Così è la mafia, il racconto di Giovanni Falcone diventa un Podcast

di Francesco Giambertone

“Mi fido di lei” a cura di Luca Lancise e Alessandra Coppola, è la narrazione diretta del magistrato lasciata alla giornalista francese Marcelle Padovani nella quale emerge la sua capacità di decifrare la mafia, anche come fenomeno antropologico, e capire i suoi meccanismi per poterla combattere

Un anno prima di morire, Giovanni Falcone consegnò il suo testamento morale a una donna, la giornalista francese Marcelle Padovani. Al termine dei loro 22 pranzi-intervista, Padovani diede al giudice 190 pagine, che lui corresse con la sua grafia piccola e pulita, e che diventarono il prezioso libro Cose di Cosa Nostra. Da quelle note, e dalla voce ricca della cronista, prende vita il podcast Mi fido di lei (di Corriere della Sera con il sostegno di Fondazione con il Sud) in cui Luca Lancise e Alessandra Coppola, ritrovato il manoscritto originale, ricostruiscono la capacità di Falcone di decifrare la mafia, di capirla antropologicamente per poterla combattere; e passando per le sue intuizioni, il suo rigore e il suo metodo, fanno luce sulla sua eredità.

L’amica giornalista

Sono cinque episodi, che durano tra i 30 e i 40 minuti, e partono dal ritrovamento del manoscritto originale sepolto sotto i libri della casa romana di Marcelle Padovani, la giornalista francese in Italia di cui Falcone disse: «È quella di cui mi fido di più». Si erano incontrati nel 1983 a Palermo: lui è ancora sconosciuto ai più, ma sta già conducendo inchieste innovative in piena guerra di mafia. La giornalista lo vede come un uomo senza paura ma consapevole dei rischi, che vive solitario in un ufficio del Palazzo di Giustizia, dietro due porte blindate, protetto da telecamere che controlla lui stesso. Chi sedeva al suo posto prima di lui è stato eliminato da Cosa Nostra: Falcone è rimasto tra i pochi a combattere la mafia con un metodo in cui a Palermo non credono in molti, fatto – tra le altre cose – di studio dei rapporti e dei flussi di denaro. Il primo articolo di Padovani parla di lui come del «petit juge», il piccolo giudice, che sfida un grande nemico.

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Lo stato parallelo

Dopo otto anni di frequentazioni professionali, sarà proprio Padovani a comporre l’ultimo libro del giudice, dalle cui piccole correzioni a penna, con una grafia precisa, emergono il rigore, il rispetto per parole e fatti, la mancanza di protagonismo. Padovani si fa portavoce delle intuizioni di Falcone sulla mafia. Prima tra tutte: per combatterla, bisogna capire che i mafiosi non sono estranei al tessuto sociale in cui sono immersi, «ci somigliano». Bisogna capire che il loro sistema ha regole e leggi, come fosse uno Stato, e si fonda su una serie di valori, per quanto possa sembrare paradossale: rispetto, dignità, obbligo di dire la verità. Per poterli combattere, Falcone si immedesima nell’uomo d’onore. E solo così si guadagnerà la fiducia dei pentiti, da Tommaso Buscetta ad Antonino Calderone.

La solitudine

Una fiducia che non tutti, nemmeno in procura, gli accorderanno. Dopo la sentenza che condanna i 346 imputati a oltre 2600 anni di carcere nel primo maxi-processo alla mafia, il clima intorno a Falcone si deteriora. Marcelle Padovani torna in Sicilia, gira un reportage e sottolinea che il giudice «illuminista», di cui sta diventando amica, dopo il fallito attentato alla casa di vacanza dell’Addaura è sempre più solo. Invidie, veleni e insinuazioni lo convincono ad accettare il trasferimento a Roma. Quando si incontrano l’ultima volta, il magistrato dice a Marcelle che tornare in Sicilia per lui è sempre più pericoloso, «ma ho voglia di rivedere la pesca del tonno…». La mafia non glielo permetterà: il 23 maggio 1992 a Capaci, proprio mentre Falcone torna da Roma, 500 chili di tritolo piazzati sotto l’autostrada fermeranno per sempre il suo lavoro.

La strada indicata

Dopo i funerali, Padovani racconta come fu scrivere il suo ultimo servizio su Falcone, per il quale «la morte non era un argomento estraneo». E sceglie di rappresentarlo com’era, ricordando il suo lascito: «Una rete di solidarietà, di amicizia, di comune credo negli stessi ideali – disse lo stesso Falcone-, che sicuramente prescinde dalla mia persona e che non sarà disperso». Una delle eredità più tangibili è la possibilità di confiscare e riutilizzare i beni della mafia: nel feudo di Verbumcaudo, finito illecitamente nelle mani del boss Michele Greco, oggi ci sono 11 ragazzi siciliani che coltivano pomodori, grano e uva. Protagonisti, raccontano Alessandra Coppola e Luca Lancise alla fine del loro viaggio in audio, dell’Italia diversa che Falcone immaginava.

16 agosto 2022 (modifica il 16 agosto 2022 | 07:03)

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