Chiudere le facoltà umanistiche, la provocazione: “Quanti laureati occuperanno una cattedra a scuola senza formazione né voglia?”


Su Invece Concita de La Repubblica, arriva uno sfogo di una docente universitaria che riflette sulle condizioni dei laureati nelle discipline umanistiche.
Perché mandare al macello migliaia di giovani senza la prospettiva di una professione adeguata al loro percorso e non chiudere definitivamente le porte a saperi dei quali l’Italia, evidentemente, non sa che farsene?“, si chiede la professoressa di lingua tedesca all’Università di Trento.
Quanti laureati in Lettere, Beni culturali, Filosofia, Sociologia, Psicologia e anche Giurisprudenza ed Economia sono destinati a lavorare nel campo per cui hanno studiato? Quanti, per farlo, dovranno emigrare? Quanti faranno i rider, i commessi, gli assistenti senza borsa, le/i segretarie del professionista, quanti lavoreranno alle poste o occuperanno una cattedra nella scuola, senza formazione né voglia? E allora chiudiamole, queste fabbriche delle illusioni che sono le nostre facoltà, che formano sì persone competenti, ma disoccupate, sotto occupate o emigranti questuanti come furono i nostri nonni negli anni Cinquanta“, dice l’insegnante.
E ancora: “Basta con le prediche sull’importanza delle competenze trasversali che formano cittadine e cittadini civili ed educati, colti, lucidi, dotti perfino: fuori dall’università i figli dei ricchi hanno un futuro e gli altri hanno solo le competenze. Dichiariamo, una volta per tutte, la sconfitta totale dello Stato per quanto riguarda i e le giovani laureate con il loro corredo di master, tirocini, praticantati di grande prestigio (perché l’Italia solo quello può offrire, tirocini e stage, parola che i datori di lavoro nemmeno danno pronunciare)
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Pietro Guerra

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