Assenza giustificata per due giorni per le alunne di un liceo di Ravenna, in caso di ciclo mestruale doloroso a patto di presentare un singolo certificato medico una volta all’anno.
Il “permesso” è stato pensato sul modello di quello approvato in Spagna per le lavoratrici. In Italia, però, si arriva in ritardo rispetto al resto del mondo. Ad esempio in Giappone il congedo mestruale è realtà dal 1947. Misure analoghe sono previste in Corea del Sud, Indonesia e Zambia,
La novità, come prevedibile, ha diviso in due l’opinione pubblica tra chi è a favore dell’iniziativa e chi, invece, la considera “esagerata” e teme che le studentesse possano approfittarsene.
Su Famiglia Cristiana c’è spazio per le considerazioni di Paola Spotorno, docente: “Da insegnante di lungo corso, che ha insegnato per oltre trent’anni in istituti scolastici superiori, prevalentemente femminili, non riesco a capire la logica, la ragione che ha spinto un consiglio di istituto ad introdurre la possibilità, alle studentesse che restassero a casa per forti dolori mestruali, di non vender conteggiate tali assenze sul monte ore annuale. Come donna ho paura che aprire la strada al congedo mestruale possa avere un effetto boomerang in tema di parità dei diritti. Questa iniziativa infatti porrebbe di nuovo l’accento sull’essere noi donne, anche per ragioni fisiche, il sesso debole e bisognoso di protezione quasi paterna. Se, poi, dal mondo della scuola ci si dovesse spostare al mondo del lavoro, il congedo mestruale potrebbe rafforzare la mentalità secondo cui è meglio assumere un uomo invece che una donna, creando ulteriori alibi per lasciare a casa le donne. Insomma un passo indietro sulla strada dei diritti e della parità”.
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