Conte per ora resta al governo: «Di Maio? Stavo solo aspettando»

di Tommaso LabateLa linea del leader nel medio termine è di non rivendicare posti o attaccare l’esecutivo «So benissimo che questa formula in politica non si può più usare ma, ragazzi miei, volete sapere la cosa che mi fa davvero “stare sereno”? Che a me, a noi, da oggi nessuno può dire nulla. Ci davano degli irresponsabili, degli anti-europeisti, dei nemici della Nato? Ecco qua, abbiamo votato la risoluzione sull’Ucraina, rimaniamo dentro il governo Draghi, non facciamo problemi di poltrone… Invece Luigi, lui sì che da oggi avrà tante cose da spiegare. Dovrà spiegare ai suoi ex elettori perché è uscito. E, se ne avrà voglia, spiegare le ragioni di questa scissione anche alla sua ex comunità del Movimento». Alle otto di sera, Giuseppe Conte sfodera a beneficio dei parlamentari più fidati lo sguardo sornione che ha trasformato nel corso del tempo in una specie di marchio di fabbrica, unito a quel sorrisetto bonario che non sai mai quando ostenta sicurezze e quando maschera paure, quando mostra perfidie o cela tensioni. L’appartamento trasformato in ufficio di via di Fontanella Borghese, nel giorno della scissione di Luigi Di Maio, tutto sembra meno che la sede di un gabinetto di guerra. Già dall’ora di pranzo, quando gli avevano consegnato la stampa del lancio d’agenzia con le prime indiscrezioni sull’addio del ministro degli Esteri, l’ex premier aveva stemperato con un mezzo sorrisetto l’atmosfera di tensione che cominciava a montare tra i componenti del Consiglio nazionale. «Ma che succede, ragazzi? Che c’è, davvero non ve l’aspettavate questa mossa di Luigi? Io l’avevo capito dalla settimana scorsa che cercava un pretesto per andarsene. Certo, un ministro degli Esteri che si conta su una scissione nel giorno della risoluzione sull’Ucraina non mi sembra il massimo…». Da quel momento in poi, e fino all’accordo finale sul testo della risoluzione poi votata al Senato, Conte ha avuto un solo cruccio: quello, riassume un ex componente dei suoi governi, di lasciare «Di Maio e i dimaiani col cerino in mano, a celebrare un divorzio che sarà difficile da motivare, quantomeno con le lenti della politica». La tattica messa in piedi dall’ex presidente del Consiglio, anche se tra i suoi c’è difficoltà ad ammetterlo, è stata quella di accettare qualsiasi testo e confermare nei fatti l’adesione al governo Draghi persino su un terreno, come quello delle armi, «su cui non ci hanno dato alcuna apertura». E quando qualche malalingua da Palazzo Madama gli segnala — non si sa quanto a ragione e quanto a torto — che proprio dalla Farnesina stanno provando a esacerbare i toni della risoluzione, il capo politico insiste: «Oggi votiamo col governo quello che c’è da votare». Già, oggi. Ma domani? Nelle prossime settimane? Nei prossimi mesi? L’indicazione di Conte nel breve periodo è quella di rimanere ancorati al governo Draghi, di non porre questioni di caselle ministeriali o di posti di sottogoverno, di non dare sponde mediatiche a Di Maio, «lasciando sempre a lui il dovere di spiegare perché ha fatto quello che ha fatto». Certo, nella pattuglia dei sopravvissuti del Movimento, più che disperarsi perché «abbiamo perso la Farnesina», si celebra il fatto che «ci siamo liberati del peso di avere uno dei nostri alla Farnesina». Traduzione: l’ex presidente del Consiglio, nel rapporto col governo del suo successore Draghi, sente da ieri di avere le mani più libere, di potersi sganciare all’occorrenza, di poter più agevolmente giocare a quel tira e molla che nell’ultimo anno e mezzo ha scandito tempi e modi della comunicazione di Matteo Salvini, che in queste ore (non a caso) punzecchia Di Maio e non lui. Con un unico vincolo, per adesso: non rompere col Pd, non superare i confini del campo largo costruito a fatica insieme a Enrico Letta e alla sinistra. Alle sollecitazioni arrivate per tutto il giorno dal largo del Nazareno, anche col segretario del Pd, Conte ha risposto ostentando sobrietà: «Tranquilli, non romperemo la maggioranza». D’altronde, parole sue, «non sono io, oggi, quello che deve spiegare le ragioni di un gesto irresponsabile…». 22 giugno 2022 (modifica il 22 giugno 2022 | 08:43) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-22 08:39:00, La linea del leader nel medio termine è di non rivendicare posti o attaccare l’esecutivo, Tommaso Labate

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