulano i giudizi, professionali o meno, su ci che Ferragni ha detto, fatto, indossato. Chi la critica lo fa principalmente per il nude look “troppo rilvelatore”, accusato di “mercificare” ancora una volta il corpo femminile; oppure per la scelta “di convenienza” di associarsi a una causa — l’emancipazione femminile — che alcuni giudicano ormai “di moda”. L’influencer pi seguita e denigrata di sempre — una combinazione scomoda da portare addosso — ha avuto il coraggio di essere divisiva e l’ha fatto, con tutta evidenza, consapevolmente. Ha usato tutti gli strumenti che aveva a disposizione — la moda, la fama, i social — per dire precisamente ci che voleva. Sapeva benissimo, in partenza, che le critiche sarebbero arrivate. Lo ha detto anche nel monologo, rivolgendosi alla bambina che stata: Sai, non piaccio proprio a tutti. Ma piacere a tutti, in fondo, sarebbe stato impossibile. Persino per lei, anzi: soprattutto per lei. Per riuscirci, Ferragni avrebbe dovuto accontentare tante aspettative diverse in contemporanea. Avrebbe dovuto essere seria, ma senza prendersi troppo sul serio; parlare di s senza dare l’idea di essere troppo orgogliosa di chi ; spendere la propria visibilit per una causa importante, senza per essere mai visibile. Avrebbe dovuto essere tutto e il contrario di tutto, senza mai guadagnarci niente — neanche una lode — perch non disinteressata, lo fa per il suo brand.

La sfida impossibile

Prendiamo, ad esempio, il monologo. C’ chi lo ha criticato perch troppo ombelicale. Ma del tutto evidente che se Ferragni avesse parlato non di s stessa, ma di qualcosa d’altro, sarebbe stata subissata da critiche, perch non ha le competenze per dire la sua su questo tema. Quando ha dichiarato, con semplicit, di aver scritto da sola il testo della lettera, c’ chi ha alzato un sopracciglio (compreso chi per mestiere scrive i monologhi altrui, e non sorprende). Ma lei lo aveva detto chiaramente, fin dalla prima conferenza stampa: non sono un’attrice, non sono una conduttrice, sul palco porter me stessa. Cio una donna che si letteralmente costruita una professione su misura, che prima neanche esisteva, tenendosi sempre al passo coi tempi, cavalcando prima i blog, poi i social, infine la (scivolosissima) terra di mezzo di chi famoso offline quanto online. Non era facile, soprattutto se consideriamo quanto sia chiuso e ostile il business della moda. Per lei ce l’ha fatta. Non da sola — e lo dice, anzi: va fiera del suo team di lavoro — ma neanche “grazie a qualcuno” (come ha ribadito nella sua lettera a s stessa). Ha saputo scegliere le persone giuste con cui lavorare e ha creato il suo successo un pezzetto alla volta; ora ne coglie i frutti, e ne va fiera. E tutto questo, a molte persone, non va gi. Dietro tante critiche — non tutte, certo — c’ un sottotesto indicibile, ma evidente a chiunque abbia la pazienza di grattare un po’ la superficie: il fastidio che, ancora oggi, suscita una donna di successo. Imperfetta, certo. Ma soddisfatta del punto a cui arrivata. Esplicitamente e visibilmente unapologetic.

Il successo come colpa

Eppure il successo che viene rinfacciato a Ferragni non e non dovrebbe essere una colpa, ma un merito. Perch ci costa cos tanto riconoscerle ci che le spetta di diritto? Perch il fastidio per il suo successo avvelena cos tanti dei giudizi che la riguardano? La risposta sta nello sguardo asimmetrico che, ancora oggi, riserviamo alle donne. Nelle aspettative (irrealistiche) di perfezione con cui chiediamo loro di confrontarsi. Le stesse che denuncia Ferragni, su Instagram, quando parla delle sua lotta per non doversi sentire in colpa del suo successo. Vale per lei, sul palco pi popolare d’Italia, ma in realt vale per tutte noi, su tutti i palchi della nostra vita.

8 febbraio 2023 (modifica il 8 febbraio 2023 | 19:43)

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