Come sarà il mondo post globalizzazione? Ecco perché l’Italia non è ancora attrezzata

Scenari

di Alessandro Bergonzi25 ott 2022

La pandemia di Covid-19 si è rivelata un catalizzatore dell’inceppamento di un’economia globale già insicura, ulteriore elemento di divario sociale tra ricchi e poveri, tra vecchie e nuove generazioni. L’emergenza sanitaria è comparsa all’improvviso, da tempo, però, siamo alle prese con i cambiamenti climatici caratterizzati da eventi sempre più estremi. Infine, dopo la guerra in Ucraina la crisi geopolitica che ha scoperto il fianco debole di un’Europa in difficoltà, in bilico tra dipendenza energetica e ambiziosi obiettivi «green». È questo il contesto in cui si inserisce il report «Il mondo post globale», presentato il 25 ottobre a Milano e frutto della collaborazione fra il Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi e Intesa Sanpaolo che prosegue l’esperienza venticinquennale del Rapporto sull’economia globale e l’Italia.

La crisi della globalizzazione

L’economista Mario Deaglio

Quattro le grandi tematiche che vengono affrontate nel rapporto, curato dall’economista Mario Deaglio, professore emerito di Economia Internazionale dell’Università di Torino : la fragilità del sistema economico globale di fronte ai problemi delle catene globali del valore emersi con la pandemia e l’ampliamento dei divari tra classi diverse di popolazione; la grave crisi ambientale connessa con l’uso delle risorse energetiche; una accelerazione della tendenza a lavorare da remoto con importanti riflessi sul mercato immobiliare (uffici e residenziale) e l’ordine geopolitico del pianeta con possibili riflessi sulla globalizzazione e la struttura delle catene globali del valore. «Più tensioni e conflitti quindi, e meno commerci, quasi certamente minore sviluppo, – si spiega nel report – con le relazioni economiche che da globali paiono restringersi in ambiti più angusti, regionali nei migliori dei casi e con crescenti tentazioni autarchiche». Un fattore decisivo secondo gli analisti è legato al rapporto tra Russia e Cina che se si dovessero realmente unire, rischierebbero di far scivolare il blocco dei Paesi occidentali « sotto il 50 per cento del PIL mondiale». Tutte crisi che influenzano «un’economia mondiale che sta perdendo rapidamente i suoi caratteri di globalità e riducendo altrettanto rapidamente le proprie capacità di crescita», rileva il rapporto.

Le condizioni dell’economia italiana

In tale quadro si inserisce un’analisi dettagliata dell’Italia: «Una economia che esprime ambiti d’eccellenza ma resta gravata – ad esempio – dalla presenza di troppe micro-imprese, perché i meccanismi regolatori le hanno incentivate a rimanere piccole: il 92 per cento dei dipendenti privati è occupato in aziende con meno di 50 milioni di fatturato», si legge nell’analisi. «L’Italia non è così fragile e debole come viene spesso dipinta, lo ha dimostrato nell’affrontare la pandemia». Questo il commento del presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, nel corso dell’evento. Guardando al futuro, prosegue Gros-Pietro, «si dice che la globalizzazione sia finta. Non è vero, ma cambierà, si creeranno delle aree regionali ad altissimo livello e la regione che interessa all’Italia è il Mediterraneo». E da questo punto di vista, il nostro Paese «ha grandi potenzialità – assicura il presidente di Intesa Sanpaolo – Si tratta di utilizzarle».

Tra le soluzioni anche l’introduzione del quoziente famigliare

Nel corso dell’evento, tenutosi nella Sala Convegni di Intesa Sanpaolo, in piazza Belgioioso a Milano, il Centro di Ricerca Luigi Einaudi ha presentato anche quattro proposte per fare fronte alle sfide contemporanee: una riforma fiscale che renda conveniente lavorare e investire; una revisione della disciplina fiscale sulle fusioni che incoraggi le piccole imprese a crescere; l’introduzione del quoziente famigliare nella tassazione diretta e l’introduzione sperimentale della settimana lavorativa di quattro giorni, integrata da attività di formazione a distanza.

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, 2022-10-25 17:12:00, Il report: «In Italia troppe micro-imprese, il 92 per cento dei dipendenti privati è occupato in aziende con meno di 50 milioni di fatturato», Alessandro Bergonzi

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