Compiti a casa, Parodi: un accanimento morboso, controproducente perché genera odio per lo studio

Di Maurizio Parodi* – Coloro i quali si siano scagliati addosso agli studenti colpevoli di aver protestato contro la “pedagogia della sofferenza” praticata, evidentemente, in moltissime scuole italiane, ed espressa, in particolare, dal carico di lavoro domestico, non hanno la ben che minima cognizione della quantità di compiti cui i presunti “fannulloni” sono costretti fin dai primi anni di scolarità.

Una mole spropositata che non ha eguali nelle scuole degli altri Paesi europei, che non permette alcun tipo di ricreazione (della

“forza lavoro”), che non risparmia nemmeno i più piccoli, dacché si è secondarizzata la scuola primaria.

Si danno compiti a casa persino ai bambini (6-11 anni) che frequentano le scuole a tempo pieno: dopo 8 ore di immobilità

forzata in aule più o meno confortevoli e sovraffollate, non è infrequente che si assegnino compiti tutti i giorni, nei week end e

durante le vacanze. Un accanimento morboso che rasenta la crudeltà mentale.

Non c’è da stupirsi se gli studenti italiani risultano tra i più “stressati e insofferenti”.

Servissero, almeno, i compiti, a garantire il conseguimento di competenze di eccellenza; macché: registriamo livelli di

analfabetismo funzionale, tra i diplomati italiani, indegni di un paese civile.

Una sofferenza, grave e inutile, anzi, controproducente giacché genera odio per lo studio, rigetto per il libro, disprezzo per la

“cultura”.

A proposito di compiti degli studenti e dei docenti, sarebbe interessante verificare quanto sia diffusa la compilazione della parte dei Registri elettronici, in uso, nella quale si deve quantificare l’impegno orario richiesto, a giudizio del docente, dallo

svolgimento dei compiti assegnati, precisando, in apposita casella, i minuti presumibilmente necessari.

Un’operazione di minimo buonsenso giacché permetterebbe a ogni docente di stimare il carico di lavoro complessivo al quale gli studenti sono chiamati quotidianamente, vedendo le indicazioni fornite dai colleghi, e regolandosi di conseguenza – dobbiamo escludere, per decenza professionale, che il “controllo” si possa risolvere in un più o meno altezzoso e sdegnato: “Perché dovrei ridurre proprio i miei?”.

Pare, da una prima ricognizione informale, che sia ben poco “frequentata”, probabilmente perché la somma totale dei “minuti” stimati potrebbe risultare abnorme, e superare le 4, 6, 8… ore di impegno quotidiano, vacanze, festività e week end compresi, già in prima “primaria”; a proposito di “cura”, “benessere”, “accoglienza”, cioè di tutte quelle condizioni che, secondo la più sfacciata retorica di maniera, sarebbero garantiti dalla didattica praticata nelle aule (in presenza).

*Già dirigente scolastico, svolge attività di ricerca e formazione in campo socio-pedagogico non ancora rassegnato

all’impermeabilità degli apparati educativi.

Ha pubblicato un centinaio di articoli sulle più importanti riviste italiane di pedagogia e didattica, e alcuni saggi, tra i quali:

«Basta compiti! Non è così che si impara», Sonda, 2012

«Gli adulti sono bambini andati a male», Sonda, 2012

«Non ho parole. Analfabetismo funzionale e analfabetismo pedagogico», Armando, 2018

«Così impari. Per una scuola senza compiti», Castelvecchi, 2018.

Ha creato i gruppi Facebook:

«Mens sana», «Art.31» e «Basta compiti!» (oltre 15 mila iscritti) che sostiene l’omonima petizione su change.org (più di 36 mila

firme).

, 2022-03-16 17:32:00, Di Maurizio Parodi* – Coloro i quali si siano scagliati addosso agli studenti colpevoli di aver protestato contro la “pedagogia della sofferenza” praticata, evidentemente, in moltissime scuole italiane, ed espressa, in particolare, dal carico di lavoro domestico, non hanno la ben che minima cognizione della quantità di compiti cui i presunti “fannulloni” sono costretti fin dai primi anni di scolarità.
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