Cosa manca per una vera autonomia

editoriale Mezzogiorno, 15 giugno 2022 – 07:59 di Francesco Marone La questione dell’autonomia differenziata, così come viene posta, è un gigantesco inganno democratico. La Costituzione definisce puntualmente la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Regioni ad autonomia ordinaria. Quando poi, all’articolo 116, si occupa delle regioni ad autonomia speciale, la Costituzione prevede che, in alcune materie, una legge dello Stato possa attribuire forme e condizioni particolari di autonomia su richiesta di una Regione ad autonomia ordinaria e previa intesa con questa. Il disegno costituzionale è molto chiaro. Fermo il quadro generale definito dal Titolo V della Parte II, è possibile che una Regione ordinaria abbia esigenze particolari e chieda per questo ulteriori e specifiche forme di autonomia. Una sola regione per specifiche ragioni, non tutte le regioni per tutte le materie per le quali la richiesta sarebbe astrattamente ammissibile.È evidente che, costruita in questi termini, l’autonomia differenziata non sarebbe più un elemento di flessibilità legato a una richiesta dettata da esigenze particolari, ma diventerebbe una ulteriore riforma del Titolo V, per la quale sarebbe necessaria una legge di revisione costituzionale. D’altra parte, che il disegno vero delle regioni del Nord a trazione leghista sia quello di arrivare a una sorta di specialità «a Costituzione invariata» è molto chiaro se solo si guarda ai referendum consultivi del 2017. Il quesito della Lombardia faceva riferimento alla specialità di quella regione, mentre il Veneto aveva addirittura chiesto di svolgere un referendum con il quale si sarebbe chiesto ai cittadini se avessero voluto che il Veneto diventasse «una Repubblica indipendente e sovrana». Si voleva, cioè, chiedere apertamente ai cittadini se fossero favorevoli alla secessione del Veneto dalla Repubblica Italiana. Naturalmente la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile quel quesito; ma ricordarlo serve a chiarire quali siano le reali intenzioni delle regioni che stanno facendo dell’autonomia differenziata una bandiera. Il presidente Zaia, peraltro, nelle sue dichiarazioni pubbliche, non ha fatto mai mistero di voler ottenere, nei fatti, l’equiparazione del Veneto alle regioni ad autonomia speciale, chiedendo ulteriori poteri in tutte le materie in cui è possibile chiederli. La finalità vera è quella di ottenere il trasferimento dei 9/10 del prelievo fiscale statale riferibile al territorio regionale. Si tratta, molto semplicemente, di una richiesta costituzionalmente illegittima. In primo luogo, l’articolo 116 indica tassativamente, al comma 1, le regioni ad autonomia speciale; e quella specialità è giustificata da ragioni storiche e geografiche. Ammesso che sia una revisione costituzionale ammissibile, per allungare quell’elenco si dovrebbe modificare l’articolo 116 della Costituzione. In secondo luogo, il comma 3 dello stesso articolo prevede che il riconoscimento di ulteriori forme di autonomia alle regioni a statuto ordinario debba avvenire nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 119 della Costituzione. Questa disposizione stabilisce che le funzioni esercitate dalle regioni siano finanziate attraverso tributi regionali, attraverso trasferimento di tributi statali e attraverso strumenti perequativi. In questo quadro, le regioni che chiedono maggiore autonomia, ossia chiedono di esercitare funzioni ulteriori rispetto a quelle attribuite dalla Costituzione, devono in primo luogo farsi carico di reperire, attraverso la propria fiscalità, le risorse necessarie a coprire il costo delle nuove funzioni. Chiedere, invece, il trasferimento dei 9/10 del prelievo fiscale statale, o comunque di buona parte di esso, non solo eccede l’ammontare delle spese regionali attuali e future, ma carica l’intero costo della finanza regionale sulle casse dello Stato, esonerando gli organi di governo regionale dalla responsabilità politica, fondamento del governo democratico-rappresentativo, di reperire le risorse finanziare attraverso cui si erogano i servizi ai cittadini. No taxation without representation; con questa espressione i coloni inglesi degli Stati Uniti d’America rivendicavano, nel diciottesimo secolo, l’autonomia politica dalla madre patria inglese. Vuol dire che non è possibile chiedere una prestazione fiscale a cittadini che non sono rappresentati negli organi di governo che gestiranno le risorse prelevate. È un principio cardine del costituzionalismo moderno, che l’autonomia differenziata di cui si discute mira a capovolgere in representation without taxation, poiché l’autonomia che viene rivendicata è priva di responsabilità fiscale. Si vorrebbe la quasi totalità della fiscalità statale, con l’obiettivo di spendere senza vincolo di destinazione tutte le risorse non utilizzate per pagare le funzioni esercitate. Ma le risorse fiscali di cui si discute sono risorse fiscali che derivano da un rapporto dei cittadini italiani, tutti i cittadini italiani, con lo Stato. Sono risorse fiscali nazionali, utili a coprire il fabbisogno economico finanziario del Paese nel suo insieme. Lasciare la quasi totalità del prelievo statale alle regioni più ricche significa mettere a rischio l’equilibrio finanziario nazionale e, con ogni probabilità, significa il ricorso a nuovo debito pubblico per coprire il minor gettito. Tenuto conto, poi, che l’articolo 119 impone, anche con riguardo alla fiscalità regionale, l’equilibrio di bilancio, in ossequio ai vincoli economici e finanziari dell’ordinamento dell’Unione Europea, e che quel vincolo sovranazionale riguarda la Repubblica Italiana nel suo insieme e non le singole regioni, è facile prevedere che la proposta in discussione si tradurrebbe in uno squilibrio dei conti pubblici, nel quale gli attivi sarebbero di spettanza regionale e i debiti rimarrebbero allo Stato. In conclusione, si può discutere di regionalismo differenziato soltanto dando piena attuazione a quel federalismo fiscale disciplinato dall’articolo 119 della Costituzione che, fino a oggi, è rimasto sulla carta, forse anche per il calcolo politico di chi ha ritenuto preferibile rivendicare il trasferimento di risorse nazionali, anziché assumere la responsabilità democratica di un prelievo fiscale diretto nei confronti dei propri elettori. 15 giugno 2022 | 07:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-06-15 05:59:00, editoriale Mezzogiorno, 15 giugno 2022 – 07:59 di Francesco Marone La questione dell’autonomia differenziata, così come viene posta, è un gigantesco inganno democratico. La Costituzione definisce puntualmente la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Regioni ad autonomia ordinaria. Quando poi, all’articolo 116, si occupa delle regioni ad autonomia speciale, la Costituzione prevede che, in alcune materie, una legge dello Stato possa attribuire forme e condizioni particolari di autonomia su richiesta di una Regione ad autonomia ordinaria e previa intesa con questa. Il disegno costituzionale è molto chiaro. Fermo il quadro generale definito dal Titolo V della Parte II, è possibile che una Regione ordinaria abbia esigenze particolari e chieda per questo ulteriori e specifiche forme di autonomia. Una sola regione per specifiche ragioni, non tutte le regioni per tutte le materie per le quali la richiesta sarebbe astrattamente ammissibile.È evidente che, costruita in questi termini, l’autonomia differenziata non sarebbe più un elemento di flessibilità legato a una richiesta dettata da esigenze particolari, ma diventerebbe una ulteriore riforma del Titolo V, per la quale sarebbe necessaria una legge di revisione costituzionale. D’altra parte, che il disegno vero delle regioni del Nord a trazione leghista sia quello di arrivare a una sorta di specialità «a Costituzione invariata» è molto chiaro se solo si guarda ai referendum consultivi del 2017. Il quesito della Lombardia faceva riferimento alla specialità di quella regione, mentre il Veneto aveva addirittura chiesto di svolgere un referendum con il quale si sarebbe chiesto ai cittadini se avessero voluto che il Veneto diventasse «una Repubblica indipendente e sovrana». Si voleva, cioè, chiedere apertamente ai cittadini se fossero favorevoli alla secessione del Veneto dalla Repubblica Italiana. Naturalmente la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile quel quesito; ma ricordarlo serve a chiarire quali siano le reali intenzioni delle regioni che stanno facendo dell’autonomia differenziata una bandiera. Il presidente Zaia, peraltro, nelle sue dichiarazioni pubbliche, non ha fatto mai mistero di voler ottenere, nei fatti, l’equiparazione del Veneto alle regioni ad autonomia speciale, chiedendo ulteriori poteri in tutte le materie in cui è possibile chiederli. La finalità vera è quella di ottenere il trasferimento dei 9/10 del prelievo fiscale statale riferibile al territorio regionale. Si tratta, molto semplicemente, di una richiesta costituzionalmente illegittima. In primo luogo, l’articolo 116 indica tassativamente, al comma 1, le regioni ad autonomia speciale; e quella specialità è giustificata da ragioni storiche e geografiche. Ammesso che sia una revisione costituzionale ammissibile, per allungare quell’elenco si dovrebbe modificare l’articolo 116 della Costituzione. In secondo luogo, il comma 3 dello stesso articolo prevede che il riconoscimento di ulteriori forme di autonomia alle regioni a statuto ordinario debba avvenire nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 119 della Costituzione. Questa disposizione stabilisce che le funzioni esercitate dalle regioni siano finanziate attraverso tributi regionali, attraverso trasferimento di tributi statali e attraverso strumenti perequativi. In questo quadro, le regioni che chiedono maggiore autonomia, ossia chiedono di esercitare funzioni ulteriori rispetto a quelle attribuite dalla Costituzione, devono in primo luogo farsi carico di reperire, attraverso la propria fiscalità, le risorse necessarie a coprire il costo delle nuove funzioni. Chiedere, invece, il trasferimento dei 9/10 del prelievo fiscale statale, o comunque di buona parte di esso, non solo eccede l’ammontare delle spese regionali attuali e future, ma carica l’intero costo della finanza regionale sulle casse dello Stato, esonerando gli organi di governo regionale dalla responsabilità politica, fondamento del governo democratico-rappresentativo, di reperire le risorse finanziare attraverso cui si erogano i servizi ai cittadini. No taxation without representation; con questa espressione i coloni inglesi degli Stati Uniti d’America rivendicavano, nel diciottesimo secolo, l’autonomia politica dalla madre patria inglese. Vuol dire che non è possibile chiedere una prestazione fiscale a cittadini che non sono rappresentati negli organi di governo che gestiranno le risorse prelevate. È un principio cardine del costituzionalismo moderno, che l’autonomia differenziata di cui si discute mira a capovolgere in representation without taxation, poiché l’autonomia che viene rivendicata è priva di responsabilità fiscale. Si vorrebbe la quasi totalità della fiscalità statale, con l’obiettivo di spendere senza vincolo di destinazione tutte le risorse non utilizzate per pagare le funzioni esercitate. Ma le risorse fiscali di cui si discute sono risorse fiscali che derivano da un rapporto dei cittadini italiani, tutti i cittadini italiani, con lo Stato. Sono risorse fiscali nazionali, utili a coprire il fabbisogno economico finanziario del Paese nel suo insieme. Lasciare la quasi totalità del prelievo statale alle regioni più ricche significa mettere a rischio l’equilibrio finanziario nazionale e, con ogni probabilità, significa il ricorso a nuovo debito pubblico per coprire il minor gettito. Tenuto conto, poi, che l’articolo 119 impone, anche con riguardo alla fiscalità regionale, l’equilibrio di bilancio, in ossequio ai vincoli economici e finanziari dell’ordinamento dell’Unione Europea, e che quel vincolo sovranazionale riguarda la Repubblica Italiana nel suo insieme e non le singole regioni, è facile prevedere che la proposta in discussione si tradurrebbe in uno squilibrio dei conti pubblici, nel quale gli attivi sarebbero di spettanza regionale e i debiti rimarrebbero allo Stato. In conclusione, si può discutere di regionalismo differenziato soltanto dando piena attuazione a quel federalismo fiscale disciplinato dall’articolo 119 della Costituzione che, fino a oggi, è rimasto sulla carta, forse anche per il calcolo politico di chi ha ritenuto preferibile rivendicare il trasferimento di risorse nazionali, anziché assumere la responsabilità democratica di un prelievo fiscale diretto nei confronti dei propri elettori. 15 giugno 2022 | 07:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Pietro Guerra

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