Condono, fenomenologia dell’ex ministro Costa

l’intervento Mezzogiorno, 30 novembre 2022 – 08:44 di Marco Demarco Bisognerebbe scrivere un saggio intitolato «Fenomenologia dell’ex ministro Costa». Così, in attesa che qualcuno raccolga il suggerimento e, impavido, provi a misurarsi con ciò che Umberto Eco fece prendendo Mike Buongiorno a modello, qui si può solo offrire qualche spunto. Le fonti prese in esame sono le interviste raccolte da Simona Brandolini su questo giornale e da Adolfo Pappalardo sul Mattino. Martedì, dunque, l’ex ministro pentastellato dichiara che «quella norma non era un condono», perché «la parola condono era solo nel titolo». Si riferisce al decreto Genova per la ricostruzione del ponte Morandi, approvato nel 2018, in cui venne inserito l’ormai famoso articolo 25. Questo era appunto intitolato «definizione delle procedure di condono» e riguardava i tre comuni ischitani colpiti dal terremoto dell’anno prima: Casamicciola, Forio e Lacco Ameno. In sostanza, martedì Costa ribadisce una inquietante scissione tra parole e cose appena introdotta, nel dibattito sui fatti di Ischia, da Giuseppe Conte. Eppure, pur facendo parte del Consiglio dei ministri che approvò il decreto del 2018, Costa fa ora sapere che diede «un parere negativo». Prima questione. Perché si fa da parte? Se quello approvato non era un nuovo condono, ma solo un provvedimento per accelerare le pratiche relative ai condoni passati, perché, nel 2018, Costa dà un parere negativo? E cos’è un parere negativo su un decreto che non si «sostanzia» in un esplicito dissenso al momento del voto? Nulla, ovviamente. Seconda questione. Non era un nuovo condono, dice Costa. Ma questo lo dice martedì. Due giorni prima, invece, Costa dichiara altro. Domenica, a poche ore dalla frana di Casamicciola, Costa dice che quello era «il momento di salvare le vite e di piangere i morti, ma dopodomani, quando ci sarà un bilancio chiaro, il tema quale sarà?». Già, quale? Ecco come si risponde: «Io sostenevo che un condono da solo sarebbe stato inutile e dannoso…». Proprio così. Attenzione alle parole. Il sostantivo usato è condono. Allora, quello previsto nel decreto era o non era un condono? Gli aggettivi, invece, sono inutile e pericoloso. E come si può ritenere inutile ciò che può essere pericoloso? Ma torniamo ai fatti. Questi dicono che proprio grazie al decreto del 2018, poi diventato legge, sono state presentate mille domande di condono. Mille domande che riattivano vecchie pratiche e tra queste, a detta di molti, anche pratiche disinnescate dai condoni successivi a quello del 1985, il primo della serie, il più permissivo. E allora, si può dire di una legge simile; di una legge che riduce l’intolleranza per l’abusivismo e che complica le cose invece di semplificarle, che non è un condono e che è stata pensata per accelerare le procedure? «Queste domande – dice in aggiunta Costa – non sono per case abusive, ma per abusi sanabili come verande, aperture finestre e così via…». Così via? Dopo tutto quello che è successo? Infine, attenzione anche alle date. Domenica, Costa invita a fare i conti «dopodomani». Lo dice in senso metaforico, certo. Ma si dà il caso che il dopodomani di domenica sia martedì. E proprio martedì Costa si corregge e fa sapere che quello prima definito un condono pericoloso non era più né un condono né pericoloso. Nel frattempo, è successo semplicemente questo: che a difesa delle decisioni del 2018 è intervenuto Conte, ex presidente del Consiglio dei ministri in cui sedeva Costa e attuale leader del partito di Costa. Martedì, a differenza di domenica, non sono più ammessi distinguo. Scatta il ritorno all’ordine. La logica pentastellata trova pace. Ma è una logica di parte, anzi, di partito. Nulla a che vedere con quella stravagante e imprevedibile di Mike Buongiorno. Le cui gaffe, diceva Eco, nascevano sempre «da un atto di sincerità non mascherata». 30 novembre 2022 | 08:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-11-30 07:47:00, l’intervento Mezzogiorno, 30 novembre 2022 – 08:44 di Marco Demarco Bisognerebbe scrivere un saggio intitolato «Fenomenologia dell’ex ministro Costa». Così, in attesa che qualcuno raccolga il suggerimento e, impavido, provi a misurarsi con ciò che Umberto Eco fece prendendo Mike Buongiorno a modello, qui si può solo offrire qualche spunto. Le fonti prese in esame sono le interviste raccolte da Simona Brandolini su questo giornale e da Adolfo Pappalardo sul Mattino. Martedì, dunque, l’ex ministro pentastellato dichiara che «quella norma non era un condono», perché «la parola condono era solo nel titolo». Si riferisce al decreto Genova per la ricostruzione del ponte Morandi, approvato nel 2018, in cui venne inserito l’ormai famoso articolo 25. Questo era appunto intitolato «definizione delle procedure di condono» e riguardava i tre comuni ischitani colpiti dal terremoto dell’anno prima: Casamicciola, Forio e Lacco Ameno. In sostanza, martedì Costa ribadisce una inquietante scissione tra parole e cose appena introdotta, nel dibattito sui fatti di Ischia, da Giuseppe Conte. Eppure, pur facendo parte del Consiglio dei ministri che approvò il decreto del 2018, Costa fa ora sapere che diede «un parere negativo». Prima questione. Perché si fa da parte? Se quello approvato non era un nuovo condono, ma solo un provvedimento per accelerare le pratiche relative ai condoni passati, perché, nel 2018, Costa dà un parere negativo? E cos’è un parere negativo su un decreto che non si «sostanzia» in un esplicito dissenso al momento del voto? Nulla, ovviamente. Seconda questione. Non era un nuovo condono, dice Costa. Ma questo lo dice martedì. Due giorni prima, invece, Costa dichiara altro. Domenica, a poche ore dalla frana di Casamicciola, Costa dice che quello era «il momento di salvare le vite e di piangere i morti, ma dopodomani, quando ci sarà un bilancio chiaro, il tema quale sarà?». Già, quale? Ecco come si risponde: «Io sostenevo che un condono da solo sarebbe stato inutile e dannoso…». Proprio così. Attenzione alle parole. Il sostantivo usato è condono. Allora, quello previsto nel decreto era o non era un condono? Gli aggettivi, invece, sono inutile e pericoloso. E come si può ritenere inutile ciò che può essere pericoloso? Ma torniamo ai fatti. Questi dicono che proprio grazie al decreto del 2018, poi diventato legge, sono state presentate mille domande di condono. Mille domande che riattivano vecchie pratiche e tra queste, a detta di molti, anche pratiche disinnescate dai condoni successivi a quello del 1985, il primo della serie, il più permissivo. E allora, si può dire di una legge simile; di una legge che riduce l’intolleranza per l’abusivismo e che complica le cose invece di semplificarle, che non è un condono e che è stata pensata per accelerare le procedure? «Queste domande – dice in aggiunta Costa – non sono per case abusive, ma per abusi sanabili come verande, aperture finestre e così via…». Così via? Dopo tutto quello che è successo? Infine, attenzione anche alle date. Domenica, Costa invita a fare i conti «dopodomani». Lo dice in senso metaforico, certo. Ma si dà il caso che il dopodomani di domenica sia martedì. E proprio martedì Costa si corregge e fa sapere che quello prima definito un condono pericoloso non era più né un condono né pericoloso. Nel frattempo, è successo semplicemente questo: che a difesa delle decisioni del 2018 è intervenuto Conte, ex presidente del Consiglio dei ministri in cui sedeva Costa e attuale leader del partito di Costa. Martedì, a differenza di domenica, non sono più ammessi distinguo. Scatta il ritorno all’ordine. La logica pentastellata trova pace. Ma è una logica di parte, anzi, di partito. Nulla a che vedere con quella stravagante e imprevedibile di Mike Buongiorno. Le cui gaffe, diceva Eco, nascevano sempre «da un atto di sincerità non mascherata». 30 novembre 2022 | 08:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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