Conti: sono iol’uomo comune

di Renato Franco

Il conduttore si confessa dopo il successo di «Tale e Quale Show»

Ha fatto tre Sanremo, qual è la prima immagine che le viene in mente?
«Sono due i momenti in cui mi sono emozionato. Nel 2015, al debutto, quando avevo fatto arrangiare come sigla iniziale La fanfara dell’uomo comune degli Emerson, Lake & Palmer: mi sentivo così, l’uomo comune che da Firenze è arrivato al Festival di Sanremo. E poi due anni dopo quando sono entrati dal fondo dell’Ariston Giorgio (Panariello) e Leonardo (Pieraccioni). Li ho visti arrivare e ho pensato: chi avrebbe mai immaginato di essere qui con loro un giorno?». Carlo Conti è l’uomo comune che fa ascolti fuori dal comune. Quarant’anni di carriera, il re della scaletta per come la rispetta al secondo, la medietà è la sua virtù: mai una polemica, mai uno sconforto.

Il suo verbo preferito?
«Pedalare. Tale e Quale Show è andato molto bene (venerdì va in scena il Torneo dei Campioni, mentre la finale del programma settimana scorsa è stata vista da quasi 4 milioni e mezzo di spettatori con il 28% di share, ndr ) ma quando mi mandano i risultati dell’Auditel io rispondo sempre ai miei autori: bene, ma ora pedaliamo con i piedi per terra, un doppio bagno di umiltà. Perché la tv è come una gara di ciclismo, c’è la salita, poi la discesa, ma dopo arriva ancora un’altra salita». I

La sliding door della sua carriera?
«Non c’è stata, mi piace proprio questo. È stata una carriera in crescendo, passo dopo passo, un percorso gradino dopo gradino».

La sua passione come è nata?
«A 16 anni con la radio. Ho iniziato per scherzo al pomeriggio con il mio amico Andrea, con un giradischi e un registratore imitavamo Arbore e facevamo Basso Sgradimento: chiacchieravamo, prendevamo in giro i professori e poi facevamo girare le cassette in classe».

Uno Youtuber ante litteram… Il passo successivo?
«Suonai il campanello a una delle prime radio fiorentine e chiesi se avevano bisogno di dj: sì, la domenica pomeriggio ma non paghiamo. Accettai subito. Non c’era nemmeno il regista, facevo tutto io. Allora erano davvero radio private, nel senso che erano private di tutto. Fu un periodo fantastico, mi ha insegnato tutto: a parlare senza avere appigli, la velocità, il ritmo, l’improvvisazione; viaggi a braccio, inventi le telefonate e le dediche. È stata la mia gavetta, l’investimento su me stesso, come oggi i ragazzi che pubblicano a tempo perso video su YouTube o TikTok».

Ha avuto anche il periodo delle discoteche: lei quanto è stato trasgressivo?
«Per niente. Bevevo solo acqua, nemmeno una Coca Cola. Il dj però era al centro dell’attenzione e aveva sempre un bel riscontro femminile, dunque pur non essendo un adone è stato un periodo di notevole allegria e divertimento. Per tanto tempo, fino a prima del matrimonio, ho sofferto di dongiovannite. La mia è una grande forma di amore per le donne, credo nasca dalla figura fortissima di mia mamma per cui nutro grandissima stima e ammirazione, per i suoi sacrifici, per le sue difficoltà. Mio babbo è morto che avevo 18 mesi e lei mi ha fatto da babbo e da mamma, ha dedicato la sua vita a tirarmi su al meglio, il suo sogno era il posto fisso».

Che dicevano della sua «dongiovannite» i suoi amici Pieraccioni e Panariello?
«Per loro io ero l’Alberto Sordi del gruppo, quello che non si sarebbe mai sposato. Quando ho parlato di matrimonio non ci credeva nessuno dei due. Io non avevo mai convissuto prima, mai nemmeno uno spazzolino da denti in più a casa mia. Leonardo invece si fidanza e dopo cinque minuti va a convivere; Giorgio aspetta al massimo due mesi. Io ero il solitario, quello che stava bene da solo».

Cosa vi lega?
«Aver fatto la gavetta insieme, le serate di successo e i flop, le speranze e le illusioni; e poi il successo l’uno dell’altro».

Mai un litigio tra di voi?
«Con me è impossibile litigare. Io non litigo con nessuno. Non capisco perché bisogna farlo. Se fossero tutti come me non ci sarebbe mai stata una guerra nel mondo, cerco sempre il punto di incontro che non vuol dire essere bischeri, ma avere un equilibrio. Quando la gente litiga la verità sta sempre nel mezzo e io cerco sempre quel mezzo».

È impossibile che lei dia un giudizio negativo su qualcuno…
«Mi sembra di sentire mia moglie… Nel mio ruolo devo avere un grande rispetto per tutti, specialmente per i colleghi e le colleghe, e poi davvero non conosco la parola invidia. Non porto rancore nemmeno se qualcuno si è comportato in maniera scorretta nei miei confronti. Il tempo lenisce le asperità».

A fine anni Ottanta il presidente della Rai Manca definì la tv di Baudo nazionalpopolare. E Baudo si offese. All’epoca era un insulto. E poi?
«Poi sono cambiati i presidenti della Rai ed è diventato un complimento. Hanno capito che il nazionalpopolare ha una sua valenza, quella di regalare leggerezza e svago, non necessariamente dare una crescita culturale. Conta sempre una sola cosa: il rispetto nei confronti dello spettatore».

Il panico in diretta? Mai?
«Mai. La gavetta serve a questo. Anzi l’imprevisto è sempre una positiva botta di adrenalina che ti spinge a trovare al volo una soluzione. Al massimo ho provato il timore reverenziale di fronte a certi ospiti, come Sophia Loren e Alberto Sordi oppure Mariangela Melato e Giancarlo Giannini: mi sentivo una formica».

Un ospite in imbarazzo?
«Woody Allen era spaesato, forse stanco per il fuso, anche perché era bianchissimo mentre io ero appena tornato dal mare. L’effetto cromatico era notevole… Per fortuna l’intervista era registrata perché se no tra le sue pause e la sua vocina sarebbe stata tosta».

Mai un peccato di ego?
«Non sono il tipo. Giusto da ragazzo. Sulla mia macchina, un 127 arancione, feci fare un adesivo con la scritta Dj Carlo Conti. Molto maranza. Ma dopo una settimana mi avevano già tolto metà delle lettere».

Per scelta di vita nel 2016 ha deciso di lasciare «L’Eredità». È stato un passo indietro?
«Sì, è stata una scelta importantissima, perché il preserale, essere in onda tutti i giorni, crea un rapporto di fedeltà, stima e rispetto con il pubblico, crea una complicità che nessun altro tipo di programma riesce a costruire. Per personaggi come me l’appuntamento quotidiano è fondamentale, ti dà una forza particolare. E penso che sia un discorso che vale anche per Amadeus, per Gerry Scotti, per Bonolis…». Ride: «Diciamo che averlo lasciato è stata una forma di prepensionamento…».

15 novembre 2022 (modifica il 15 novembre 2022 | 23:20)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-11-15 22:33:00, «Pedalo sempre con i piedi per terraPapà morì quando avevo 18 mesi e la mamma sognava il posto fissoFidanzate? Sì ma vivevo da solo», Renato Franco

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version