CoorDown, la vera sindrome si chiama disoccupazione. La disparità tra Nord e Sud

di Giulio Sensi

Il Coordinamento delle associazioni: senza riconoscimento della disabilit niente lavoro. Ancora troppi non accedono a un impiego dopo la scuola, passo chiave per l’autonomia. I paradossi del fisco, sensibilit cresciuta ma bisogna fare di pi

Per ogni persona con sindrome di Down che lavora e sperimenta una vita autonoma ce ne sono ancora molte, troppe, che rimangono a casa inattive. Si pu fare di pi il messaggio di CoorDown, il coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down, che ha promosso una ricerca sull’accertamento della disabilit. L’indagine, condotta su un campione rappresentativo di 400 persone distribuite su tutto il territorio nazionale, riporta dati inediti anche sul fronte dell’occupazione: emerge come solo il 17,3% dei maggiorenni lavori e uno su cinque non sia impegnato in alcuna attivit.

Il dato – spiega Carlo Giacobini, giornalista e analista, consulente di CoorDown e curatore della ricerca – va letto nel pi ampio tema del riconoscimento della disabilit di una persona. Esiste una persistenza di persone che non hanno chiesto l’accertamento in base alla legge 68 che consente di accedere ai servizi di collocamento mirato per le aziende, le quali possono in questo modo avere incentivi significativi. un numero ancora molto elevato a cui se ne aggiunge uno altrettanto alto di pronunce di incollocabilit da parte delle commissioni Asl-Inps.

I maggiorenni con sindrome di Down in possesso del riconoscimento della condizione di disabilit sono ancora meno della met (48,2%). Il 51,8% ne privo o perch non l’ha richiesta (il 35,4%) o perch dichiarato incollocabile (10,6%) o rimane in attesa di convocazione a visita (5,8%). L’ancora alto numero di casi in cui non si chiede l’accertamento – spiega Giacobini – deriva da diversi fattori: sfiducia nei percorsi di collocamento o nei confronti delle potenzialit del figlio, vivere in contesti in cui l’offerta lavorativa bassa, timore di perdere provvidenze economiche assistenziali, oltre a probabili fattori di ordine culturale. Cos tante persone con sindrome di Down rimangono inattive.

Gran parte dei minori studia, ma preoccupa la percentuale dei non occupati in alcuna attivit: il 20,3% al Sud e il 19,4% al Centro, a fronte del 12,9% della media nazionale. Guardando solo ai maggiorenni, i numeri passano al 34,2% nel Mezzogiorno e al 29,7% nel Centro, rispetto a una media nazionale del 19,9%. La situazione pi positiva nel Nord-Ovest dove quasi la met (il 44%) inserito nel mondo del lavoro con un’occupazione o un tirocinio. evidente – riprende Giacobini – la abnorme disparit territoriale su questi temi, divenuta prevalente anche su altre forme di disabilit. Le disomogeneit territoriali – aggiunge la presidente di Coordown Antonella Falugiani – meriterebbero ulteriori approfondimenti. Possiamo condividere alcune impressioni. La prima deriva dalle oggettive differenze del mercato del lavoro e dell’occupazione nei diversi territori: la compressione occupazionale vale per tutti, ma si riverbera con maggiore durezza sulle persone pi fragili. La seconda dipende dalla qualit dei servizi per l’impiego che oggettivamente molto differente nei diversi angoli del nostro Paese. La terza, quella che ci preoccupa forse di pi perch pi subdola, il comprensibile pessimismo che si ingenera nelle famiglie e nelle persone.

La giusta direzione

Non tutto per negativo e nell’ultimo decennio hanno proliferato esperienze e segnali nella giusta direzione. Alcuni interventi di semplificazione hanno prodotto effetti positivi – aggiunge Giacobini – e la sensibilit di molte aziende migliorata. Alla base c’ da una parte la disponibilit delle imprese a riconoscere il valore delle persone con sindrome di Down, dall’altra un accompagnamento fatto bene. Non possiamo pensare di “scaricare” la persona da includere completamente su un contesto lavorativo perch si rischia di provocare un disagio reciproco. Servono mediatori che accompagnino e affianchino le persone, in particolare all’ingresso nel mondo del lavoro cos da porre le basi per la loro successiva autonomia.

Per costruire un futuro occorre iniziare a lavorare fin dalla giovane et dopo il periodo scolastico. Noi crediamo che il “dopo di noi” inizi oggi – conclude Falugiani – e passi attraverso il lavoro di transizione alla vita adulta, che si ancori nella maggiore autonomia possibile e sia profondamente legata all’opportunit di lavorare, anche per concorrere al proprio mantenimento. Sono tutti aspetti connessi e tante questioni incidono sul successo di questi percorsi: i servizi per l’impiego, l’accompagnamento e la mediazione, ma anche la garanzia che scegliere la via del lavoro non chiuda le porte ad altri supporti, come la reversibilit dei genitori, monetari o fiscali concessi a chi oggi sceglie di rinunciare al lavoro. Lo vuole un paradosso? Oggi le persone con disabilit possono avvicinarsi al lavoro con borse lavoro. Di solito si tratta di due o trecento euro al mese. Quegli importi non sono redditi esenti: ci comporta, ad esempio, che si perdano maggiorazioni della pensione, che si finisca per non essere pi carico fiscale dei genitori o dei familiari. Su questo tocca alla politica mettere ordine ed equit.

26 febbraio 2023 (modifica il 26 febbraio 2023 | 18:52)

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